Le scarpe rosse è un romanzo scritto da Joanne Harris che nel 2007 ci ha regalato il sequel di Chocolat. L’autrice tiene bene la suspence e lo riempie di magia, di profumi, di passioni e risentimenti, e soprattutto, di cioccolata.
La Harris è riuscita nell’intento di non banalizzare la storia ma, anzi, di arricchirla di nuove trame interessanti.
L’inizio è un po’ lento e viene voglia di abbandonarlo, ma se resistete vi ripagherà.
Nel 2012 il vento ha soffiato di nuovo regalandoci Il giardino delle pesche e delle rose.
“Forse è stato anche per via delle scarpe. Scarpe favolose, luminose, i tacchi alti, rosso rossetto, da bastoncino di zucchero candito, da lecca lecca, che risplendevano come tesori sull’acciottolato. Non si vedono scarpe del genere a Parigi. Non sulla gente normale, almeno. E noi siamo gente normale, o per lo meno mamma dice così, anche se, dal modo in cui si comporta, a volte non si direbbe.
Quelle scarpe…
Tac tac tac, facevano quelle scarpe rosso-caramella, e si sono fermate davanti alla chocolaterie mentre la loro proprietaria guardava dentro.”
Sono passati quattro anni da quando Vianne Rocher e la figlia Anouk hanno lasciato il paese di Lansquenet. Hanno peregrinato di villaggio in villaggio, senza mai trovare stabile dimora, lo scandalo e le chiacchiere le hanno seguite, perseguitate, minacciate pericolosamente, ancora di più da quando Vianne ha dato alla luce la piccola Rosette.
Alla fine hanno trovato rifugio e anonimato a Montmartre a Parigi e qui si sono rifatte una vita, assumendo un’altra identità. Ma tutto è diverso da prima. Sono spariti i tarocchi, gli incantesimi, persino Pantoufle, il vecchio compagno di giochi di Anouk, non esiste più.
Il vento ha smesso di soffiare, almeno per un po’, ma poi nella loro vita compare Zozie de L’Alba, la donna con le scarpe rosse, e tutto cambia.
Zozie è tutto quello che era una volta Vianne: bella, solare e misteriosa. Offertasi di aiutare Vianne in negozio, ben presto lo trasforma pezzo per pezzo, e conquista la fiducia di Anouk e Rosette.
Spietata, ambigua e seducente, Zozie ha un piano, distruggere la vita di Vianne, portandole via quello che ha di più caro, mentre tutto quello che ama è in pericolo, Vianne deve scegliere, fuggire, come ha fatto tante volte prima, oppure affrontare il nemico più pericoloso con le uniche armi a sua disposizione, il cioccolato e la magia.
“La gente vede di rado ciò che pensa di vedere. Vede soltanto ciò che noi vogliamo che veda: bellezza, età, giovinezza, intelligenza perfino l’essere dimenticabili.”
È un fatto relativamente poco noto che, nel corso di un solo anno, circa venti milioni di lettere vengano consegnate a persone morte. La gente – vedove afflitte e potenziali eredi – dimentica di bloccare la posta, gli abbonamenti alle riviste non vengono disdetti, gli amici lontani non sono informati e le multe della biblioteca restano insolute. Per un totale che ammonta a venti milioni di circolari, estratti conto bancari, carte di credito, lettere d’amore, posta indesiderata, pettegolezzi e fatture che ogni giorno atterrano su zerbini e pavimenti in parquet, gettati con noncuranza fra cancellate, infilati nelle cassette delle lettere, accumulati nella tromba delle scale, consegnati senza essere stati richiesti sotto i portici o sugli scalini e senza raggiungere mai il vero destinatario. I morti non ci badano. E, cosa più importante, neppure i vivi. I vivi non fanno che seguire le loro meschine preoccupazioni, del tutto ignari che vicino, molto vicino, si sta compiendo un miracolo. I morti tornano a vivere.
Non ci vuole granché per risuscitare i morti. Un paio di conti, un nome, un codice postale, nulla che non si possa trovare in un vecchio sacco per l’immondizia di qualsiasi casa, strappato (magari dalle volpi) e lasciato sui gradini come un regalo. Si può imparare parecchio dalla posta abbandonata: nomi, estremi bancari, password, indirizzi e-mail, codici di sicurezza. Con la giusta combinazione di dettagli personali si può aprire un conto in banca, perfino richiedere un nuovo passaporto. Ai morti questo genere di cose non serve. Un regalo, come ho detto, che aspetta solo di essere preso in consegna.
A volte il Fato effettua la consegna di persona e quindi conviene stare sempre all’erta. Carpe diem, e tanto peggio per gli altri. Ecco perché leggo sempre i necrologi e a volte riesco ad acquisire l’identità prima ancora che sia concluso il funerale. Ed ecco perché, quando ho visto il cartello, e sotto la cassetta della posta con il pacchetto di lettere, ho accettato il dono con un sorriso garbato.
Non era la mia cassetta, ovvio. Il servizio postale qui è ottimo e di rado le lettere vengono recapitate all’indirizzo sbagliato. Una ragione di più per preferire Parigi, oltre al cibo, al vino, ai teatri, ai negozi e alle opportunità praticamente illimitate. Ma Parigi costa, le spese generali sono straordinarie, e poi da qualche tempo non vedevo l’ora di reinventarmi di nuovo. Non correvo rischi da quasi due mesi, insegnavo in un lycée dell‘11° arrondissement. Ma sull’onda di problemi recenti da quelle parti, alla fine avevo deciso di dare un taglio netto (portandomi via venticinquemila euro di fondi dipartimentali che sarebbero stati depositati sul conto aperto a nome di un’ex collega e poi trasferiti altrove con discrezione, nel giro di un paio di settimane) e di dare un’occhiata agli appartamenti in affitto.
Prima ho provato la Rive Gauche. Lì gli immobili erano fuori dalla mia portata, ma la ragazza dell’agenzia non lo sapeva. Così, presentandomi con un accento inglese a nome di Emma Windsor, la borsa Mulberry infilata con negligenza nell’incavo del braccio e il delizioso fruscio di Prada sui polpacci fasciati di seta, ho potuto trascorrere una mattinata piacevole guardando le vetrine.
Avevo chiesto di vedere solo appartamenti vuoti. Sulla riva sinistra ce n’erano diversi: appartamenti con ampi locali affacciati sul fiume, appartamenti signorili con giardini pensili, attici con pavimenti in parquet.
Con un po’ di dispiacere, li ho scartati tutti, anche se non sono riuscita a resistere alla tentazione di raccogliere un paio di oggetti utili lungo il percorso. Una rivista, ancora nel suo involucro, che conteneva il numero cliente del destinatario designato, parecchie circolari e, in uno di quei posti, oro puro, cioè un bancomat a nome di Amélie Deauxville: per attivarlo basta una telefonata.
Ho lasciato alla ragazza il numero di cellulare. Il conto corrente è intestato a Noélle Marcelin, la cui identità ho acquisito qualche mese fa. I suoi pagamenti sono piuttosto aggiornati, la poverina è morta l’anno scorso, a novantaquattro anni, ma significa che chiunque rintracci le mie chiamate avrà qualche difficoltà a trovare me. Anche il mio abbonamento a internet è a suo nome, ed è interamente pagato. Noélle è troppo preziosa perché la perda. Ma non sarà mai la mia identità principale. Tanto per cominciare, non ho alcuna intenzione di avere novantaquattro anni. E sono stufa di ricevere tutte quelle pubblicità di montascale.
La mia ultima identità pubblica è stata Françoise Lavery, insegnante di inglese al Lycée Rousseau nell‘11°. Età 32, nata a Nantes, sposa e vedova nello stesso anno di Raoul Lavery, morto in un incidente d’auto alla vigilia del nostro anniversario – un tocco sufficientemente romantico, pensavo, che spiega quella sua aria vagamente malinconica. Una vegetariana integrale, piuttosto timida, diligente ma senza il talento necessario per rappresentare una minaccia. Nell’insieme, una ragazza carina, il che serve solo a dimostrare che non bisogna mai giudicare dalle apparenze.
Oggi, però, sono un’altra. Venticinquemila euro non sono una piccola somma e c’è sempre la possibilità che qualcuno cominci a sospettare la verità. La maggior parte della gente non lo fa, la maggior parte della gente non si accorgerebbe di un crimine che si svolge sotto il suo naso, ma non mi sono spinta così lontano a correre rischi, e ho scoperto che è più sicuro spostarsi di continuo.
Per questo viaggio leggera, una valigia di pelle consunta e un computer portatile Sony che contiene l’elaborazione di oltre un centinaio di possibili identità; in questo modo posso fare armi e bagagli, sparire e ogni traccia svanirà in meno di un pomeriggio, molto meno.
È così che è scomparsa Françoise. Ho bruciato i documenti, la corrispondenza, i dati bancari, gli appunti. Ho chiuso tutti i conti intestati a suo nome. Libri, vestiti, mobili e il resto, li ho dati alla Croix Rouge. Non conviene mai prendere la polvere.
Dopodiché avevo bisogno di ricominciare. Ho preso una stanza in un hotel a buon mercato, pagato con la carta di credito di Amélie, cambiato gli abiti di Emma e sono andata a fare shopping.
Françoise era un tipo trasandato, tacchi ragionevoli e chignons accurati. Il mio nuovo personaggio, però, ha uno stile diverso. Si chiama Zozie de l’Alba, è vagamente straniera, anche se vi trovereste in difficoltà a indicare il suo paese d’origine. È tanto sgargiante quanto Françoise non lo era, indossa bigiotteria, ama i colori vivaci e le forme frivole, preferisce i bazar e i negozi vintage e non si farebbe vedere neanche morta con delle scarpe ragionevoli.
Il cambiamento è stato eseguito per bene. Sono entrata in un negozio come Françoise Lavery con un twin-set grigio e un filo di perle false. Dieci minuti dopo sono uscita che ero un’altra.
Ma il problema rimane: dove andare? La Rive Gauche, seppure mi tenti, è fuori discussione, anche se credo che Amélie Deauxville possa andare avanti qualche migliaio di euro prima di doverla mollare. Ho altre fonti, certo, per non parlare della più recente, Madame Beauchamp, la segretaria responsabile del dipartimento finanziario nel mio precedente posto di lavoro.
È così facile aprire un conto. Bastano un paio di bollette d’utenza già pagate e perfino una vecchia patente di guida. E con la crescita degli acquisti online, le possibilità aumentano di giorno in giorno.
Ma le mie necessità sono molto ma molto più vaste, una fonte di reddito non mi basta. La noia mi fa inorridire. Ho bisogno di più. Uno sbocco per le mie capacità: avventura, sfida, un cambiamento.
Una vita.
Ed è questo che il Fato mi ha consegnato oggi, come per caso, in questa mattinata ventosa di fine ottobre a Montmartre, mentre davo un’occhiata a una vetrina di un negozio e ho visto quel bel cartellino incollato alla porta:
Fermé pour cause de décès.
4 commenti
Ciao ti lascio un commento al tuo pubblicato sul mio blog riguardo il libro come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita.
Condivido pienamente la tua analisi del libro. Davvero eccezionale! A questo punto mi sento anche di doverti consigliare il potere di adesso di eckhart tolle, lo ritengo il piu illuminante in assoluto. Buona vita
Grazie per il libro consigliato, sono curiosa, ti farò sapere.
I sequel sono sempre difficili da apprezzare, soprattutto per chi è stato entusiasmato dall’originalità del primo libro, ma devo dire che questo l'ho trovato ben studiato e piacevole da leggere quanto il primo.
Anche se inizialmente è stato deludente ritrovare il personaggio di Vianne Rocher svuotato dai suoi modi, ho però successivamente rivalutato la decisione di riportare Vianne alla normalità, e di valorizzarne le sue paure che alla fine sono quelle di tutte le persone normali ma che nel suo caso sono portate all’esasperazione, perchè alla fine per essere se stessa non può comportarsi normalmente.
Continua http://www.wren.it/le-scarpe-rosse.html
Grande articolo. Sarà sicuramente un segnalibro sul mio sito.