Il fante di cuori e la dama di picche è un romanzo della scrittrice Joanne Harris, scritto nel 1993, è stato pubblicato in Italia nel ottobre 2005.
L’autrice lo definisce “una storia di fantasmi gotica, ambientata nella Londra vittoriana”.
“esistono erbe per offuscare la mente e radici per risvegliarla, pozioni per aprire l’occhio dell’anima e altre per piegare la realtà in forme delicate come uccelli di carta… e ci sono spiriti, sì. E fantasmi che, ci crediate o no, misurano a grandi passi i corridoi del cuore colpevole di un uomo in attesa dell’occasione di rinascere.”
La Londra vittoriana impazzisce per i quadri preraffaelliti. Tra i soggetti dipinti ossessivamente da Henry Chester ci sono bambine e ragazze. La sua modella preferita è Effie, che per lui incarna gli ideali di bellezza e purezza. Quando Chester l’ha ritratta per la prima volta, aveva solo nove anni, ma poi lui l’ha educata e plasmata, e ne ha fatto sua moglie. Infantile, bellissima, innocente, Effie sembra la sposa ideale, ma è spesso malata. Lenisce le sue sofferenze con il laudano e vive come sospesa tra il sogno e la realtà. La gabbia dorata in cui l’ha rinchiusa suo marito le sta sempre più stretta, c’è qualcosa dentro di lei che vuole venire alla luce. A risvegliare i fantasmi saranno l’incontro con un altro pittore, l’ambiguo e sensuale Moses, e l’amicizia con Fanny Miller, la maîtresse di una casa d’appuntamenti frequentata da Chester, a suo tempo teatro di un orribile delitto. La giovane donna sprofonderà così in un incubo pericoloso e terribile, dove la voce della ragione si perde nei labirinti del delirio e l’unico punto fermo sembrano l’amore e la sensualità.
“Il fante di cuori e la dama di picche” è un romanzo ambientato in una società puritana, autoritaria e ipocrita, che esplora gli aspetti più torbidi della psiche umana. Ricco di atmosfere evocative, popolato da artisti di talento e donne inquiete, scritto con la magistrale verve e la capacità di giocare con i codici letterari che ha fatto apprezzare Joanne Harris da milioni di lettori, esplora il fascino e le inquietudini della femminilità, le ossessioni degli artisti, l’innocenza e la colpa, il misterioso confine tra la vita e la morte.
“Il suo nome era un sospiro, una preghiera, una supplica: sulle labbra di Fanny un bacio, su quelle di Henry un gemito, su quelle di Effie una benedizione di tale potenza che il suo intero essere era soffuso di amore e di desiderio… Marta.
Dopo mezzanotte lei percorreva il corridoio poco illuminato della casa di Crook Street. Quando passava sentivo sulla nuca il suo tocco leggero, ironico. Coglievo il suo profumo sulle tende, udivo il tono piacevolmente roco, la voce con la lieve inflessione dalla finestra aperta, mentre rideva dall’umida nebbia di Londra. La sognavo così come l’avevo vista la prima volta dalla fessura nel muro, un rosa ardente di carne cremisi, una Furia con i capelli in fiamme, che rideva attraverso il fuoco come una pazza o una dea…”
Questo romanzo piace e non piace, si fa un po’ fatica a leggerlo, certe volte viene voglia di abbandonarlo, altre di vedere come va a finire a tutti i costi. Credo che sia una dei casi dove la copertina invoglia alla scelta, ma il contenuto non è alla sua altezza.
Manoscritto, dall’eredità di Henry Paul Chester
Gennaio 1881
Nel guardare il mio nome e le lettere che lo seguono mi sento pervaso da un grande vuoto. Come se questo Henry Chester, pittore che ha esposto due volte alla Royal Academy, non fossi io ma il frutto confuso dell’immaginazione di qualcuno, il tappo di una bottiglia contenente un genio di squisita malignità che permea il mio essere e mi proietta in un regno di pericolose avventure, in cerca del pallido e terrorizzato fantasma di me stesso.
Il nome di quel genio è cloralio, compagno tenebroso delle mie ore di sonno, tenero compagno di letto ora divenuto malevolo. Eppure siamo legati da troppo tempo per separarci, il genio e io. Insieme scriveremo questo racconto, ma il tempo rimasto è poco! Le ultime frange della luce del giorno calano dall’orizzonte, e già mi pare di avvertire le ali dell’angelo nero nell’angolo più buio della stanza. È paziente, ma non all’infinito.
Dio, il più sublime degli aguzzini, si degnerà di concedermi qualche tempo per scrivere la storia che porterò sottoterra, fredda ma non più fredda di questo cadavere che abito, di questo deserto dell’anima. Ah, è un Dio geloso, spietato come solo gli immortali sanno essere, e quando l’ho implorato nella mia sofferente sozzura, Lui ha sorriso e ha risposto con le parole che diede a Mosè dal roveto in fiamme: Io sono colui che sono. Il suo sguardo è privo di compassione, privo di tenerezza. Non vi scorgo promessa di redenzione, né minaccia di punizione: solo un’enorme indifferenza, che non promette nulla se non l’oblio. Ma quanto desidero sciogliermi nella terra, così che neppure quello sguardo onniveggente possa trovarmi… ma il bambino che è in me strepita per il buio, e il mio povero corpo menomato urla reclamando tempo… ancora un po’ di tempo, ancora un racconto, ancora un gioco.
E l’angelo nero posa la sua falce accanto alla porta e si siede vicino a me per un’ultima partita a carte.
Non dovrei mai scrivere dopo che sono calate le tenebre. Di notte le parole diventano false, inquietanti: eppure è di notte che queste hanno più potere. Shahrazad scelse la notte per tessere le sue mille e una storia, ciascuna delle quali è una porta in cui si infila ininterrottamente con la Morte alle calcagna, come un lupo inferocito. Lei conosceva il potere delle parole. Se non avessi abdicato al desiderio della donna ideale, sarei andato in cerca di Shahrazad: è alta e sottile, la pelle color del tè cinese. Ha gli occhi della notte; cammina a piedi scalzi, arrogante e pagana, libera da vincoli di moralità e modestia. Ed è astuta: gioca spesso la partita contro la morte e vince, ogni sera reinventa sé stessa, così ogni sera quell’orco brutale di suo marito ritrova una nuova Shahrazad che scivola via col mattino; ogni mattino lui si sveglia e la vede alla luce del giorno, pallida e silenziosa dopo il lavoro notturno, e giura fra sé che non si farà più ingannare! Ma non appena scende il crepuscolo, lei tesse di nuovo la sua rete di fantasticherie, e lui pensa: ancora una volta…
Questa sera io sono Shahrazad.