Le cinque persone che incontri in cielo è un romanzo di Mitch Albom, edito da Rizzoli, pubblicato nel 2005, genere narrativa. La storia di un giostraio di luna park che muore per salvare una bambina da una giostra guasta. Si risveglia nell’aldilà e qui incontra cinque persone conosciute in vita.
“Ogni fine è anche un principio.
Solo che, quando sopraggiunge, lo si ignora.”
Eddie, vecchio e solo, ha avuto una vita come quella di tanti altri. E’ il giorno del suo ottantatreesimo compleanno e nel luna park in cui lavora una bambina è rimasta intrappolata nella grande ruota panoramica e rischia di cadere. Eddie si arrampica per aiutarla, ma scivola, precipita e muore. Si risveglia in cielo e scopre che il paradiso è il luogo in cui ciascuno di noi incontrerà cinque persone che gli sveleranno il senso della propria vita. Ascoltando i racconti dei cinque maestri (uno dei quali è la moglie Marguerite, morta molti anni prima), Eddie rivedrà sotto una nuova luce tutto il suo passato e capirà che anche la sua umile esistenza ha avuto un ruolo necessario nell’ordine delle cose.
“Tutti i genitori fanno del male ai figli, è inevitabile. I giovani, come vetro puro, conservano le impronte di quanti li toccano. Alcuni genitori li macchiano, altri li incrinano, altri ancora li frantumano in mille pezzi, senza possibilità di recupero.”
Dopo aver letto “I miei martedì con il professore” ho acquistato altri libri di questo autore, nessuno compreso questo è stato all’altezza del primo. Un libro che fa riflettere sul tempo che passa, sul tempo che ci prendiamo prima di far sapere alle persone che le amiamo, sulle nostre azioni che hanno sempre delle conseguenze, sulla vita che è breve e va vissuta al massimo. A parte l’oggettivo messaggio sopracitato, la lettura non mi ha coinvolta, troppo surreale per i miei gusti, detto da una che ama Stefano Benni fa ridere, ma in questo caso non ho apprezzato, forse non era il momento giusto per leggerlo, chissà.
Questa è la storia di un uomo chiamato Eddie e comincia dalla fine, con Eddie che muore sotto il sole. Potrebbe sembrare strano iniziare una storia dal finale, ma ogni fine è anche un principio. Solo che, quando sopraggiunge, lo si ignora.
Eddie trascorse la sua ultima ora di vita, come gran parte delle altre, al Ruby Pier, un parco divertimenti prospiciente un vasto oceano grigio. Il parco aveva le solite attrazioni, un lungomare di legno consunto dalle intemperie, una ruota panoramica, le montagne russe, l’autoscontro, una bancarella di dolciumi e un locale con le macchinette automatiche, in cui si poteva sparare un getto d’acqua nella bocca di un clown. Di recente aveva acquisito una nuova grande attrazione, la Freddy’s Free Fall, ed Eddie sarebbe morto proprio lì, in un incidente destinato a occupare le prime pagine dei giornali dell’intero Stato.
Al momento della morte Eddie era un uomo anziano, tarchiato, dai capelli bianchi e dal collo taurino. Aveva il torace ben sviluppato e le braccia robuste, e un tatuaggio sbiadito dell’Esercito sulla spalla destra. Le gambe corte erano ormai rinsecchite e solcate da una rete di vene. Il ginocchio sinistro, ferito in guerra, era roso dall’artrite, e per camminare Eddie aveva bisogno di un bastone.
Aveva un viso largo e segnato dal sole, due ispidi basettoni e la mandibola lievemente protrusa, che lo faceva sembrare più fiero di quanto fosse. Teneva sempre una sigaretta dietro l’orecchio sinistro e un anello di chiavi appeso alla cintura; indossava scarpe dalla suola di gomma e un vecchio berretto di lino. La sua divisa color marrone chiaro era quella di un operaio, quale in effetti era.
Il lavoro di Eddie consisteva nel «manutenere» le giostre, il che in realtà equivaleva a garantirne la sicurezza. Ogni pomeriggio, rigorosamente, percorreva a piedi il parco, verificando ogni attrazione, dal Tilt-A-Whirl al Pipeline Plunge. Andava a caccia di assi rotte, di bulloni allentati e di pezzi d’acciaio usurati. Talora si fermava all’improvviso e sollevava lo sguardo. Le persone che gli passavano accanto temevano che qualcosa non andasse, ma lui si era solo messo in ascolto: dopo tutti quegli anni riusciva a percepire i problemi, come lui stesso affermava, nei crepitìi, nei borbottìi e nei pìcchiettìi delle macchine.
Negli ultimi cinquanta minuti che gli restavano da vivere sulla Terra, Eddie s’incamminò per l’ultimo giro d’ispezione al Ruby Pier e superò una coppia di anziani.
«Signori» borbottò, toccandosi il cappello.
La coppia rispose educatamente con un cenno. I clienti lo conoscevano, perlomeno quelli abituali. Lo vedevano ogni estate, e lui era ormai diventato una di quelle facce che si associano a un posto. La sua camicia da lavoro recava sul petto un’etichetta di stoffa con la scritta eddie e, sotto, manutenzione. Talvolta lo salutavano esclamando «Ciao, Eddie Manutenzione», malgrado lui non avesse mai trovato la cosa divertente.
Quel giorno, il caso volle, era il suo compleanno, l’ottantatreesimo. La settimana precedente il dottore gli aveva comunicato che era affetto da herpes zoster. Herpes zoster? Eddie non sapeva nemmeno che cosa fosse.
Una volta era tanto forte da riuscire a sollevare due cavalli delle giostre, uno per braccio. Ma da allora era passato molto tempo.