Il ladro di corpi è il quarto romanzo gotico della saga Cronache dei vampiri scritta da Anne Rice, pubblicato nel 1992. Ritroviamo ancora il vampiro Lestat come protagonista e anche in questa occasione alle prese con i dubbi e i sensi di colpa che la sua condizione gli ispira, tanto da fargli desiderare di non essere più immortale.
“Solo i morti sanno quanto sia terribile essere vivi”
E’ la solitudine, la “maledizione” che si impadronisce di Lestat, il vampiro immortale, il principe incontrastato del tenebroso universo dei morti viventi. Lestat avverte dolorosamente la “maledizione” della sua solitudine e desidera rinascere come mortale, liberandosi quindi del suo corpo di “non-morto” e impadronendosi di un corpo “vivo”. Intraprende così un viaggio che lo porterà da Miami al deserto del Gobi, da Amsterdam alla giungla amazzonica, fino all’incontro cruciale con l’unico uomo che può soddisfare il suo desiderio, Raglan James, il Ladro di Corpi. Più sinistro e malvagio di un demone, il Ladro di Corpi si impadronisce con l’inganno del corpo vampiresco di Lestat, il quale, rinchiuso come anelava nel corpo mortale, scopre…
“È il vampiro Lestat che parla. Ho una storia da raccontarvi. Una storia che riguarda qualcosa che mi è accaduto.
La storia comincia a Miami, nel 1990, ed è proprio da lì che voglio partire. È importante tuttavia che voi conosciate i sogni che ho fatto prima di allora, perché anch’essi rivestono un ruolo essenziale. Parlo dei sogni su una vampira bambina, dal cervello di donna e dal viso d’angelo, ma anche di quello su David Talbot, mio amico mortale. E poi ancora dei sogni sulla mia adolescenza mortale vissuta in Francia: delle nevi d’inverno, del castello cadente e desolato di mio padre in Alvernia e della volta in cui andai a caccia del branco di lupi che stava tormentando il nostro povero villaggio.
I sogni possono essere reali come gli eventi davvero accaduti. O almeno così mi è sembrato in seguito.”
La narrazione è affidata ancora una volta al vampiro Lestat, il libro pone in risalto il problema che tutti, di fronte ad una vita immortale, saremmo destinati a porci prima o poi: oltre che vita eterna, avremmo eterna solitudine. La natura del vampiro è intrinsecamente quella di un predatore solitario, ma prima di essere vampiro Lestat era un uomo, e l’essere umano si sa, è un animale sociale.
I toni catastrofici, epici e apocalittici visti in “La regina dei dannati” qui vengono abbandonati in favore di una narrazione più semplice e di una storia più lineare, anche l’enorme intreccio di personaggi visto in precedenza lascia qui spazio a un più ristretto gruppo.
Il libri per le prime 100 pagine è troppo prolisso e noioso, privo di quello che spinge il lettore a voltare pagina, ma poi vale la pena resistere.
Quando ho cominciato a fare quei sogni mi trovavo in uno stato d’animo assai cupo: ero un vagabondo, un vampiro errante sulla terra, talvolta così coperto di polvere da passare completamente inosservato. E a nulla servivano i miei splendidi capelli, biondi e fluenti, i penetranti occhi azzurri, gli abiti alla moda, il sorriso irresistibile e soprattutto il corpo ben proporzionato, oltre il metro e ottanta d’altezza, che, a dispetto dei suoi duecento anni, poteva essere scambiato per quello di un mortale ventenne. Nondimeno, ero anche un uomo di buonsenso, un figlio del XVIII secolo, epoca in cui ho vissuto prima di nascere nelle Tenebre.
Sul finire degli anni ’80 del XX secolo, tuttavia, ero molto cambiato rispetto all’ardito, inesperto vampiro dei tempi passati, così fedele al classico mantello nero e ai pizzi di Bruxelles, a quel gentiluomo con tanto di bastone da passeggio e guanti bianchi che danzava sotto i lampioni a gas.
Ero stato trasformato in una sorta di dio tenebroso grazie al dolore, alle vittorie e al troppo sangue dei nostri vampiri più anziani. Disponevo di poteri che mi sconcertavano e che talvolta persino mi agghiacciavano. Erano poteri che mi rendevano infelice, sebbene non sempre ne comprendessi la ragione.
Potevo, per esempio, librarmi nell’aria, viaggiare attraverso i venti della notte e coprire con facilità grandi distanze, come se fossi uno spirito. Potevo creare o distruggere la materia con la forza del pensiero. Potevo attizzare un fuoco soltanto desiderandolo. Potevo chiamare, con la mia voce soprannaturale, altri immortali da un capo all’altro del mondo. Potevo leggere senza sforzo nella mente di vampiri e umani.
Niente male, potreste pensare. Io lo detestavo. Senza dubbio mi affliggevo per quello che ero stato: un ragazzo mortale, il rigenerato che tornava a nuova vita, una volta stabilito che scegliere il male era un bene, se quello doveva essere il suo credo.
Non sono un pragmatista, beninteso. Ho una coscienza acuta e spietata. Avrei potuto essere un bravo ragazzo. Forse a volte lo sono. Ma sono sempre stato un uomo d’azione. Il dolore è uno spreco, come lo è la paura. E proprio l’azione è ciò che troverete qui, non appena avrò finito questa introduzione.