Il manoscritto ritrovato ad Accra è un libro scritto da Paulo Coelho, pubblicato nel 2012. In questo libro offre la propria versione della famosa pergamena datata 1307 e scoperta a Nag Hammadi in Egitto nel 1974 dall’archeologo britannico Sir Walter Wilkinson. Il manoscritto era redatto in tre lingue: arabo, ebraico e latino. L’esame del Carbonio 14 rivela che il reperto risale indicativamente all’anno 1307. Le ricerche successive condussero alla località nella quale il manoscritto era stato redatto: la città di Accra.
“Ora che sono giunto alla fine della vita, lascio a coloro che mi succederanno tutto ciò che ho appreso mentre camminavo sulla superficie della Terra. Che ne facciano buon uso.”
14 luglio 1099. Mentre Gerusalemme si prepara all’invasione dei crociati, un uomo greco, conosciuto come Il Copto, raccoglie tutti gli abitanti della città, giovani e vecchi, donne e bambini, nella piazza dove Pilato aveva consegnato Gesù alla sua fine. La folla è formata da cristiani, ebrei e mussulmani, e tutti si radunano in attesa di un discorso che li prepari per la battaglia imminente, ma non è di questo che parla loro il Copto: il vecchio saggio, infatti, li invita a rivolgere la loro attenzione agli insegnamenti che provengono dalla vita di tutti i giorni, dalle sfide e dalle difficoltà che si devono affrontare. Secondo il Copto, la vera saggezza viene dall’amore, dalle perdite sofferte, dai momenti di crisi come da quelli di gloria, e dalla coesistenza quotidiana con l’ineluttabilità della morte.
Il manoscritto ritrovato ad Accra è un invito a riflettere sui nostri princìpi e sulla nostra umanità, è un inno alla vita, al cogliere l’attimo presente contro la morte dell’anima.
Coelho tocca gli animi dei lettori più attenti e sensibili, di quelli che avvertono l’esigenza di riscoprire una dimensione intimistica e nel contempo trascendentale del vivere umano.
Prefazione e saluto
Nel dicembre del 1945, due fratelli erano alla ricerca di un posto dove riposare nei pressi di Hamrah Dawm, vicino a Qena, nell’Alto Egitto: scelsero di sostare in una caverna e, ispezionandola, trovarono una giara contenente numerosi papiri. Anziché avvisare le autorità locali del ritrovamento – come stabilito dalla legge -, decisero di venderli pian piano sul mercato nero dei reperti archeologici, in modo da non attirare l’attenzione degli organismi governativi. Temendo l’influsso di “energie negative”, la madre dei giovani bruciò svariati fogli recuperati dai figli.
L’anno seguente, per motivi che la storia non ha registrato, i due fratelli litigarono. Attribuendo il fatto alle “energie negative” dei papiri, la madre li consegnò a un sacerdote, il quale ne vendette uno al Museo Copto del Cairo. Fu a quel punto che i documenti divennero celebri con il nome di “Manoscritti di Nag Hammadi” – si tratta di un riferimento al villaggio più vicino alla caverna dove furono rinvenuti. Un collaboratore del museo, l’egittologo e glottologo Jean Doresse, si rese conto dell’importanza della scoperta e, nel 1948, ne scrisse per la prima volta in una rivista scientifica.
Con il passare del tempo, altri rotoli vennero offerti ai collezionisti sul mercato nero. Ben presto il governo egiziano comprese la portata del ritrovamento e si adoperò affinché i manoscritti non uscissero dal paese. Subito dopo la rivoluzione del 1952, la maggior parte dei materiali furono acquisiti al Museo Copto e dichiarati patrimonio nazionale. Solo un papiro prese un’altra via, e ricomparve presso un antiquario belga. I tentativi di vendita a New York e Parigi fallirono e, alla fine, nel 1951, venne acquistato dalla Fondazione Jung di Zurigo. Alla morte dello psicanalista, il documento – noto come “Codice Jung” -, fu riportato al Cairo, dove attualmente sono conservate circa un migliaio fra pagine e frammenti dei “Manoscritti di Nag Hammadi”.
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I papiri contengono le traduzioni in copto di testi greci composti tra il I e il II secolo d.C. e, in grande misura, costituiscono il corpus principale dei cosiddetti Vangeli Apocrifi – quelli che non compaiono nelle varie versioni della Bibbia diffuse oggi.
A che cosa è dovuta questa assenza?
Nel 170 d.C., un gruppo di vescovi si riunì per stabilire i testi che avrebbero formato il Nuovo Testamento. La scelta si basò su un criterio molto semplice: sarebbero stati inclusi tutti i documenti in grado di combattere le eresie e le divisioni dottrinarie dell’epoca. Con questo criterio vennero selezionati gli attuali vangeli, le varie lettere e tutti i testi che avevano una certa “attinenza” con l’idea fondante del Cristianesimo di quel tempo. Alcuni riferimenti al lavoro dei prelati sono deducibili dal Canone Mu- ratoriano, un manoscritto anonimo dell’VlII secolo, dove sono annotati i libri scelti. I testi esclusi – quelli ritrovati a Nag Hammadi, per esempio – devono la loro rimozione al fatto che erano compilati da persone di sesso femminile – il Vangelo di Maria Maddalena, per citarne soltanto uno -, o perché rivelavano un Gesù consapevole della propria missione divina, la qual cosa rendeva il suo sacrificio estremo meno sofferto e doloroso.
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Nel 1974, un archeologo inglese, Sir Walter Wilkinson, scoprì nei pressi di Nag Hammadi un altro manoscritto, redatto in tre lingue: arabo, ebraico e latino. Poiché conosceva le leggi che tutelano i reperti storici rinvenuti nella regione, inviò il documento al Dipartimento di Antichità del Museo del Cairo. Poco tempo dopo, le autorità lo informarono che esistevano almeno centocinquantacinque esemplari di quel papiro – tre appartenevano al Museo; i restanti erano disseminati nel mondo -, nei quali il testo non presentava alcuna variante. Le analisi, effettuate con il metodo del Carbonio 14 (un esame pressoché infallibile per stabilire la datazione di materiali organici), rivelarono che il reperto era piuttosto recente: indicativamente risaliva all’anno 1307. Le ricerche successive condussero alla località nella quale il manoscritto era stato redatto: la città di Accra, ben lontana dal territorio egiziano. A quel punto, non esisteva alcun vincolo che impedisse l’esportazione del reperto dal paese e così, il 23 novembre 1974, Sir Wilkinson ottenne dal governo del Cairo l’autorizzazione a portarlo in Inghilterra (Rif. 1901/317/ IFP-75, 23 XI 1974).
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Conobbi il figlio di Sir Walter Wilkinson intorno al Natale del 1982, a Porthmadog, in Galles. Ricordo che mi parlò del manoscritto ritrovato dal padre, ma senza dilungarsi – né lui né io eravamo particolarmente interessati all’argomento. Per molti anni, ho mantenuto un rapporto cordiale con il giovane inglese e l’ho rivisto altre due volte, in occasione dei tour di promozione dei miei libri nel Regno Unito.
Il 30 novembre 2011, ho ricevuto una copia del testo al quale aveva accennato durante il nostro primo incontro. Questo libro ne riporta l’esatta trascrizione.