Nessuno sa di noi è un romanzo di Simona Sparaco edito da Giunti e pubblicato il 16 gennaio 2013.
“Chiudo gli occhi. Attendo che la macchina si fermi da qualche parte. Attendo il dolore. Non lo sento quando rientro a casa e trovo tutto come l’ho lasciato. Il salone immerso nella penombra. La portafinestra oltre la quale si è appena incenerito un tramonto. Le lettere indirizzate alla rubrica sparpagliate sul pavimento. Il computer acceso, dove rimbalza il nome di mio figlio, sbattendo da un lato all’altro dello schermo come in cerca di una via di fuga. Non lo sento mentre raggiungo la cucina e mando giù un bicchiere d’acqua. Lancio un’occhiata alle note appese alla lavagna, le cose da comprare, i numeri utili. Tutto esattamente come prima. Come prima dell’ultima ecografia. Non lo trovo il dolore ma lo cerco, come si cerca un interruttore per accendere una luce.”
Quando Luce e Pietro si recano in ambulatorio per fare una delle ultime ecografie prima del parto, sono al settimo cielo. Pietro indossa persino il maglione portafortuna, quello tutto sfilacciato a scacchi verde e blu delle grandi occasioni. Finalmente, dopo anni di inutili tentativi, di “sesso a comando” e di calcoli esasperanti con calendario alla mano, conosceranno il loro bambino. Non appena sul monitor appare il piccolo Lorenzo, però, il sorriso della ginecologa si spegne di colpo. Lorenzo è “troppo corto”. Ha qualcosa che non va. Comincia così il viaggio di una coppia nella nebbia di una realtà sconosciuta. Luce e Pietro sono chiamati a prendere una decisione irrevocabile, che cambierà per sempre la loro vita e quella di chi gli sta intorno. Qual è la cosa giusta quando tutte le strade li conducono a un vicolo cieco? E l’amore fino a che punto potrà salvarli? Nessuno sa di noi è la storia della nostra fragilità. Di un mondo che si lacera come carta velina e di un grande amore che tenta in ogni modo di ricomporlo.
Un’esperienza di dolore e rinascita raccontata da una voce così potente e umana da rimanere impressa per molto tempo. Un romanzo che scuote l’anima.
Finalista Premio Strega 2013.
Se vi aspettate un libro leggero ai quali ci ha abituati la Sparaco avete sbagliato, questo libro è emozionante, coraggioso e doloroso.
Un libro che fa riflettere e tocca le coscienze, comunque la si pensi in merito.
Ho letto una recensione che lo dipinge perfettamente: Un libro dolorosamente meraviglioso!
Siamo tutte qui.
Ognuna con il proprio trofeo, più o meno in evidenza, e la cartella clinica sottobraccio. Tutte ordinatamente sedute, come a scuola per un richiamo dal preside. Qualcuna sfoglia una rivista, con l’espressione vaga e compiaciuta di chi sa che la passerà liscia. Qualcun’altra, invece, se ne sta a testa bassa, con le mani serrate in un intreccio nervoso. Come se dietro quella porta color pastello ci fosse davvero la minaccia di un’espulsione.
Siamo tutte madri nell’attesa di un’ecografia.
Una di loro mi chiede di quante settimane sono, io le rispondo a malapena e Lorenzo mi dà un calcio. Sembra voglia ricordarmi che non sono più sola, che d’ora in avanti devo sforzarmi di diventare più socievole anche per lui. Soltanto in questa sala d’attesa si potrebbero contare sette possibili futuri compagni di giochi. E poi rimane così, con il piede puntato sotto il mio sterno. Lo immagino con il broncio e la stessa mia tenacia di quando mantengo il punto. Del resto, sono ventinove settimane e due giorni che non faccio altro. Lavorare di fantasia.
Pietro mi siede accanto. Ogni volta indossa il maglione a scacchi verde e blu, quello del giorno della laurea, con i pelucchi e i fili che pendono da tutte le parti. Dice che è un fatto scaramantico. Sta guardando le ecografie precedenti, dalla transnucale alla morfologica, magari cercando, in quell’intricato gioco d’ombre, il suo naso o la mia bocca, il taglio d’occhi di sua madre, che sembra uscita da un film muto, o la forma del viso di mio nonno, il partigiano, che aveva un sorriso così fiero. Intanto io rifletto sulla scelta del colore che ho appena dato alle pareti della nuova cameretta. Alla fine non è venuto fuori quell’azzurro sfumato in una gradazione di grigio che avevo visto la prima volta su un catalogo francese e che mi era piaciuto tanto, questo, appena asciugato, è diventato finto, un azzurro da film in technicolor anni cinquanta. Chissà perché sono sempre così insignificanti i pensieri, un attimo prima dell’impensabile.
È il mio turno. Dallo studio esce una giovane donna. È sola, sul ventre un gonfiore appena accennato. Lo sguardo esitante ma già carico di promesse. La dottoressa si affaccia sulla soglia e mi fa cenno di entrare.
«Prego.»
Mi alzo e la raggiungo. Pietro mi segue in silenzio. La salutiamo entrambi con un mezzo sorriso impaziente.
«Luce, come sta?» domanda, chiudendoci la porta alle spalle.
«Come una grossa incubatrice» rispondo con uno sbuffo ironico.
«Lo sa che da quando ho scoperto la sua rubrica, mi sono abbonata al settimanale?»
La ringrazio, senza rendermene conto, con una frase qualsiasi di circostanza. Mi avvicino subito al lettino. Ho fretta di alzarmi il vestito e tornare a guardarlo.
Pietro apre il raccoglitore plastificato dove custodisce i referti degli esami precedenti, ma la dottoressa lo blocca con un gesto della mano. Si vede che è il nostro primo figlio.
«Andiamo bene» commenta squadrando il mio ventre tondo come un uovo gigante. «È cresciuta parecchio.»
Io sono già distesa e ho il vestito arrotolato sul petto. Fisso la sonda ecografica, a pochi centimetri da me, come un drogato in astinenza davanti a una dose di metadone. Pietro mi stringe una mano. La dottoressa ci sorride. Sì, andiamo bene. È sorridente anche quando accende il monitor e mi spreme sulla pelle tesa un vermicello di gel, freddo e trasparente. «Prima di Natale avete tutte una gran fretta» scherza sottovoce. «Sembra che vi mettiate d’accordo per prendere appuntamento lo stesso giorno.» Nel frattempo, con la sonda spalma il gel in un’ampia spirale, premendo con delicatezza sotto l’ombelico. Ma quando sul monitor compare finalmente la testa di Lorenzo, smette di sorridere. Di colpo, le guance le ricadono ai lati della bocca, come due sacche flaccide e rugose. E tra le sopraciglia, le si forma un solco profondo, una piega di costernazione.
Sul monitor mio figlio va e viene, come quelle immagini rimandate dagli specchi deformanti di un luna-park.