L’uomo che voleva fermare il tempo è un romanzo di Mitch Albom edito da Rizzoli, pubblicato nel 2013. Con il tocco lieve e profondo Albom torna a interrogare i temi eterni dell’amore e della ricerca di senso in questa moderna parabola intensa e commovente.
“Provate a immaginare una vita in cui il tempo non venga segnato. Probabilmente non ci riuscirete. Conoscete il mese, l’anno, il giorno della settimana. C’è un orologio sulla parete o sul cruscotto della vostra macchina. Avete un’agenda, un orario per cenare o per guardare un film.
Eppure, intorno a voi, la vita non si cura del tempo che scorre. Gli uccelli non sanno che significhi fare tardi. Un cane non controlla l’orologio. I cervi non si preoccupano del passare degli anni. Solo l’uomo misura il tempo, e ascolta i rintocchi dell’orologio.
E, a causa di questo, l’uomo è paralizzato da una paura che nessun’altra creatura deve sopportare.
La paura di non avere abbastanza tempo.”
In un angolo appartato della vecchia New York, c’è una piccola, misteriosa bottega che vende orologi di ogni epoca e foggia. È qui, nell’atmosfera sospesa di uno stanzino pieno di polvere e di vecchi ingranaggi, che si incrociano i tormentati cammini dei protagonisti di questo romanzo: Sarah, la ragazza solitaria dagli occhi tristi e il cuore in tumulto; Victor il vecchio magnate disposto a tradire gli affetti più cari in cambio di un po’ di futuro; e infine Dor, l’uomo che per l’ossessione del tempo ha perso l’amore e l’innocenza. Solo cercando il coraggio di superare i rispettivi dolori, i tre potranno impugnare il destino e ribaltare una storia che sembrava già scritta. Nel nome di un tempo, quello del cuore, che non si compra e non si misura, che ci rende liberi proprio perché non si può fermare.
“Questa è una storia sul significato del tempo e comincia millenni fa, agli albori della storia dell’uomo, con un bambino scalzo che risale di corsa il versante di una collina.
Davanti a lui c’è una bambina, anche lei scalza. Sta cercando di acciuffarla. Spesso funziona così, a quell’età.
Per questi due sarà sempre così.”
La nostra vita è basata sul tempo ed è paradossale pensare che non sappiamo con certezza nulla di esso: che cos’è? Esiste veramente oppure è stato inventato dall’uomo per regolare la sua vita? Ci serve veramente il tempo per vivere meglio?
Una cosa è sicura, la percezione che abbiamo di esso è assolutamente soggettiva come ci spiega Eistein, ma per tutti arriva un momento in cui il tempo sembra smettere di scorrere e Mitch Albom ci offre la sua teoria, insieme a un infinito numero di spunti di riflessione sulla nostra esistenza e quella dell’umanità intera.
1
Un uomo seduto in una caverna, da solo.Ha i capelli lunghi e la barba gli arriva alle ginocchia. Tiene il mento fra le mani.
Chiude gli occhi.
Sta ascoltando qualcosa. Voci. Un’infinità di voci. Emergono da una pozza in un angolo della caverna.
Sono le voci degli abitanti della Terra.
Vogliono tutte un’unica cosa.
Tempo.
Sarah Lemon è una di quelle voci.È una teenager dei giorni nostri e, stravaccata sul letto, fissa una foto sul cellulare: un bel ragazzo dai capelli color caffè.
Stasera lo vedrà. Stasera alle otto e trenta. Si ripete di continuo Otto e trenta, otto e trenta! e si chiede che vestiti indossare. I jeans neri? Il top smanicato? No, lo smanicato no. Detesta le sue braccia.
«Ho bisogno di più tempo» dice.
Victor Delamonte è una di quelle voci.È un uomo benestante sugli ottantacinque anni, seduto nello studio di un medico. Sua moglie gli siede accanto. Della carta bianca copre un lettino.
«Non c’è molto da fare» dice il dottore con voce sommessa. Mesi di cura non hanno guarito i tumori e nemmeno la disfunzione renale.
La moglie di Victor vorrebbe porre una domanda, ma le parole le si fermano in gola. Come se condividessero la stessa laringe, Victor si schiarisce la voce.
«Quello che Grace vorrebbe chiederle è… quanto tempo mi rimane?»
Le sue parole, e quelle di Sarah, si propagano fino alla lontana caverna e giungono al solitario uomo con la barba che la abita. Quest’uomo è Padre Tempo.Potreste crederlo un mito, una leggenda, un personaggio disegnato su un biglietto di auguri per l’anno nuovo: vetusto, allampanato, con una clessidra fra le mani, più vecchio di chiunque altro su questo pianeta.
Ma Padre Tempo è reale. E, in verità, non può invecchiare. Sotto la barba disordinata e la chioma fluente – segni di vita, non di morte – il suo corpo è snello, la sua pelle priva di rughe, immune a ciò su cui regna.
Una volta, prima che attirasse su di sé la collera di Dio, era un uomo come gli altri, destinato a morire.
Adesso ha un’altra sorte: esiliato in questa caverna, deve ascoltare le suppliche del mondo che domandano più minuti, più ore, più anni, più tempo.
È qui da un’eternità. Ha perso la speranza. Ma un orologio ticchetta per tutti noi, silenzioso, da qualche parte. E ce n’è uno che ticchetta anche per lui.
Presto Padre Tempo sarà libero, libero di tornare sulla Terra.
E terminare ciò che ha iniziato.