Torna Nick Hornby con un nuovo romanzo, Funny girl, pubblicato nel 2014, una storia divertente e agrodolce, ambientata nel mondo dello spettacolo sullo sfondo dei favolosi anni Sessanta della Swinging London, una protagonista femminile forte e tenera al tempo stesso, una donna che vuole puntare sull’ironia, più che sulla bellezza, che vuole fare l’attrice, piuttosto che la soubrette, che vuole essere amata, ma davvero.
“Che cosa ci faceva con lei? Come faceva ad amarla? Eppure l’amava. O, almeno, lei lo faceva sentire triste, sfinito, deconcentrato. Forse c’era un altro modo di descrivere quella combinazione di sentimenti unica e sterile, ma per il momento doveva accontentarsi della parola «amore».”
Nella Swinging London l’rresistibile ascesa di una ragazza che voleva “far ridere la gente”.
Nell’Inghilterra degli anni Sessanta spopola l’attrice televisiva Sophie Straw, ex reginetta di bellezza di un paesino del Nord, che ha cambiato nome e tagliato i ponti con la famiglia per trasferirsi nella Swinging London, inseguendo il sogno di far ridere la gente come la sua eroina, la star americana Lucille Ball. Insieme a lei, l’affiatatissima squadra che lavora alla serie della BBC Barbara (e Jim), di cui Sophie è l’indiscussa protagonista: un cast di personaggi straordinari che stanno vivendo, forse senza esserne consapevoli, la grande avventura della loro vita.
Gli sceneggiatori, Tony e Bill, nascondono un segreto difficile da confessare. Dennis, il produttore colto e sensibile, ama il suo lavoro ma odia il suo matrimonio – forse perché è sposato con la donna che detiene il record mondiale di snobismo.
Il protagonista maschile, Clive, più bello di Simon Templar e molto vanesio, sente di essere destinato a una carriera di più alto profilo. E Sophie, che si è giocata il tutto per tutto pur di sfuggire alla monotonia della provincia e alla minaccia di un matrimonio senza amore, si troverà a recitare un copione di scena troppo simile a quello della sua vita, e dovrà decidere che tipo di donna essere, e che tipo di uomo scegliere, in un mondo in cui anche le donne sperimentano nuovi ruoli e una nuova libertà.
Non desiderava diventare una Miss, ma destino volle che stesse per succedere.
Tra la sfilata e l’annuncio ci fu qualche minuto di inerzia, così amici e famigliari si raccolsero attorno alle ragazze per far loro i complimenti e incrociare le dita. I gruppetti che si formarono ricordavano a Barbara le rotelle di liquirizia Catherine, quelle col cuore colorato: in centro una ragazza in costume da bagno rosa o azzurro caramella e tutt’intorno un vortice di impermeabili neri o marrone scuro. Era una giornata fredda e piovosa di luglio, ai Bagni South Shore, e le concorrenti avevano le braccia e le gambe arrossate e la pelle d’oca. Sembravano tacchini appesi in una vetrina di macelleria. Solo a Blackpool, pensò Barbara, puoi vincere a un concorso di bellezza conciata così. Barbara non aveva invitato amici e suo padre non voleva saperne di mettersi vicino a lei, così era bloccata lì da sola. Lui se ne stava su una sedia a sdraio, a far finta di leggere il Daily Express. Insieme avrebbero formato una rotella Catherine malconcia e sbocconcellata, ma le sarebbe piaciuto lo stesso avere la sua compagnia. Alla fine fu lei ad andare da lui. Allontanarsi dalle altre ragazze la fece sentire mezzo nuda e a disagio, piuttosto che glam e posata, e passando davanti agli spettatori fu costretta a beccarsi le loro espressioni di ammirazione. Quando arrivò da suo padre, fu probabilmente più aggressiva di quanto avrebbe voluto.
«Che cosa fai, papà?» sibilò.
Le persone sedute accanto a lui, annoiate, quasi tutti villeggianti, di colpo si irrigidirono di eccitazione. Una delle ragazze! Lì, davanti a loro! A sgridare suo padre!
«Oh, ciao, tesoro.»
«Perché non sei venuto da me?»
Lui la guardò come se gli avesse chiesto chi era il sindaco di Timbuctù.
«Non hai visto quello che facevano gli altri?»
«Sì. Ma non mi sembrava la cosa giusta da fare. Almeno per me.»
«E in che cosa saresti tanto diverso dagli altri?»
«Un uomo solo, che corre… come un forsennato in mezzo a un mucchio di belle ragazze poco vestite. Mi avrebbero rinchiuso.»
George Parker era un ciccione di quarantasette anni, vecchio prima di averne il diritto. Era solo da più di dieci anni, da quando la madre di Barbara lo aveva lasciato per il proprio superiore dell’ufficio delle imposte, e Barbara capiva che, se si fosse avvicinato alle altre ragazze, in lui si sarebbe acuita la consapevolezza di quella situazione.
«Be’, mica dovevi per forza correre come un forsennato, no?» disse Barbara. «Non potevi startene lì e basta? A parlare con tua figlia.»
«Vincerai tu, vero?» chiese lui.
Lei cercò di non arrossire, ma arrossì. I villeggianti a tiro d’orecchio ormai non fingevano neanche più di leggere il giornale o sferruzzare. La guardavano istupiditi.
«Mah, non so. Direi di no» rispose.
La verità era che lo sapeva. Il sindaco si era avvicinato, le aveva sussurrato un «brava» all’orecchio e le aveva dato una pacchetta discreta sul sedere.
«Ma dai. Sei infinitamente più carina delle altre. Non c’è confronto.»