L’arte è stata per secoli uno strumento potente per esprimere la spiritualità e la bellezza della vita. Tra le molte tematiche affrontate dagli artisti nel corso dei secoli, la Natività ha occupato un posto speciale, ispirando capolavori che trasmettono la sacralità e la meraviglia del miracolo della nascita di Gesù.
La Natività, ovvero la rappresentazione dell’evento della nascita di Gesù Cristo, è un soggetto iconico nell’arte religiosa. Le prime raffigurazioni della Natività risalgono ai primi secoli del cristianesimo, con pitture murali nelle catacombe romane che illustrano la scena della nascita nella grotta di Betlemme.
Nel corso del tempo, la Natività ha ispirato numerosi artisti di diverse epoche e stili, ciascuno contribuendo con la propria interpretazione unica di questo momento straordinario. La scena della natività è talvolta arricchita dalla presenza di santi e donatori in questo caso quelle in cui compaiono altri personaggi come i pastori o i Magi sono dette invece “Adorazioni”.
Per rappresentare la sacra scena gli artisti hanno di certo preso ispirazione dalle vicende della nascita di Gesù descritte nei “Vangeli dell’Infanzia”, quelli di Luca e di Matteo, il racconto è caratterizzato da alcuni elementi significativi: la nascita nella grotta, la presenza della stella, l’arrivo dei Magi e la persecuzione di Erode. Sicuramente è un tema molto rappresentato nella Storia dell’Arte soprattutto dal Medioevo al Rinascimento.
Natività e Arte
La più antica raffigurazione che allude alla natività è del III sec. e si trova nelle catacombe di Priscilla a Roma, qui la Vergine è seduta con il Bambino in braccio mentre il profeta che le è accanto indica la stella. I cristiani dei primi secoli si identificavano con i Magi, a partire dal III secolo infatti, iniziarono a decorare con questa scena le pareti delle catacombe romane e i sarcofagi.
La stella è sicuramente un particolare importante, può avere la forma di un fiore, un rosone o un cerchio luminoso, ma può essere sostituita dalla testa di un cherubino o da un angelo in volo, a volte è il Bambino stesso a guidare i Magi o la mano divina.
Una delle prime Natività più note è sicuramente quella di Giotto, un affresco databile al 1303-1305 circa e facente parte del ciclo della Cappella degli Scrovegni a Padova.
Come fonti delle scene cristologiche Giotto usò i Vangeli, lo Pseudo-Matteo, il Protovangelo di Giacomo e la Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze.
Un paesaggio roccioso fa da sfondo alla scena della Natività, tutta incentrata in primo piano. Maria è infatti distesa su un declivio roccioso, coperto da una struttura lignea, ed ha appena partorito Gesù, mettendolo, già fasciato, nella mangiatoia, aiutata da un’inserviente, davanti alla quale spuntano il bue e l’asinello. Giuseppe sta accovacciato in basso dormiente, come tipico dell’iconografia, a sottolineare il suo ruolo non attivo nella procreazione; la sua espressione è incantata e sognante.
Il manto di Maria, un tempo azzurro lapislazzuli steso a secco, è andato oggi in larga parte perduto, scoprendo la stesura sottostante della veste rossa. A sinistra si svolge l’annuncio ai pastori, due, raffigurati di spalle vicini al proprio gregge, mentre dall’alto un angelo li istruisce sull’evento miracoloso. Altri quattro angeli volano sopra la capanna e rivolgono gesti di preghiera al fanciullo nato e a Dio nei cieli.
Originale è il taglio prospettico dell’architettura, capace di rinnovare la statica tradizione bizantina dell’iconografia. Solide sono le figure, soprattutto quella della Madonna e quella di Giuseppe, che fanno pensare a modelli scultorei, di Giovanni Pisano.
La tensione della Madonna nell’azione e l’attenzione che essa rivolge al figlio sono brani di grande poesia, che sciolgono in un’atmosfera umana e affettuosa il racconto sacro. L’inserimento delle figure nello spazio è efficacemente risolta e gli atteggiamenti sono spontanei e sciolti, anche negli animali.
La Natività mistica di Sandro Botticelli, un dipinto a olio su tela datato 1501 e conservato nella National Gallery di Londra.
Il titolo di Natività mistica è stato assegnato dalla critica moderna per sottolineare il complesso simbolismo della scena.
Il soggetto della tela è la natività di Cristo, interpretata come un’adorazione del Bambino da parte di Maria con Giuseppe, dei pastori e dei Magi tra cori angelici. Il Bambino al centro su un giaciglio coperto da un telo bianco, la giganteggiante Vergine a destra e l’adorante e meditante Giuseppe a sinistra; dietro si vedono il bue e l’asinello, simboli tradizionali di ebrei e pagani che assistettero all’evento senza prendervi parte.
Il resto delle figure è disposto in maniera strettamente ritmica, generando simmetrie e andamenti che hanno la cadenza di un balletto. A sinistra un angelo vestito di rosa accompagna i tre re Magi; a destra uno vestito di bianco indica il Bambino a due pastori. Entrambi tengono in mano rami d’ulivo, simbolo di pace. In basso, ai piedi di un sentierino tra rocce scheggiate, tre gruppi mostrano l’abbraccio e il bacio di comunione tra angeli e personaggi laureati, quindi virtuosi, mentre sul terreno cinque diavoletti fuggono spaventati trafiggendosi coi loro stessi forconi e ricacciandosi nelle profondità attraverso le crepe del suolo: si tratta probabilmente di una visione profetica della liberazione dell’umanità dal male.
Sopra la tettoia tre angeli, con le vesti che ricordano i colori delle tre Virtù teologali (da sinistra bianco per la Fede, rosso per la Carità e verde per la Speranza) intonano un canto reggendo un corale tra le mani. Più in alto, oltre il boschetto che circonda la grotta, fatto di slanciati alberelli disposti a semicerchio, e il cielo azzurrino, si apre un fulgido brano di paradiso, su fondo oro, dove un gruppo di dodici angeli inscena un vorticoso carosello tenendosi per mano e reggendo rametti d’ulivo a cui sono appesi nastri svolazzanti e corone.
Pietro Cavallini ci regala la Natività della Vergine un opera che fa parte di ciclo decorativo dei mosaici di Santa Maria in Trastevere, viene tradizionalmente datato al 1291.
Questa opera mostra appieno le capacità tecniche di Cavallini che rompeva con le forme ieratiche bizantine e adattava i modelli stilistici dei suoi mosaici alle novità che provenivano dalla pittura e dalla scultura toscane, affiancando la scuola romana al clima gotico della pittura di Cimabue e alle prime esperienze di Giotto.
L’Adorazione dei pastori di Andrea Mantegna è un dipinto, tempera su tavola trasferita su tela, databile al 1450-1451 circa e conservato nel Metropolitan Museum of Art di New York.
La scena è ambientata all’aperto, con la Madonna al centro che adora il Bambino inginocchiata su un gradino di pietra, mentre a sinistra san Giuseppe dorme e a sinistra due pastori si inarcano in preghiera. Il sonno di san Giuseppe, rappresentato in disparte, ricorda la sua funzione esclusivamente di custode della Vergine e del Bambino. Il colloquio tra Vergine e Bambino, circondati da angioletti che solennizzano l’evento, è caratterizzato da una notevole intimità. Gesù è sapientemente raffigurato di scorcio, un tipo di veduta virtuosistica che ricorre nella produzione di Mantegna.
All’estremità sinistra si trova un giardino recintato (riferimento all’hortus conclusus che simboleggia la verginità di Maria), da cui si affaccia il bue, e alcune assi che fanno immaginare la capanna dove è avvenuta la natività. A destra è protagonista l’ampio paesaggio, che si apre in profondità, incorniciato da due montagne fatte di rocce a picco. In lontananza, a destra, si vedono altri pastori (uno sta accorrendo a rendere omaggio al Bambino) e un grande albero che sembra ricordare la forma della Croce del Calvario, presagendo la Passione di Cristo.
L’Adorazione del Bambino o Natività di Guido di Pietro Trosini, detto il Beato Angelico, è uno degli affreschi che decorano il convento di San Marco a Firenze, risalente al 1440-1441 circa.
La Natività è composta a semicerchio con il Bambino al centro e le figure disposte attorno a lui in atto di adorazione. Vi sono rappresentati, da sinistra, santa Caterina d’Alessandria, la Vergine, san Giuseppe e san Pietro Martire. Lo sfondo della capanna, col bue e l’asinello, crea un fondale piatto che evita qualunque distrazione che allontani la mente dai confini della scena.
Lo scopo dell’opera era dopotutto quello di ispirare la meditazione dei frati, piuttosto che essere una mera decorazione della cella. Il bue e l’asinello sono elementi mutuati dal vangelo apocrifo dello Pseudo Matteo, a sua volta derivati da un errore interpretativo dei libri di Isaia e Abacuc, forse commesso per la prima volta da san Girolamo, anche se all’epoca dell’Angelico erano da molto tempo entrati a far parte dell’iconografia tradizione della scena.
La presenza dei due santi è da leggere in chiave mistica, in contraddizione con la semplice descrizione narrativa dell’evento. San Pietro Martire in particolare era un santo dell’Ordine Domenicano e la sua figura doveva fare da esempio e ispirazione per la preghiera dei monaci, attualizzando la scena nel quadro dei principi dell’Ordine.
In alto una serie di quattro angeli, di fattura non eccelsa, chiude la rappresentazione.
L’Adorazione del Bambino di Camaldoli è un dipinto a tempera su tavola del pittore Filippo Lippi, datato 1463 e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze.
Su uno sfondo piatto e ricchissimo di elementi naturali, Maria, sulla sinistra, accudisce in preghiera il bambino Gesù disteso sull’erba al centro della scena. Sopra Gesù discende lo Spirito Santo raffigurato da una colomba bianca da cui si dipartono raggi di luce dorata, chiaramente inviata dalle grandi mani aperte di Dio, dipinte nella parte più alta del dipinto, accanto alle quali sono raffigurati due angeli inginocchiati.
L’intera composizione è una rappresentazione del dogma cristiano della Trinità.
Sulla destra compaiono due santi: il primo è un adolescenziale Giovanni Battista, dalla tunica logora e l’esile e semplice pastorale in legno tipico dell’iconografia del santo, mentre il secondo è un anziano monaco: san Romualdo, fondatore dell’eremo di Camaldoli, destinazione dell’opera.
La Natività è un dipinto, olio su tavola dell’ultima fase artistica di Piero della Francesca, databile al 1470-1475 (o secondo alcuni fino al 1485) e oggi conservato nella National Gallery di Londra.
La scena è composta in maniera molto libera e originale. Sotto un rudere di stalla con tettoia, al centro, si trova la Vergine in adorazione del Bambino, il quale è adagiato su un lembo dell’ampio mantello azzurro della madre. Dietro di essi si trova un gruppo di cinque angeli cantori con liuti, vero perno della scena, che riprendono in alcuni casi le fisionomie tipiche degli angeli di Piero, presenti con gli stessi tratti somatici ad esempio nella Pala Montefeltro o nella Madonna di Senigallia. Le loro teste sono poste tutte alla stessa altezza (isocefalia).
A destra san Giuseppe sta seduto con naturalezza, le gambe accavallate su una sella (notevole è il disegno delle sue mani e della pianta del piede) e sembra discorrere con i due pastori dietro di lui, ritratti in posizione frontale, uno dei quali indica verso il cielo a sottolineare la natura prodigiosa della scena. Sotto la tettoia si vedono il bue e l’asinello, che raglia, quasi a voler rompere l’armonia della musica degli angeli. L’inclinazione del suo muso inoltre bilancia simmetricamente il braccio alzato del pastore.
Lo sfondo si perde in lontananza: a sinistra si trova un paesaggio rurale con un tortuoso fiume, con le acque che riflettono a specchio, come tipico di Piero, mentre a destra si vede uno scorcio urbano verosimilmente di Borgo San Sepolcro. Sulla tettoia sta una gazza, simbolo della follia umana che porterà alla Crocifissione di Cristo. Ampie zone del dipinto sono incomplete, soprattutto il prato alla base e le figure dei pastori, che sembrano raschiate, ma le figure più importanti sono ben conservate, soprattutto l’armoniosa figura di Maria, di grande livello artistico.
La Natività di Gesù è un dipinto a tempera su tavola di Vincenzo Foppa, databile al 1492 circa e conservato nel chiesa di Santa Maria Assunta a Chiesanuova di Brescia.
Il dipinto faceva parte del polittico che adornava la collegiata dei Santi Nazaro e Celso a Brescia prima dell’arrivo del Polittico Averoldi di Tiziano. L’opera rivela l’abbandono, da parte dell’autore, della fastosità degli ori del tardo gotico per privilegiare un paesaggio aperto, sotto l’influenza di Giovanni Bellini e della pittura fiamminga. Notevole, in questo senso, è il ripensamento dello sfondo, inizialmente concepito come una volta a botte e poi modificato durante l’esecuzione: il pentimento è ancora avvertibile sotto il successivo manto pittorico.
La tavola raffigura l’episodio della natività di Gesù: al centro, in posizione predominante sulla scena, è posta la Madonna inginocchiata e in atteggiamento contemplativo del Gesù Bambino, situato nell’angolo in basso a sinistra. A destra, in piedi a fianco di Maria, si trova san Giuseppe. Entrambi vestono tuniche colorate e hanno la testa circondata da una aureola. A sinistra della Madonna, il bue e l’asino completano l’iconografia tradizionale dell’evento.
La scena si svolge in un locale povero, del quale si intravede un poco l’architettura nei due angoli superiori. Lo sfondo è invece dominato da un paesaggio naturale, con colline che degradano verso un corso d’acqua.
L’Adorazione dei pastori è un dipinto tempera su tavola di Domenico Bigordi detto il Ghirlandaio, datato 1485 e conservato nella sua collocazione originaria sull’altare della cappella Sassetti nella basilica di Santa Trinita a Firenze.
La cornice riporta la scritta “Ipsum quem genuit adoravit Maria” (“Maria adorava colui che aveva generato”).
Maria, in primo piano su un prato fiorito, adora il Bambino poggiato sul suo mantello all’ombra di un sarcofago romano antico che fa da mangiatoia per il bue e l’asinello (che secondo la patristica rappresentano rispettivamente gli ebrei e i pagani), poco dietro si trova san Giuseppe, che scruta verso il corteo in arrivo, e a destra un gruppo di tre pastori ritratti con vivo realismo, derivati dal modello del Trittico Portinari di Hugo van der Goes. Nel primo pastore, quello che indica il Bambino, Ghirlandaio incluse il proprio autoritratto.
La sella e il barroccio a sinistra alludono al viaggio di Maria e Giuseppe. I tre sassi in primissimo piano, roccia naturale, pietra lavorata e mattone, sono un riferimento alla famiglia “Sassetti” e all’attività dell’uomo. Sopra di essi sta un cardellino, simbolo della passione e resurrezione di Cristo.
Dall’arco di trionfo sullo sfondo passa il corteo dei re Magi, con un significato anche simbolico, inteso come il lasciarsi alle spalle l’era pagana. A sinistra i primi due magi sono già vicini e guardano una luce che si intravede sul tetto della capanna, la cometa, che brilla sul tetto di paglia sorretto da monumentali pilasti romani, uno dei quali reca sul capitello la data MCCCCLXXXV (1485).
Sullo sfondo si vedono i pastori con le greggi ai quali l’angelo sta annunciando la nascita del Signore.
La Naticità di Gesù è un affresco di Gaudenzio Ferrari, datato 1513 e si trova nella chiesa di Santa Maria delle Grazie di Varallo.
L’affresco fa parte di una intera parete, realizzata per raccontare la Vita e la Passione di Cristo attraverso 21 scene. Gli affreschi di Gaudenzio Ferrari costituiscono uno dei capolavori della pittura rinascimentale tra Piemonte e Lombardia.
La scena della Natività, tutta giocata nella parte inferiore del dipinto, è animata dalla vivacee insolita postura di Gesù Bambino, su cui si china trepida la Madre adorante e al quale guarda commosso San Giuseppe. Anche gli animali partecipano all’evento, con il vivace sporger delle teste fuori della greppia. Due angeli, compostissimi, fanno da contrappunto agli attori protagonisti del grande evento.
L’Adorazione dei pastori è un dipinto murale, eseguito tra il 1500 e il 1501 ad affresco, dal pittore Bernardino di Betto, detto il Pinturicchio, conservato nella parete centrale della Cappella Baglioni (o “Cappella Bella”) nella Chiesa Collegiata di Santa Maria Maggiore a Spello (Perugia).
La scena del dipinto è ambientata nel prato davanti alla capanna, che grazie alle due colonne ed alla prospettiva (dal basso verso l’alto) assume proporzioni grandiose, con definizione minuziosa di ogni dettaglio, dalla recinzione incannicciata ai due tradizionali animali (bue ed asino). Particolarmente riuscito risulta l’espediente della piccola finestra aperta nella parete più strutturalmente rifinita, dalla quale si scorge un nitido paesaggio, una sorta di dipinto nel dipinto. Sullo sfondo, a sinistra, è raffigurato il corteo dei Magi.
Nella scena compaiono: Gesù Bambino, proteso verso la Madre, non è adagiato in una mangiatoia, come descritto nel Vangelo, ma su un leggero drappo steso sul prato fiorito. Maria Vergine contempla il Bambino in atteggiamento di adorazione. La Madonna indossa un manto blu, impreziosito da una stella sulla spalla. San Giuseppe, dietro Maria, osserva pensieroso la scena, quasi in disparte. Pastori (in primo piano) sostano inginocchiati vicino al Bambino.
Essi hanno tratti somatici espressivi, secondo l’esempio dei pittori fiamminghi, mentre il giovane con capro (a sinistra) ha una bellezza idealizzata, forse ispirata a rilievi greco-romani a soggetto sacrificale. Angeli: in cielo, cantano inni di lode; in primo piano, inginocchiati in adorazione di Gesù Bambino: uno dei due sorregge i lembi sul quale egli è adagiato, dove è impressa un’immagine di una croce dorata ed una corona di spine, che prefigura la sua passione.
Inoltre, tra gli elementi allegorici spicca: pavone, sul tetto della capanna, è un simbolo sia della resurrezione, sia dell’imortalità dell’anima; due pezzi di legno, gettati sul prato, e le due tegole sul tetto della capanna, che assumono “casualmente” una disposizione a croce.
Ricordiamo anche la Natività di Lorenzo Costa, un dipinto su legno destinato alla devozione privata.
Nel buio della stalla, che si apre su un paesaggio luminoso immaginario che evoca Betlemme, la Vergine e San Giuseppe adorano Gesù appena nato.
Il bambino è sdraiato su un letto di rami intrecciati coperti con un panno bianco, che prefigurano la corona di spine della Passione e il sudario della sepoltura.
Nel 1523 Lorenzo Lotto dipinge la Natività in una piccola tavola conservata alla National Gallery of Art di Washington.
Troviamo subito un’iconografia a noi familiare, la stessa che utilizziamo quando allestiamo il presepe. Maria e Giuseppe inginocchiati davanti alla culla con un Gesù sorridente che allarga le braccia. Un’immagine classica. Eppure rappresenta una novità. La tradizione vedeva Giuseppe solitamente in disparte, un passo arretrato rispetto all’avvenimento che aveva al centro la madre e il figlio.
Nelle icone, ma anche in Giotto e in molta della scuola medievale, lo si trova addirittura collocato a un piano inferiore rispetto al centro della scena. Lontano e quasi escluso dal mistero. Una figura passiva che, accovacciata, reclina il capo e lo appoggia su una mano, in un gesto di meditazione. Qui, invece, prega e un sorriso muove il volto: c’è gioia e commozione, c’è adorazione.
Quel bimbo lo sente suo, lo ha accolto dando compimento alle Scritture e se ne prende cura accompagnandolo nella crescita. Il suo silenzio così partecipe delinea una sua specifica personalità che acquista la statura di una figura teologica ben caratterizzata: è il testimone della verginità di Maria e con Dio condivide la paternità.
La Natività di Giovan Gerolamo Savoldo nella chiesa di San Giobbe a Venezia è una delle tre versioni sullo stesso tema dipinte dall’artista bresciano per altrettante chiese. Il dipinto presenta in primo piano san Giuseppe e la Madonna che in ginocchio adorano il radioso Bambino appena nato, adagiato nudo a terra su un panno bianco, in uno spazio piuttosto ristretto, delimitato dalla muratura sconnessa e dalla tettoia di fortuna di una stalla in rovina.
Due pastori si affacciano da una finestra ricavata sulla parete di fondo mentre un terzo è inginocchiato in atteggiamento di preghiera dietro un basso muretto alle spalle di Giuseppe. L’interno della stalla è avvolto nel buio dal quale a mala pena emergono le sagome del bue e dell’asino. La scura costruzione si staglia in controluce sull’ampio paesaggio roccioso che chiude il quadro, dove la fredda e livida luce dell’alba viene squarciata dal bagliore accecante dell’angelo che annuncia ai pastori il miracoloso evento.
Nell’insieme il dipinto colpisce per l’equilibrio compositivo e cromatico, per un sapiente uso della luce, per l’atmosfera intima e serena e per il realismo pacato ma attento.
La Natività di San Martino è un dipinto a olio su tavola di Domenico Beccafumi, databile al 1524 circa e conservato nella chiesa di San Martino di Siena.
Composizione grandiosa e solenne, si ispira innanzitutto alla magniloquenza dei lavori tosco-romani di Raffaello, ma anche opere senesi. Il grande arco di trionfo che fa da scenografia (in rovina, a simboleggiare il tramonto del paganesimo) cita la Natività di San Domenico di Francesco di Giorgio, mentre lo straordinario coro angelico che fa un girotondo nella parte superiore è uno sviluppo scenografico delle idee della Madonna del Baldacchino di Raffaello.
Al centro Maria scosta un velo rivelando il proprio figlio, adorato da san Giuseppe, da angeli e da pastori che si stanno avvicinando in ondate successive. La capannuccia, come già accennato, è un traliccio di assi poggiante su un arco antico in rovina, che ricorda l’arco di Costantino e dimostra la conoscenza dei monumenti romani da parte dell’artista. In alto una gloria d’angeli incorona la discesa della colomba dello Spirito Santo, in uno sfolgorio luminoso. Ai lati due brani di paesaggio mostrano l’influsso di Leonardo da Vinci.
Ciò che stupisce particolarmente nella pala è l’estrema duttilità del colore, i fini trapassi cromatici che generano effetti cangianti di grande originalità, e la complessa impaginazione luminosa, con la visione paradisiaca sapientemente incorniciata dalle travi e dall’attico dell’arco in controluce, in modo da farne risaltare al massimo l’impatto.
È stata notata la possibilità che il primo pastore, raffigurato a sinistra, sia un suo autoritratto.
La Natività di Gesù con sant’Elisabetta e san Giovannino è un dipinto ad olio su tavola di Antonio Allegri, detto Correggio, eseguito nel 1512 circa, conservato nella Pinacoteca di Brera a Milano.
La scena è ambientata in un paesaggio aperto con la capanna a destra, ricco di notazioni atmosferiche, come il vento che muove le fronde degli alberi e la nebbia umida che nasconde le montagne in lontananza. Inoltre, nel paesaggio sono presenti alcune rovine di un tempio romano, riferimento alla nascita del Cristianesimo dalle macerie dell’antica religione.
Nel dipinto, diviso in due da una colonna ionica, compaiono: al centro, Gesù Bambino, deposto su un lenzuolo bianco sopra un giaciglio di spighe, allusione al suo sacrificio come pane eucaristico e chiara prefigurazione della morte e del sudario.
A sinistra: Madonna, inginocchiata in adorazione davanti al Bambino, vestita con un abito rosso e mantello blu foderato di verde; San Giuseppe, spostato da una parte leggermente più indietro, dorme su una sella: allusione alla fuga in Egitto e all’avvertimento avuto in sogno. Bue e asino, appena visibili nella penombra della stalla, riparo fortuna unito alle rovine romane. Due angeli volano in alto, mentre un terzo sta indicando ai pastori Gesù, la buona novella. A destra, l’insolita presenza di sant’Elisabetta e san Giovannino in grembo, già vestito da eremita, che si uniscono all’adorazione.
La Natività con angeli è un dipinto a olio su tavola di Francesco Mazzola, detto il Parmigianino, databile al 1525 circa e conservato nella Galleria Doria-Pamphili a Roma. Per forma e dimensioni l’opera è ritenuta un dittico con la Madonna Doria, nello stesso museo.
La capanna della natività è pensata come una volta aperta, sotto la quale Maria abbraccia teneramente il figlio all’ombra di Giuseppe che, con le gambe accavallate, lo adora piegandosi in avanti. Lo sguardo del santo è però attratto da un fanciullo (un pastore o un angelo senza ali), che leva le braccia in segno di sorpresa, rivolgendole a un angioletto che vola più in alto, tra un nastro svolazzante. Chiudono la rappresentazione due anziani sullo sfondo che conversano tra di loro.
La pittura morbida e sfumata, con impasti di colore densi, e l’orchestrazione complessa di gesti e sguardi ricordano il Correggio, la cui influenza è ben evidente in altre opere della fase giovanile, come gli affreschi di Fontanellato e la Santa con due angeli dello Städel.
Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi è un dipinto a olio su tela realizzato dal pittore italiano Michelangelo Merisi, detto Caravaggio. Fu trafugato la notte tra il 17 ottobre e il 18 ottobre 1969 dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo e non è stato mai più recuperato.
La tela racconta la nascita di Cristo, traducendo un realismo autentico che rende l’episodio “vero”. I santi, le madonne del Caravaggio hanno le fattezze degli emarginati, dei poveri che egli bene aveva conosciuto durante il suo peregrinare e fuggire in lungo e in largo per l’Italia.
Nella “Natività” palermitana ogni personaggio è colto in un atteggiamento spontaneo: san Giuseppe ci volge le spalle ed è avvolto in uno strano manto verde. Sicuramente molto giovane rispetto all’iconografia tradizionale, dialoga con un personaggio che si trova dietro la figura di san Francesco, che alcuni critici pensano possa essere fra’ Leone. La presenza di san Francesco è sicuramente un tributo all’Oratorio, che all’epoca era passato alla Venerabile Compagnia a lui devota costituitasi già nel 1564. La figura a sinistra è san Lorenzo.
La Madonna, qui con le sembianze di una donna comune, ha un aspetto estremamente malinconico, e forse già presagisce il destino del figlio, posto sopra un piccolo giaciglio di paglia. La testa del bue è chiaramente visibile, mentre l’asino si intravede appena. Proprio sopra il Bambino vi è infine un angelo planante, simbolo della gloria divina. Ciò che conferisce particolare drammaticità all’evento è il gioco di colori e luci che caratterizzano questa fase creativa del pittore.
L’adorazione dei pastori è un dipinto di Jacopo Robusti detto il Tintoretto, appartenente al ciclo dei “Dipinti per la sala grande di San Rocco”, realizzato con tecnica ad olio su tela nel 1779 – 1581, custodito nella Scuola di San Rocco a Venezia.
Il Tintoretto di questa composizione si presenta con un’iconografia del tutto diversa da quella tradizionale, scostandosi abbondantemente anche dalla solita disposizione delle figure: l’opera rappresenta la nascita del Redentore dentro un fienile, con i personaggi collocati su due piani, l’uno soprapposto all’altro, illuminati da una luce sovrannaturale che penetra da un tetto completamente aperto. Tutto è descritto realisticamente.
In alto, due donne rendono onore alla Sacra Famiglia con gesti devoti e un piatto per Gesù, mentre in basso si preparano altri semplici doni come pani e uova.
La Natività Allendale” o “Adorazione Beaumont” o “L’adorazione dei pastori”, è un dipinto autografo di Giorgione, pseudonimo di Giorgio Barbarella o Zorzi da Castelfranco, realizzato con tecnica ad olio su tavola, presumibilmente intorno al 1505, ed è custodito nella National Gallery di Washington.
I personaggi della tradizione evangelica sono raffigurati all’esterno, qui, dinnanzi ad una grotta naturale, in una paesaggistica prettamente “veneta”, dove non mancano armoniosi effetti luministici del tipo crepuscolare. Alcune piccole figure si intravedono nel fondo, come quella assisa dinnanzi alla grande entrata di un edificio con un caratteristico tetto, o quella di un fanciullo che si diverte aggrappandosi al tronco dell’albero ubicato al centro, alle spalle del pastore in piedi.
La Sacra Famiglia con un pastore è un dipinto a olio su tela di Tiziano Vecellio, databile al 1510 circa e conservato nella National Gallery di Londra.
In un idilliaco paesaggio campestre, la Sacra Famiglia, seduta in riposo, offre il Bambino all’adorazione di un pastore, posto di spalle e con la testa in profilo a destra. Nello sfondo a destra si vede la scena dell’annuncio ai pastori e, vicino, il bue e l’asinello della natività.
L’Adorazione dei pastori è un dipinto a olio su tela realizzato nel 1608 dal pittore Pieter Paul Rubens. Fu riconosciuto agli inizi del Novecento dal grande storico Roberto Longhi, che lo identificò anche come La notte. È conservato nella Pinacoteca civica di Fermo.
Commissionato a Rubens da padre Flaminio Ricci e realizzato in breve tempo (circa tre mesi) per la chiesa di San Filippo Neri di Fermo, il dipinto appare come un omaggio del pittore al collega Caravaggio, che il pittore aveva avuto modo di conoscere artisticamente a Roma nei suoi dieci anni di studio in Italia. In realtà, molte suggestioni sembrano arrivare al pittore dal dipinto con analogo soggetto del Correggio realizzato negli anni 1525-1530.
Viene rappresentato il momento in cui i pastori raggiungono la capanna della natività: la Vergine è rappresentata mentre mostra il suo bambino ai pastori, alle sue spalle San Giuseppe e a sinistra della composizione due figure maschili e due figure femminili.
Recentemente si è ipotizzato come la figura femminile anziana possa essere identificata come la levatrice incredula del protovangelo di Giacomo, nell’atto di alzare al cielo le mani sanate. Un turbinio di quattro angeli sorregge un cartiglio con l’annuncio della nascita del Salvatore.
L’Adorazione dei Magi, è dipinto olio su tavola di Pietro Perugino, databile, a seconda degli studi, al 1470-1473 o al 1476 circa e conservata nella Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia.
La scena è impostata in maniera tradizionale, con la capanna della Natività sulla destra e il corteo, non particolarmente lungo per il formato verticale dell’opera, che si accalca sulla destra, secondo un andamento orizzontale. Sullo sfondo, oltre il recinto del bue e l’asinello, si apre un paesaggio di rocce e colline, che dimostra la conoscenza della prospettiva aerea.
A destra si trova la Vergine con il Bambino benedicente sulle ginocchia, dietro la quale veglia san Giuseppe in piedi col bastone. A sinistra il re più anziano si è già inginocchiato in adorazione, mentre gli altri due, quello giovane e quello maturo, stanno porgendo cerimoniosamente i loro doni. Il corteo è affollato da personaggi con fattezze che si ritrovano poi anche in altre opere dell’artista (nonché in quelle della scuola umbra), come il ragazzo col turbante e i giovani biondi in pose raffinate ed eleganti.
Pare che il giovane all’estrema sinistra possa essere un autoritratto dell’artista.La Vergine col Bambino è affine nelle fattezze alla Madonna Gambier Parry del Courtauld Institute di Londra, databile ai primissimi anni settanta del XV secolo.
L’Adorazione dei Magi, tempera su tavola di Lorenzo Monaco, datata 1420-1422, Uffizi di Firenze.
L’opera è concepita in maniera originale, come un’unica grande rappresentazione con un ridotto uso del fondo oro, ormai quasi fuori moda. La cornice però richiama ancora la forma del trittico, con le cornici degli archetti che invadono la parte superiore della scena.
A sinistra si trova la capanna della Natività, costruita come un palazzetto con un cortile a arcate (dove stanno il bue e l’asinello) dalla prospettiva antinaturalistica, alla maniera di Giotto, probabilmente un effetto arcaicizzante voluto, in risposta alla fredda prospettiva matematica di Brunelleschi e Masaccio.
La Madonna, avvolta in un manto blu notte con fodera dorata, sta seduta su una roccia con le gambe distese e mostra il Bambino agli astanti; sulla sua veste (capo e spalle) si trovano le tre stelle simbolo di verginità. San Giuseppe siede invece nell’angolo in basso a sinistra e guarda in alto.
Le parti centrale e destra sono occupate dal fiabesco corteo dei Magi. Essi sono in primo piano al centro ed hanno già deposto le corone, che si trovano in terra (due) e in mano al servitore con la spada e il vestito violetto (una); il primo e il terzo, rispettivamente quello anziano e quello giovane, sono già inginocchiati e il Magio dalla barba bianca sta contemplando il Bambino ai piedi del quale ha già deposto il suo regalo; il Magio di età matura sta invece ancora in piedi tra i due compagni, con in mano una preziosa ampolla e, nell’altra, un lembo della veste che viene rovesciata mostrando la fodera argentea; lo sguardo è fisso sul Bambino. Essi, diversamente dalla tradizione evangelica che li voleva tutti anziani, compongono le tre età dell’uomo.
Nel corteo sono presenti i più disparati tipi umani (dai tartari ai mori), abbigliati da vesti dai colori sgargianti e da cappelli dalle fogge originali ed esotiche. I due cavalieri con turbante in primo piano hanno i corpi sinuosamente allungati e piegati all’indietro, in modo da creare un gioco di linee ritmato, che crea un effetto di grande raffinatezza.
All’estrema destra si trovano dei partecipanti ancora a cavallo, con un cammello e un levriero da caccia, mentre stanno chiedendo la via e un passante indica loro la stella cometa, che non è altro che il gruppo di angeli luminosi fermatosi davanti alla parete della capanna. In alto si trova un paesaggio di rocce spigolose (derivate da Giotto), sulle quali si erge uno spinoso castello e, al centro, avviene l’annuncio ai pastori ad opera di un altro angelo luminoso, dipinta sapientemente in monocromo per dare l’effetto notturno.
Alcune notazioni esotiche sono le scritte in arabo antico sui manti del Magio in piedi e su quello della figura a lui vicina.