I racconti di Mamma Oca è una celebre raccolta di favole in prosa, terminanti ciascuna con una “morale” in versi, pubblicate per la prima volta a Parigi nel 1697 da Charles Perrault, sotto il nome di uno dei figli dell’autore, Perrault d’Armancourtda.
L’opera originale si intitolava Storie o racconti del tempo passato, con morali, ma in seguito divenne più nota col titolo I racconti di Mamma Oca, contribuendo alla nascita della tradizione letteraria del personaggio di Mamma Oca, personaggio archetipico, un’oca antropomorfizzata nel ruolo di anziana signora di campagna, che racconta fiabe o recita filastrocche.
Nella Francia del Seicento, alla corte di Luigi XIV, il Re Sole, nacque la moda letteraria delle storie di fate ed in questo clima culturale Charles Perrault raccolse dalla tradizione popolare undici fiabe e le rielaborò servendosi di un linguaggio colto e insieme vivace, per farle maggiormente apprezzare a corte vi aggiunse una o più morali, queste fiabe sono ancora oggi le più famose nel mondo, milioni di bambini in tutto il mondo e in tutte le epoche sono cresciuti a pane e Cenerentola, a Cappuccetto Rosso e al Gatto con gli stivali, e probabilmente così continuerà ad essere ancora per tempo immemorabile.
In Italia queste meravigliose fiabe sono state rese ancor più celebri e ricche di immaginario, dalla penna del suo traduttore più famoso, il grande Carlo Collodi con I racconti delle fate.
Molte delle fiabe di Perrault furono riprese dai Fratelli Grimm, togliendo le morali finali e cambiando spesso il finale.
Barbablu
Cappuccetto Rosso
Cenerentola
Enrichetto (Richetto) dal ciuffo
Griselda
I desideri inutili
Il gatto con gli stivali
La bella addormentata nel bosco
Le fate
Puccettino
Pelle d’Asino
Barbablù è un uomo ricco e crudele, che ha avuto tante donne come mogli, ma queste improvvisamente sono scomparse. Nonostante il suo passato ombroso, riesce a vincersi il favore della figlia più giovane di una dama sua vicina grazie all’ostentazione delle sue grandi ricchezze e i due ben presto convolano a nozze.
Non passa molto tempo che Barbablù annuncia alla moglie di doversi assentare per questioni di lavoro. Prima di partire, egli la guida attraverso l’intera villa, mettendole a disposizione ogni cosa e consegnandole il mazzo con tutte le chiavi della dimora. Ella è libera di usare tutto, di aprire tutto, di andare dappertutto tranne che oltre la porta aperta da una particolare piccola chiave che Barbablù si cura di mostrarle.
La ragazza, lì per lì, promette e, rimasta sola, invita delle amiche e fa baldoria, divertendosi a curiosare tra le stanze della villa. Tuttavia, più passa il tempo, più la curiosità nei confronti della stanza proibita cresce, finché la giovane donna non riesce più a resisterle e decide di disobbedire a quanto promesso e di andarla a cercare.
Finalmente la trova e gira la chiave nella toppa. All’inizio non distingue niente, ma poi si rende conto con sommo orrore che la stanza altro non era che un vero e proprio mattatoio, dove avevano trovato la morte le precedenti donne che Barbablù aveva sposato e poi ucciso. Per l’orrore, il mazzo di chiavi le sfugge di mano e cade su una pozza di sangue.
Pur essendo stata lesta a raccoglierlo e ad allontanarsi da quel luogo spaventoso, la ragazza si accorge con sgomento che non c’è modo di togliere le macchie di sangue dalla piccola chiave che il marito le aveva proibito di usare: si trattava infatti di una chiavetta magica, e ogni volta che la macchia scompariva da un lato, appariva poi dall’altro.
Mentre è ancora alle prese coi tentativi di pulire la chiave, la carrozza di Barbablù rientra inaspettatamente in anticipo. La prima cosa che l’uomo chiede alla moglie è di riavere indietro le chiavi della villa. Tremante, la giovane gliele porge e immediatamente Barbablù si accorge del tradimento. A questo punto, la sorte della ragazza è segnata: tuttavia, l’uomo le concede qualche minuto di raccoglimento per raccomandare l’anima a Dio prima dell’esecuzione.
Approfittando del pur poco tempo, la giovane corre a chiamare la sorella, anch’ella ospite nella villa, e la implora di correre in cima alla torre più alta. I loro tre fratelli, abilissimi combattenti, avrebbero dovuto giungere in visita di lì a poco, ma era necessario far loro cenno di sbrigarsi il prima possibile.
Proprio quando tutto sembra perduto, all’orizzonte compaiono i tre cavalieri che, incitati dai gesti della sorella nella torre, irrompono appena in tempo per salvare l’altra dalle mani di Barbablù. Dopo un rapido combattimento, il perfido signorotto ha la peggio e viene ucciso. La giovane diventa quindi la legittima vedova, e approfitta delle ricchezze ereditate per vivere il resto della propria vita felice con, accanto a sé, un marito migliore del precedente.
Morale:
Per attraente che sia, spesso la curiosità costa caro. Ogni giorno se n’hanno degli esempi. È, con buona pace delle donne, un piacere da nulla, che si dilegua non appena soddisfatto.
Altra Morale
Per poco che si abbia senno e si sappia decifrare il garbuglio del mondo, si vede subito che questa storia è una fiaba dei tempi andati. Un marito così tremendo o che voglia l’impossibile non si trova più. Anche scontento e geloso, lo si vede tutto miele con la moglie; e di qualunque colore sia la sua barba, è difficile riconoscere chi dei due è il padrone.
Cappuccetto Rosso è una graziosa bambina così chiamata per il berrettino che le ha fatto la mamma, deve portare una focaccia e un vasetto di burro alla nonna che sta al di là del bosco; ma qui incontra il Lupo che, non osando mangiare subito la piccola per timore di esser visto dai taglialegna, saputo dove la bimba si reca, la precede a casa della nonna per la via più breve. Fatto un sol boccone della vecchietta, si sostituisce a lei nel letto, e riserva la stessa sorte a Cappuccetto Rosso, che non lo riconosce.
Morale: Si vede qui che i bambini, e soprattutto le bambine ben fatte e aggraziate, fanno male a dar retta a ogni sorta di gente, e che non è mica strano di vederne tante mangiate dal Lupo. Dico il Lupo; perchè non tutti i Lupi son compagni; ce n’è dei furbi, tutti miele e carezze, i quali vanno dietro le ragazze fin nelle case, fino alle cortine del letto. Ma ahimè! chi non sa che questi lupi melliflui sono i più pericolosi di tutti i lupi!
La versione più nota a noi è quella dei fratelli Grimm, del 1857, con un finale diverso, arriva il cacciatore che uccide il lupo e riporta alla vita la fanciulla e la nonna, regalando così un lieto fine.
Cenerentola è la storia di una bellissima giovane, orfana di entrambi i genitori. Sua madre era morta per prima, suo padre si risposò con una donna a sua volta vedova e con due figlie e poi morì anche lui. Dopo la morte del padre la ragazza fu schiavizzata da quella che era la moglie del padre e dalle sue figlie. Costoro la odiano al punto di chiamarla solo col nomignolo “Cenerentola” (dalla cenere di cui la ragazza si sporca pulendo il camino e dalle pentole che usa per cucinare il cibo alle sorellastre e alla matrigna).
La vita della giovane Cenerentola cambia quando giunge in tutta la città la notizia che a corte si terrà il primo di tre balli organizzati dal re, durante i quali il principe potrebbe scegliere la sua promessa sposa. Naturalmente, le sorellastre e la matrigna partecipano al ballo e Cenerentola viene di conseguenza esclusa. Con l’aiuto magico di una fata, la “fata madrina” di Cenerentola, la ragazza viene vestita di un meraviglioso abito da sera e riesce a recarsi segretamente al ballo malgrado il divieto della matrigna.
Nonostante il bellissimo gesto, la fata raccomanda alla fanciulla di rientrare a mezzanotte. Al ballo attira l’attenzione del principe e ballano tutta la notte senza intoppi le prime due volte. Ma al terzo ballo Cenerentola, innamorata, si scorda del tempo che fugge; poiché l’effetto dell’incantesimo è destinato a svanire proprio a mezzanotte, ella deve fuggire di corsa al rintocco, ma nella fuga, perde una scarpina di pelliccia di scoiattolo (spesso considerata erroneamente di vetro a causa di un errore di traduzione dal francese). Il principe, ormai innamorato, trova la scarpina e proclama che sposerà la ragazza capace di calzarla.
Il giorno successivo, alcuni incaricati del principe girano dunque per il regno facendo provare la scarpina di pelliccia a tutte le ragazze in età da marito, incluse le sorellastre di Cenerentola, le quali cercano di ingannare il principe tagliandosi le dita dei piedi e il tallone per riuscire ad indossare la scarpetta. Comunque, alla fine, Cenerentola prova la propria identità e sposa il principe.
Morale
La bellezza è per la donna un gran tesoro, nè mai ci si stanca di ammirarla; ma assai più vale la buona grazia. Questa diè a Cenerentola la comare, educandola, istruendola fino a farne una regina. Questo dono, o belle, ha più potere di una ricca acconciatura per avvincere un cuore e farlo proprio.
La buona grazia è il vero dono delle Fate; senza di essa, nulla si può; con essa, tutto.
Altra morale
Gran che certo, avere ingegno, coraggio, nobiltà, buon senso, e simili pregi che vi vengono dal cielo; ma a nulla vi serviranno per avanzar nella vita, se non avete o dei compari o delle comari che li facciano valere.
Enrichetto
Una regina ebbe un figlio brutto e malfatto, per consolarla una fata le promise che suo figlio sarebbe stato pieno di spirito e di intelligenza e avrebbe avuto il potere di dare altrettanto spirito e intelligenza alla persona che avrebbe maggiormente amata. Il bambino venne chiamato Enrichetto dal ciuffo, perché era nato con un solo ciuffo di capelli.
Anni dopo, la regina di un regno vicino ebbe due figlie: la prima bella ma molto sciocca, la seconda bruttissima ma molto intelligente e spiritosa. La stessa fata diede alla primogenita la facoltà di rendere bella la persona che avrebbe amato di più.
Un giorno la maggiore delle due principesse, andata in un bosco a piangere sulla sua disgrazia, incontra il principe Enrichetto, che avendo visto il ritratto di lei, si era subito innamorato della principessa.
Il principe vedendo che la fanciulla era triste e malinconica per via della sua stupidità, le rivelò il suo potere di renderla intelligente e le propose di sposarla alla fine dell’anno.
La principessa proprio per il suo poco spirito, pensò che la fine dell’anno non sarebbe mai venuta e accettò la proposta. Da quel momento la principessa divenne tanto intelligente che il re prese a consultarla per i suoi affari di Stato.
L’anno a venire la principessa sposò il principe che doveva divenire il più bello del mondo, ma la metamorfosi non fu dovuta in realtà al potere delle fate ma solo alla forza dell’amore. Infatti la principessa, avendo riflettuto sulla perseveranza del suo innamorato e su tutte le buone qualità del suo animo, non vide più né la deformità del suo corpo, né la bruttezza del suo viso.
Morale
C’è in questa storia più verità che fantasia; tutto è bello nella persona amata; tutto ciò che si ama ha la grazia dello spirito.
Altra morale
Per toccare un cuore, la più eletta bellezza, il più splendido incarnato, ogni più squisito dono della natura, avranno meno potere di una sola grazia invisibile che l’amore vi metta.
Il gatto con gli stivali
Un ricco e vecchio mugnaio, in punto di morte chiama a sé i suoi tre figli: al figlio maggiore lascia in eredità il suo mulino e il cavallo; al secondogenito viene lasciato il mulo e una casa di campagna; al figlio minore viene lasciato il gatto che amava tanto. Il ragazzo è triste e deluso: cosa se ne fa di un gatto?
Sconsolato, si siede su una roccia a pensare il da farsi, quando il gatto gli dice di non preoccuparsi: insieme faranno fortuna.
Così, il felino si mette all’opera e prende un sacco dove mette della crusca e del cruschello, poi lo lascia vicino ad un fiume: due conigli notano la crusca e entrano nel sacco per mangiarla. Immediatamente il gatto chiude il sacco di scatto. Il giovane si chiede cosa deve farci un gatto con due conigli. Presi due stivali, il gatto si reca al palazzo del re e gli offre in dono i due conigli, portatigli da un certo marchese di Carabàs.
Il gatto porta poi al re della cacciagione fresca, sempre da parte del marchese di Carabàs, e quindi, sotto minaccia, convince dei contadini a dire che le terre che stanno coltivando sono del marchese di Carabàs. E così fanno quando il re decide di fare una passeggiata per il suo regno. Al sentire ancora il nome del marchese di Carabàs, al re viene la curiosità di sapere chi sia questo misterioso e generoso marchese di cui non si è mai sentito parlare, e decide di invitarlo al castello.
Il gatto dice al ragazzo di buttarsi in acqua e di dire di essere stato aggredito e derubato dei suoi abiti. Il piano funziona e il giovane viene invitato al castello, dove conosce la principessa che s’innamora quasi subito di lui.
Il re però gli dice che tra qualche giorno andrà a pranzo nel suo castello. Il giovane deglutisce: e adesso? Ci pensa il gatto che, passeggiando, un giorno vede un castello molto bello. Una delle guardie lo avvisa: il proprietario è una specie di orco mago che uccide chiunque osi sfidarlo. Il gatto si presenta al suo cospetto e gli chiede se è veramente potente come dice di essere, visto che quasi nessuno gli crede.
Per tutta risposta, l’orco si trasforma prima in un feroce leone che terrorizza il gatto, poi torna umano. Il gatto si finge sorpreso e gli chiede, scetticamente, se può trasformarsi in qualcosa di più piccolo: l’orco subito si trasforma in un topolino… per essere così mangiato tranquillamente dal gatto!
Così, il giovane diviene il nuovo padrone del castello: il re capisce che il marchese esiste davvero e gli chiede se vuole sposare sua figlia. Il giovane accetta di buon grado e diventa così principe.
E il gatto dagli stivali diventa un nobile cacciatore, che cacciava i topi solo per divertimento.
Morale
Checchè valga una ricca eredità che ci venga di padre in figlio, valgono assai più pei giovani l’industria e l’accortezza.
Altra morale
Se il figlio d’un mugnaio conquista così presto il cuore d’una principessa e si fa guardar da lei con languide occhiate, gli è che il vestito, l’aspetto e la giovinezza non son mezzi di poco conto per inspirare una tenera simpatia.
La bella addormentata nel bosco
Per celebrare il battesimo della tanto sospirata figlioletta, un Re e una Regina invitano tutte le fate del regno affinché le facciano da madrina. Ognuna delle fate dona qualcosa alla neonata: chi la bellezza, chi la saggezza, chi il talento musicale.
Sopraggiunge una fata cattiva, che non era stata invitata e per vendicarsi dell’onta dona alla bambina una maledizione: “Prima che il sole tramonti sul suo sedicesimo compleanno ella si pungerà il dito con il fuso di un arcolaio e morrà!” (Strega Malefica nella versione Walt Disney); “La figlia del re a quindici anni si pungerà con un fuso e cadrà a terra morta.” (nella versione fratelli Grimm).
Una delle fate buone, pur non potendo annullare l’incantesimo, lo mitiga, trasformando la condanna a morte in quella di 100 anni di sonno, da cui la principessa potrà essere svegliata solo dal bacio di un principe.
Per impedire che la profezia si compia, il Re bandisce gli arcolai dal suo regno; ma la principessa, all’età di 15 anni, per caso incontra una vecchia che sta tessendo, e il suo fato si compie. La fata buona, sopraggiunta per aiutare la sua figlioccia, fa addormentare insieme alla principessa l’intero castello.
Col tempo, il castello incantato si copre di una fitta rete di rovi, tale da impedire a chiunque di penetrarvi.
Dopo 100 anni un principe giunge al castello, e miracolosamente i rovi si aprono dinnanzi a lui. Il principe trova la principessa, e se ne innamora a prima vista. Il suo bacio la risveglia.
Nella seconda parte della storia, che non compare nella versione dei Grimm ed in altre successive, il principe sposa la principessa e ha da lei due figli, una femmina e un maschio, Aurora e Giorno. Egli tuttavia nasconde il suo matrimonio e i suoi frutti alla madre, che discende da una famiglia di orchi divoratori di bambini.
Quando l’orchessa scopre la famiglia segreta del figlio (ormai diventato re), decide di sterminarla. Non appena il re si allontana dal castello, l’orchessa ordina che i suoi nipoti siano serviti per cena. Il cuoco salva i piccoli con un inganno, servendo alla padrona un agnello invece del bambino e una capretta invece della sorella.
Quando la padrona chiede che venga servita la principessa, ancora il cuoco la inganna servendo del cervo. Scoprendo infine l’inganno, l’orchessa si prepara a uccidere la principessa e i suoi figli gettandoli in un cortile fatto appositamente riempire di vipere e altre creature velenose; il rientro repentino del re, però, manda a monte i suoi piani. L’orchessa, scoperta, si suicida gettandosi fra le vipere.
Morale
È cosa assai naturale aspettare un po’ di tempo per avere uno sposo ricco, valoroso, amabile e buono; ma aspettarlo cent’anni, dormendo sempre, non c’è donna oggi che se la senta.
La favola accenna anche a questo che spesso i dolci vincoli dell’imene non son meno dolci perchè differiti, e che ad aspettare non ci si rimette nulla. Ma le donne aspirano con tanto ardore alle nozze, ch’io non ho forza nè coraggio di predicar loro questa morale.
Puccettino (Pollicino)
La miseria e la carestia regnano sul paese. Un boscaiolo e sua moglie, non avendo più di che sfamare i loro sette figli, decidono di abbandonarli nel bosco. Il più piccolo dei fratelli, Pollicino, avendo udito per caso la conversazione dei genitori, si riempie le tasche di sassolini bianchi. Il giorno dopo, quando i genitori conducono i figli nella foresta con una scusa,
Pollicino lascia cadere i sassolini dietro di sé; seguendo questa traccia riesce a riportare i fratelli a casa. Il giorno dopo la cosa si ripete, ma questa volta Pollicino ha a disposizione, per segnare il sentiero, solo briciole di pane, che vengono mangiate dagli uccelli.
I sette fratellini, perduti nel bosco, chiedono ospitalità in uno stupendo palazzo. La padrona di casa decide di accoglierli, ma li avverte che il marito è un Orco che mangia i bambini, e nasconde i sette fratelli con cura per proteggerli. Quando il marito rientra, però, sente odore di “carne fresca” e presto scopre gli intrusi, decidendo di mandarli a morte il giorno successivo.
Nel frattempo Pollicino scopre che l’Orco ha sette figlie, che egli ama tanto da aver donato a ciascuna di loro una coroncina. Nottetempo, si introduce nella camera delle orchette, sottrae loro le corone, e le appoggia sulla testa dei propri fratelli. L’Orco, svegliatosi nella notte con l’intento di sgozzare i bambini, viene tratto in inganno dalla “sostituzione” e sgozza le proprie figlie.
Pollicino e i suoi fuggono e l’Orco, avendo scoperto della tragedia avvenuta a causa dell’astuzia di Pollicino, indossa gli stivali delle sette leghe per raggiungere i bambini in fuga. Anche questa volta Pollicino lo supera in furbizia; aspettando che l’Orco si addormenti, Pollicino gli ruba gli stivali e torna dalla moglie dell’Orco. Le racconta che l’Orco è stato rapito dai briganti che vogliono un riscatto. La donna dà tutto l’oro che possiede a Pollicino, che può tornare con i fratelli dal padre con denaro sufficiente a liberarli per sempre dalla fame.
Morale
Nessuno si lamenta di aver molto figliuoli, se questi sono belli, grossi e vistosi; ma se ce n’è un solo debolino, questi è disprezzato, deriso, maltrattato; eppure qualche volta toccherà proprio al marmocchio di far la fortuna di tutta la famiglia.
Pelle d’Asino fu l’ultima ad essere aggiunta, nel 1694.
Una regina, morendo, si fa promettere dal re che egli non si risposerà se non con una donna più bella di lei. Ma l’unica persona in grado di rivaleggiare con lei quanto a bellezza è solo la sua stessa figlia. Per sfuggire a questa unione incestuosa la fanciulla, su consiglio della sua madrina, la fata Lilla, chiede al padre come dote degli abiti irrealizzabili (uno color della luna, uno color del sole, uno color del cielo), ma il re riesce sempre a procurarglieli.
Allora la principessa chiede al padre la pelle dell’asino magico la cui lettiera, anziché essere coperta di sterco, è coperta ogni giorno di nuove monete d’oro, sicura che egli non acconsentirà mai. Invece la pelle dell’asino magico le viene recapitata senza indugio. La principessa fugge dal castello, rivestita solo della pelle d’asino, mentre un baule con i suoi tre vestiti la segue viaggiando sottoterra, grazie a un incantesimo della fata madrina.
Dopo aver viaggiato a lungo, la principessa viene presa a servizio come guardiana di pecore e polli in una fattoria in un altro reame. È così sporca e ripugnante che tutti i servi si prendono gioco di lei chiamandola Pelle d’Asino, ma è altrettanto brava e diligente, così la padrona le si affeziona e la protegge. La principessa continua a rimanere nascosta, ma decide di lavarsi e di indossare i suoi magnifici vestiti per ogni occasione di festa. Un giorno il principe ereditario, venendo da una battuta di caccia, si ferma alla fattoria per pranzare.
Mentre passeggia nei dintorni, sbircia nel tugurio isolato dove vive Pelle d’Asino e vede la principessa bellissima e magnificamente abbigliata. Intimidito, si ritira, ma non riesce a non pensare alla visione, tanto che cade ammalato. Davanti alle suppliche della madre e del padre perché dica la causa della sua malattia, il principe chiede una focaccia fatta da Pelle d’Asino.
Perplessi, ma desiderosi di far guarire il figlio, i sovrani ordinano a Pelle d’Asino di cucinare una focaccia e lei – per caso, o forse perché anche lei ha visto il principe e si è innamorata? – lascia cadere un anello nell’impasto. Il principe mangia voracemente e trova l’anello, che rinsalda il suo amore facendolo cadere più ammalato di prima.
Timoroso di rivelare ai propri genitori l’amore per Pelle d’Asino, chiede che venga indetto un bando (analogo a quello di Cenerentola), in base al quale egli sposerà solo la fanciulla alla quale calzerà l’anello.
Dopo aver passato in rassegna tutte le ragazze del regno, viene chiamata anche Pelle d’Asino. La comparsa della sua mano bianca e affusolata al di sotto della sudicia pelle lascia tutti di stucco, e ancora di più la rivelazione di una splendida fanciulla abbigliata regalmente. Immediatamente, il principe la chiede in moglie e re e regina sono ansiosi di favorire le nozze, ma la principessa pone come condizione il consenso del padre. Questi, ormai guarito dalla sua folle ossessione e risposato, viene invitato alle nozze e acconsente di buon grado.