Il Cocktail Bronx è spesso descritto come un Martini perfetto con succo d’arancia, un aperitivo adatto nelle stagioni ove le arance sono più fresche, quindi l’inverno è la sua stagione.
Fu creato negli Stati Uniti negli anni ’20, in risposta al proibizionismo che bandiva la fabbricazione, la vendita, l’importazione e il trasporto di alcool, porta il nome di un quartiere difficile dello Stato di New York, fa parte dei cocktail ufficiali dell’IBA, l’International Bartenders Association.
Esistono numerose leggende sulla nascita di questo drink, ma due fonti attribuiscono a Joseph S. Sormani la creazione di questo drink mentre, secondo A.S. Crockett, storico del Waldorf-Astoria Hotel, il creatore del drink fu J. Solon.
Joseph S. Sormani, fu ristoratore nel Bronx, le fonti dicono che il cocktail fu inventato in Philadelphia, ma è rimasto ignoto ai più, finché un tale Joseph Sormani, lo scorpì a Quaker City nel 1905.
A Sormani fu accreditata la creazione del cocktail anche nel suo necrologio sul New York Times:
“Joseph S. Sormani, fu ristoratore nel Bronx, che si dice creò il Cocktail Bronx, morì mercoledì notte nel suo domicilio, 2322 Fish Avenue, nel Bronx, dopo una breve malattia. Era ormai 83enne.”
Johnnie Solon fu invece un barman di prima del protezionismo che lavorava all’hotel Manhattan di New York, secondo lo storico Crockett, fu uno dei più bravi di quei tempi ed egli stesso racconta:
“Esisteva un cocktail, all’epoca, chiamato Duplex, che era abbastanza richiesto. Un giorno, ne stavo preparando proprio uno di essi, quando arrivò Traverson, capo-cameriere del’Empire Room, la sala da pranzo principale del Waldorf.
Il Duplex era composto da parti uguali di Vermouth italiano e francese, shakerato con un po’ di succo d’arancia, o due spruzzate di Orange Bitter.
Traverson disse: «Perché non crei un nuovo cocktail? Ho un cliente che dice che non lo riesci a fare.»«Non posso?!?» risposi.
Bene, finii il Duplex che stavo facendo, ed un pensiero mi sorse in testa. Misi in uno shaker l’equivalente di due terzi di Gin Gordon’s, poi riempii il resto con succo d’arancia. Infine nel mix misi una spruzzata di Vermouth italiano e francese, agitando il tutto.
Non lo assaggiai, ma lo versai in un bicchiere da cocktail e lo portai a Traverson, dicendo: «Tu sei un giudice onesto», lo era, «vedi che ne pensi di questo.»
Traverson lo assaggiò, poi reagì dicendo: «O mio Dio! Hai realmente creato qualcosa di nuovo! Questo farà un gran successo. Fammene un altro che lo porto al cliente nella sala da pranzo. Scommetto che ne vedrò molti altri. Hai abbastanza arance? Se non ce ne hai, ti conviene fare scorta, perché sono convinto che dovrò servirne molti di questi cocktail durante i pranzi.»
La richiesta del Bronx iniziò quel giorno stesso. Molto presto iniziammo ad utilizzare una cassa di arance al giorno. Successivamente molte casse.
Il nome? No, non deriva veramente dal sobborgo o dal fiume omonimi. Ero andato allo Zoo del Bronx uno o due giorni prima, e lì vidi, ovviamente, molti animali che non avevo mai visto. I clienti abitualmente mi parlavano degli strani animali che vedevano dopo aver bevuto molti cocktail. Così, quando Traverson mi disse, quando stava andando a servire al cliente il cocktail, «Che devo dirgli, se mi chiede quale sia il nome?», io pensai a quegli animali, perciò dissi: «Oh, puoi dirgli che è il Bronx»”
Ricetta per preparare il Cocktail Bronx:
Prima di preparare il cocktail Bronx è necessario raffreddare la coppa da cocktail con del ghiaccio.
50 ml. di gin
20 ml. di vermouth bianco secco
20 ml. di vermouth rosso
10 ml. di succo di arancia
In uno shaker versate del ghiaccio, il Gin, i Vermouth ed il succo d’arancia, agitate energicamente e servire il Bronx con l’aggiunta di una scorretta di arancia.
E ‘apparso nel 1908 nel libro “Le bevande del mondo e come mescolarle” di William Boothby e divenne molto famoso negli anni 20, il racconto di Johnnie Solon ricorda Il Grande Gatsby di F. Scott Fitzgerald:
Nelle notti d’estate dalla casa del mio vicino giungeva la musica. Nei suoi giardini blu uomini e ragazze andavano e venivano come falene tra i sussurri e lo champagne e le stelle. Nel pomeriggio, con l’alta marea vedevo i suoi ospiti tuffarsi dal trampolino galleggiante o prendere il sole sulla sabbia rovente della spiaggia mentre i suoi due motoscafi fendevano le acque dello Stretto, trascinando acquaplani su cateratte di schiuma. Nei fine settimana la sua Rolls-Royce diventava un omnibus che faceva la spola dalla città trasportando gruppi di persone tra le nove del mattino e ben oltre la mezzanotte, mentre la sua giardinetta sgambettava simile a uno svelto insetto giallo per andare a prendere la gente alla stazione. E al lunedì otto domestici, con l’aggiunta di un giardiniere, sfaccendavano tutto il giorno con stracci e spazzole e martelli e forbici da giardinaggio per porre rimedio alle devastazioni della notte prima.
Ogni venerdì arrivavano da un fruttivendolo di New York cinque casse di arance e limoni; al lunedì questi stessi limoni e arance uscivano dalla porta di servizio in una piramide di frutti a metà senza polpa. In cucina c’era una macchina che estraeva il succo di duecento arance in mezz’ora, se il pollice di un maggiordomo premeva duecento volte un bottoncino.
Almeno una volta ogni quindici giorni uno stuolo di addetti al catering arrivava con svariate misure di tela e innumerevoli lampadine colorate per trasformare l’enorme giardino di Gatsby in un albero di Natale. Sui tavoli del buffet, ornati di antipasti luccicanti, prosciutti al forno speziati si stringevano accanto a insalate arlecchino e pasticci di maiale e di tacchino in crosta stregati di oro cupo. Nel vestibolo più grande veniva allestito un bar con un parapetto di ottone vero, ben rifornito di gin e liquori e cordiali dimenticati da tempo, al punto che le ospiti di Gatsby erano quasi tutte troppo giovani per distinguerli l’uno dall’altro.
Per le sette l’orchestra è arrivata: non un’inezia di cinque persone, bensì un’intera fossa d’orchestra piena di oboi e tromboni e sassofoni e viole e cornette e ottavini, e di tamburi alti e bassi. Gli ultimi nuotatori sono ormai rientrati dalla spiaggia e si stanno vestendo al piano di sopra; le automobili di New York sono parcheggiate in quinta fila nel viale d’accesso e già i vestiboli e i saloni e le verande sono un trionfo di colori primari, di capelli acconciati in strane, nuove fogge e di scialli da far impallidire i sogni della Castiglia. Il bar funziona a pieno regime e fluttuanti giri di cocktail impregnano il giardino, finché l’aria si riempie di chiacchiere e risa, mentre insinuazioni e presentazioni fortuite vengono dimenticate lì per lì, e così pure gli incontri entusiastici fra donne che non hanno mai saputo i rispettivi nomi.
Le luci si fanno più vivide via via che la terra si allontana barcollando dal sole, e ora l’orchestra suona una musica gialla da cocktail e il coro delle voci sale di un tono. Le risate diventano più facili di minuto in minuto, si riversano con prodigalità, rovesciate fuori a ogni parola allegra.