Una telefonata dal paradiso è un romanzo di Albom Mitch, pubblicato nel 2015, tra la storia dell’invenzione del telefono e il mondo contemporaneo ossessionato dalla comunicazione, l’autore ci trasporta in una corsa a perdifiato di frenetica speranza, come sa fare lui ha creato un’altra opera sulla fede e sulla redenzione.
“Devi ricominciare da capo. Dicono così. Ma la vita non è un gioco da tavolo, e perdere una persona amata non è mai davvero un «ricominciare da capo». Piuttosto un «andare avanti senza».”
È una mattina come tante a Coldwater, una cittadina sul lago Michigan.
La stagione turistica è finita e la città si prepara alla tranquillità sonnolenta dell’autunno: pochi negozi aperti, parcheggi vuoti e la tavola calda di Frida di nuovo semideserta. Accade così, all’improvviso: i telefoni cominciano a squillare, otto persone cominciano a ricevere da un giorno all’altro sconvolgenti telefonate dall’aldilà.
Il primo è quello di Tess, che riceve una chiamata dalla madre. Poi quello di Jack Sellers, che ne riceve una dal figlio, e di Katherine Yellin, dalla sorella. Per ultimo tocca a Elias Rowe, con una telefonata che arriva da Nick, un suo ex dipendente. Tutti dicono di essere in paradiso. Impossibile contenere una simile notizia nei confini della città: il mondo deve sapere che la morte non è la fine di tutto.
Quando le telefonate aumentano e la prova di una vita oltre la morte sembra diventare concreta, la città inizia a cambiare.
Coldwater è invasa dai media, ma anche da migliaia di fedeli richiamati dal miracolo più straordinario mai accaduto. Solo Sully Harding, ex pilota, tornato in città dopo la prigione e la perdita della moglie in un incidente, è convinto che non ci sia nulla oltre una triste esistenza e sospettando che si tratti di una grande truffa inizia a indagare il fenomeno, determinato a sconfessarlo in nome del figlio e del suo cuore infranto.
Mentre tutti sono in balia della “febbre da miracolo” anche il suo bambino tiene sempre con sé un telefono giocattolo sperando che la mamma lo chiami, Sully va a caccia della verità. Ma quel che scopre è molto lontano da ciò che si aspettava.
“Nessuno sa con certezza chi abbia inventato il telefono. Anche se il brevetto americano appartiene allo scozzese Alexander Graham Bell, molti ritengono che lo abbia rubato a un inventore americano di nome Elisha Gray. Altri dicono che il merito vada a un italiano di nome Manzetti o a un francese, un certo Bourseul, o a un tedesco di nome Reis o un altro italiano di nome Meucci.
Quello che pochi mettono in discussione è che tutti questi uomini, attivi a metà del diciannovesimo secolo, indagarono l’idea di poter trasmettere vibrazioni vocali da un luogo a un altro. Ma la prima vera conversazione telefonica, tra Bell e Thomas Watson, da stanze separate, conteneva queste parole: «Vieni qui, voglio vederti.»
Nelle innumerevoli telefonate che l’umanità ha fatto da allora, quel concetto non si è mai allontanato dalle nostre labbra. Vieni qui, voglio vederti. Innamorati impazienti. Amici lontani. Nonni che lo dicono ai nipoti. La voce al telefono non è altro che una seduzione, una briciola di pane per un affamato. Vieni qui, voglio vederti.”
Il libro, secondo me, non è all’altezza degli altri, certo fa riflette e commuove, ma è molto prolisso da sembrare tirato.
La settimana in cui successe
Il giorno in cui il mondo ricevette la sua prima telefonata dal paradiso, Tess Rafferty stava scartando una confezione di bustine di tè.
Driiiinn!
Ignorò lo squillo e conficcò le unghie nella plastica.
Driiiinn!
Affondò l’indice nella parte pieghettata sul lato.
Driiiinn!
Alle fine, strappò l’involucro, poi lo tolse del tutto e lo accartocciò nel palmo della mano. Sapeva che sarebbe scattata la segreteria se non avesse preso la cornetta prima di un altro…
Driii…
«Pronto?»
Troppo tardi.
«Uff, quest’affare» borbottò. Sentì scattare la segreteria sul bancone della cucina e partì il messaggio registrato.
«Ciao, sono Tess. Lasciate nome e numero di telefono. Vi richiamerò appena possibile, grazie.»
Risuonò un piccolo bip. Tess sentì qualche interferenza. E poi.…
«Sono la mamma… Ho bisogno di parlarti.»
Tess smise di respirare. Il ricevitore le sfuggì di mano.
Sua madre era morta quattro anni prima.