La scatola nera è un romanzo dello scrittore statunitense Michael Connelly, pubblicato in Italia nel giugno 2015, il sedicesimo con protagonista il detective Harry Bosch.
“Bosch passò il tempo a riesaminare e ripassare mentalmente le mosse che si era prefisso di fare. Tutto dipendeva da lui. Non aveva l’aiuto del partner. Era solo.”
Nella vita ci sono momenti in cui è difficile conciliare attività professionale e vita privata. Harry Bosch si trova in uno di questi momenti. Ha una figlia adolescente di cui occuparsi, una ragazzina per cui è ormai l’unico punto di riferimento, e ha il lavoro, quello che vive da sempre come una missione, che assorbe quasi totalmente i suoi pensieri. E che si fa sempre più pressante ora che Bosch è alle prese con un caso che lo inquieta particolarmente. L’aveva già affrontato vent’anni prima, nel 1992, all’epoca dei disordini scoppiati a Los Angeles dopo il pestaggio di Rodney King da parte della polizia, quando era stato chiamato sulla scena dell’omicidio di una giovane fotografa danese. Poi le indagini erano state assegnate a un altro dipartimento, senza alcun esito. Ed ecco che Harry, passato all’unità Casi Irrisolti, viene incaricato di occuparsi proprio di quel delitto. Ma il lavoro di indagine è complicato anche dalle continue interferenze del nuovo capo, un impiccione che gli mette i bastoni tra le ruote, non gli autorizza le trasferte e arriva a deferirlo anche alla commissione disciplinare.
“Benché non avesse ottenuto tutto quello che avrebbe voluto, la telefonata con Henrik ricaricò Bosch. Quanto al caso, gli sembrava che qualcosa fosse cambiato, anche se non era in grado di dire esattamente cosa. Poco più di un giorno prima, era convinto che l’indagine non stesse portando da nessuna parte e che presto avrebbe richiuso gli scatoloni e restituito Anneke Jespersen agli abissi degli archivi, tra le vittime dimenticate. Ma ora era apparso uno sprazzo di luce. Carne al fuoco e misteri da risolvere ce n’erano. C’erano domande alle quali bisognava rispondere e Bosch era ancora in partita.”
Bosch, come sempre, va dritto per la sua strada e, intuendo che la morte della giovane non è stata causata dalla situazione esplosiva della città, ma è legata a un intrigo assai più complesso, si inoltra in un labirinto di indizi alla ricerca della “scatola nera”, l’elemento rivelatore che potrà fornirgli la soluzione del caso. Dovrà tornare indietro nel tempo, ripercorrere una strada intricata a rischio della sua stessa vita e misurarsi con qualcuno disposto a tutto pur di non perdere un potere acquisito con l’inganno.
BIANCANEVE
1992La terza sera il numero delle vittime stava aumentando così in fretta che molte squadre della Divisione Omicidi erano state fatte rientrare dalla prima linea di controllo delle rivolte ed erano state assegnate ai turni di emergenza a South Central. Il detective Harry Bosch e il partner Jerry Edgar furono spostati dalla Divisione Hollywood e destinati a una squadra mobile che comprendeva anche la scorta di due agenti di pattuglia. Venivano spediti in qualsiasi posto si rendesse necessario, ovunque fosse segnalato un cadavere. I quattro uomini della squadra si spostavano a bordo di un’auto di servizio bianca e nera, passando da una scena del crimine all’altra senza mai trattenersi troppo a lungo. Non era quello il modo giusto di portare avanti un’indagine di omicidio, anzi, ne era ben lontano, ma era il migliore possibile nelle surreali circostanze che si erano realizzate in quella città dilaniata.
South Central era una zona di guerra. Roghi dappertutto. Branchi di sciacalli si spostavano da un negozio all’altro saccheggiandoli e anche la minima parvenza di dignità e di codice morale era svanita nel fumo che aleggiava sopra la città. Per garantirsi il controllo del territorio al calare del buio, erano scese in campo le gang di South Los Angeles, pronte a patteggiare una tregua nelle loro guerre intestine pur di creare un fronte unico contro la polizia.
Erano già morte oltre cinquanta persone. Proprietari di negozi che avevano ucciso rivoltosi, rivoltosi uccisi da uomini della Guardia Nazionale, rivoltosi uccisi da altri rivoltosi. E poi venivano gli altri, assassini che sfruttavano il caos dei disordini per mescolarsi alla folla e regolare conti in sospeso da tempo, che nulla avevano a che fare con le frustrazioni e le emozioni che stavano trovando sfogo nelle strade della città.
Due giorni prima, le contraddizioni razziali, sociali ed economiche che attraversavano sotterraneamente il tessuto cittadino erano esplose in superficie con l’intensità di un terremoto. Il processo nei confronti di quattro agenti del LAPD, il distretto di polizia di Los Angeles, accusati di violenza ai danni di un nero al termine di un inseguimento stradale a folle velocità, si era concluso con un verdetto di non colpevolezza. La lettura della decisione della giuria all’interno dell’aula di un tribunale periferico, situato a oltre settanta chilometri di distanza, aveva avuto su South Los Angeles una ripercussione pressoché immediata. Piccoli gruppi di gente inferocita si erano raccolti agli angoli delle strade gridando all’ingiustizia. Era bastato poco per passare alla violenza. Le televisioni locali erano entrate in campo con le dirette, portando le immagini all’interno di ogni casa della città e del mondo.