L’amante giapponese è un romanzo di Isabel Allende, pubblicato il 15 ottobre 2015, un’epica storia d’amore che trascende il tempo e che spazia dalla Polonia della Seconda guerra mondiale alla San Francisco dei nostri giorni.
“Ci sono passioni che divampano come incendi fino a quando il destino non le soffoca con una zampata, ma anche in questi casi rimangono braci calde pronte ad ardere nuovamente non appena ritrovano l’ossigeno.”
Una storia d’amore ambientata negli anni della seconda guerra mondiale, la storia di Alma Belasco, una affascinante donna ottantenne colta e facoltosa, che decide di trascorrere gli ultimi anni della sua vita a Lark house, una residenza per anziani nei pressi di San Francisco.
In questa struttura, popolata da affascinanti e bizzarri anziani di diversa estrazione sociale, stringe amicizia con Irina, giovane infermiera moldava, di cui presto si innamorerà il nipote Seth Belasco. Ed è ai due giovani che Alma inizierà a raccontare la sua vita, in particolare la sua grande storia d’amore clandestina, quella con il giapponese Ichi, figlio del giardiniere dell’aristocratica dimora in cui ha vissuto, nonché compagno di giochi sin dalla più tenera infanzia. Sullo sfondo di un paese attraversato dalla seconda guerra mondiale, con le taglienti immagini di una storia minore – quella dei giapponesi deportati nei campi di concentramento -, si snoda un amore fatto di tempi sbagliati, orgoglio malcelato e ferite da curare, ma al tempo stesso indistruttibile, che trascende ogni difficoltà e vive in eterno nel cuore e nei ricordi degli amanti.
L’autrice ha spiegato che l’ispirazione è arrivata grazie al suo contatto diretto con molte persone anziane, tra cui i suoi genitori che superano entrambi la novantina. La questione dell’invecchiamento è molto sentita in America ed è stata abilmente inserita nelle pagine del romanzo che tuttavia “parla principalmente di amore e non di età”, ha voluto precisare la scrittrice.
Sono una fan della Allende fin dal primo romanzo e mi fa male leggere recensioni negative, ma questo libro ne ha molte, i lettori lo hanno trovato non all’altezza della vecchia Allende, usando parole come noioso, confuso e con una scrittura elementare irriconoscibile. Pochi sono stati quelli che, anche se non a pieni voti, lo hanno apprezzato, vivendo a pieno la magica storia d’amore, la complessità degli argomenti, la passionalità e la scrittura definita magistrale. Insomma questo è uno dei tanti casi dove conta solo il nostro giudizio, non ci resta che leggerlo.
Lark House
Irina Bazili iniziò a lavorare a Lark House, alla periferia di Berkeley, nel 2010, a ventitré anni compiuti e con poche illusioni, perché passava da un impiego all’altro, cambiando di continuo città, da quando ne aveva quindici. Non poteva immaginare che in quella residenza per la terza età avrebbe trovato una nicchia perfetta e che nei tre anni successivi sarebbe tornata a essere felice come durante l’infanzia, quando ancora il destino non le si era scompigliato. Lark House, fondata a metà del Novecento per ospitare dignitosamente anziani non abbienti, aveva attratto fin dall’inizio, per ragioni sconosciute, intellettuali progressisti, alternativi convinti e artisti di scarso successo. Con il tempo, per diversi aspetti cambiò, pur continuando a riscuotere rette proporzionate al reddito di ogni residente allo scopo di favorire, in teoria, una qualche diversità economica e razziale. In pratica, erano tutti bianchi appartenenti alla classe media e la diversità si manifestava in sottili differenze tra liberi pensatori, persone in cerca di un cammino spirituale, attivisti sociali ed ecologisti, nichilisti e qualcuno dei pochi hippie rimasti nell’area della Baia di San Francisco.
Nel corso del primo colloquio, il direttore di quella comunità, Hans Voigt, fece capire a Irina che era troppo giovane per un ruolo di così grande responsabilità; tuttavia, siccome dovevano coprire con urgenza quel posto rimasto vacante, lei poteva fungere da tappabuchi mentre cercavano la persona giusta. Irina pensò che si poteva dire la stessa cosa di lui: sembrava un ragazzino dalle guance paffute già affetto da calvizie per il quale dirigere quella struttura era sicuramente un compito superiore alle sue capacità. Con il tempo la ragazza avrebbe constatato che a una certa distanza e non in piena luce l’aspetto di Voigt ingannava, perché in realtà aveva compiuto cinquantaquattro anni e si era dimostrato un eccellente amministratore. Irina gli garantì che la sua mancanza di titoli di studio sarebbe stata compensata dall’esperienza nell’accudimento degli anziani maturata in Moldavia, il suo paese natale.
Il timido sorriso della candidata intenerì il direttore che, dimenticandosi di chiederle una lettera di raccomandazione, passò a enumerare gli obblighi relativi al suo incarico, riassumibili in poche parole: semplificare la vita degli ospiti del secondo e del terzo livello. Quelli del primo livello non erano di sua competenza perché vivevano in modo indipendente, come inquilini in un condominio, e nemmeno quelli del quarto livello, chiamato in modo appropriato Paradiso perché, in attesa di trasferirsi in cielo, trascorrevano sonnecchiando la maggior parte del tempo e richiedevano un altro tipo di servizi. Irina si sarebbe occupata di accompagnare i residenti alle visite mediche, dagli avvocati e dai commercialisti, di aiutarli a compilare moduli relativi alla salute e alle imposte, di portarli a far spese e altre commissioni. La sua unica relazione con quelli del Paradiso era l’organizzazione del loro funerale, ma a tale riguardo avrebbe ricevuto istruzioni dettagliate a seconda dei casi, le disse Hans Voigt, perché i desideri dei moribondi non sempre coincidevano con quelli dei parenti. Tra gli ospiti di Lark House erano diffuse diverse credenze e i funerali tendevano a essere cerimonie ecumeniche piuttosto complicate.