Il dono del lupo è il primo romanzo della nuova saga “Cronache del Lupo“, scritto da Anne Rice, pubblicato a febbraio 2016.
La Rice è diventata famosa con “Cronache dei vampiri”, ha scritto di streghe, ed ora tocca alla mitologia dell’uomo lupo con questa nuova avventura gotica sull’eterna lotta tra il bene e il male.
“Rivolgetevi con parole vostre alla forza
che governa l’universo.
Forse le daremo vita, ed essa ci amerà
come noi la amiamo.”
La villa è magnifica, a strapiombo sul Pacifico, circondata da sequoie secolari. Reuben, giovane giornalista incaricato di scrivere un articolo per la messa in vendita che ne decanti la meraviglia, ne è affascinato. Ma a colpirlo ancora di più è Marchent, la proprietaria, bella e misteriosa come la sua casa. Per lui è inevitabile subire il fascino di quella donna che lo guida tra le stanze splendidamente ammobiliate, raccontandogli del prozio scomparso nel nulla da vent’anni e solo ora dichiarato ufficialmente morto. La notte di passione tra i due sembra scritta nel destino, ma la brutale irruzione nella villa di due criminali pone fine al sogno prima ancora che inizi.
Marchent soccombe sotto i colpi dei malviventi e Reuben sta per fare la stessa fine, quando viene salvato da qualcuno – qualcosa? – che uccide i suoi aguzzini e ferisce lui, lasciandolo agonizzante.
Ricoverato in ospedale, si riprende in maniera sorprendente, in pochissimi giorni. Reuben sta bene, anzi benissimo, il suo corpo non è mai stato così forte, il suo udito così fine, il suo sguardo così acuto: un nuovo vigore sembra pervaderlo, una forza che si risveglia quando sente l’odore del male…
Perché in quella notte maledetta Reuben ha ricevuto il dono del lupo.
Ora possiede una doppia natura umana e ferina, e ne è perfettamente consapevole.
Una realtà che solleva inquietanti interrogativi… Chi lo ha trasformato così? Qual è la sua vera natura? E soprattutto, esistono altri come lui nel mondo?
“La vita è un giardino di sofferenza.”
Ho amato le cronache dei vampiri e questo libro mi incuriosisce molto, spero di leggerlo al più presto, devo ammettere che ho molte aspettative, anche se leggendo le recensioni dovrei abbassarle. Sembrerebbe che il romanzo non tenga il paragone con gli altri libri della Rice, anche se ha dei buoni tratti originali.
Reuben era alto, ben oltre il metro e ottanta, e aveva capelli ricci castani e occhi azzurri brillanti. Lo avevano soprannominato «splendore», e lui odiava così tanto quel nomignolo che tendeva a nascondere il suo irresistibile sorriso. Ma in quel momento era troppo felice per non sorridere e cercare di dimostrare più dei suoi ventitré anni.
Stava risalendo una ripida collina battuta dal furibondo vento dell’oceano, con Marchent Nideck, una donna affascinante, elegante e più matura di lui, e si beava di quel che gli stava raccontando della grande casa sulla scogliera. Lei era snella, con un volto magro dai lineamenti bellissimi, e quel genere di biondo nei capelli che sembra non sbiadire mai. Li portava pettinati in un caschetto morbido e ondeggiante, che si arricciava appena sopra le spalle. Reuben era incantato da lei, dal suo abito lungo di lana marrone e dai lucidi stivali in tinta.
Doveva scrivere per il San Francisco Observer un articolo sulla villa, che la donna intendeva vendere ora che finalmente si era giunti a un accordo sull’eredità e il suo prozio Felix Nideck era stato ufficialmente dichiarato morto. Benché fosse scomparso da vent’anni, il suo testamento era appena stato aperto, e la casa era andata a lei, la nipote.
Dal suo arrivo, avevano continuato a camminare per i rilievi boscosi della tenuta, visitando una dépendance fatiscente e un fienile diroccato. Avevano seguito vecchie stradine e sentieri sperduti nella boscaglia, spuntando di tanto in tanto sulla cima di una roccia affacciata sul freddo color ferro del Pacifico, per poi rituffarsi subito in quel mondo umido e protetto di querce e felci.
Reuben non era vestito in modo molto adatto. Era venuto al Nord in macchina nella sua consueta «uniforme», che consisteva in una giacca blu di lana pettinata, un pullover leggero di cashmere e pantaloni grigi. Ma almeno aveva al collo una sciarpa recuperata dal cassetto del cruscotto, e il freddo pungente non gli dava poi così fastidio.
La villa, immensa e antica, aveva un’aria invernale, con i tetti di ardesia spioventi e le finestre con le lastre di vetro a rombi. Era costruita in pietra grezza, sul tetto si levavano numerosi comignoli e sul lato ovest si prolungava in una veranda tutta vetri e ferri dipinti di bianco. Reuben ne era stato conquistato. Nel vederla in fotografia su internet gli era piaciuta molto, ma niente lo aveva preparato alla sua solenne grandiosità.
Era cresciuto in una vecchia casa di Russian Hill, a San Francisco, e aveva passato molto tempo negli stupendi palazzi d’epoca di Presidio Heights e in sobborghi come Berkeley, dove aveva studiato, e Hillsborough, dove per molti anni era andato in vacanza nella villa del nonno. Ma niente di tutto questo reggeva il confronto con la residenza dei Nideck.
La maestosità della costruzione, quasi incagliata nel parco, suggeriva tutto un altro mondo.
Questa sì che è una casa, si era detto appena l’aveva scorta. Quei tetti d’ardesia, quelle grondaie di rame… Floridi rampicanti verdi ricoprivano più di metà dell’immenso edificio, spingendosi su fino alle finestre più alte: Reuben era rimasto seduto in macchina, colpito e quasi in venerazione, a sognare di possedere un giorno un’abitazione simile, quando sarebbe diventato un giornalista famoso e il mondo avrebbe fatto la coda davanti alla sua porta.
Il pomeriggio si annunciava magnifico.