Il canto del ribelle è un romanzo fantasy di Joanne Harris, pubblicato nel 2015.
“Io conosco una storia, o figli della terra.
Parlo come devo.
Di come nove alberi hanno dato vita ai Mondi
affidati ai giganti.”
Per Loki, il dio delle fiamme, intelligente, affascinante, ingannatore, spiritoso, l’accoglienza ad Asgard non è delle migliori. Nella città dorata che s’innalza nel cielo in fondo al Ponte dell’Arcobaleno, dove vivono le donne e gli uomini che si sono proclamati dèi, tutti diffidano di lui, che ha nelle vene il sangue dei demoni. Malgrado la protezione di Odino, Loki ad Asgard continua a non essere amato: quello è il regno della perfezione, dell’ordine, della legge imposta. Entrare definitivamente nella schiera delle divinità più importanti, per lui, è impossibile: non solo gli viene impedito, è la sua stessa natura ribelle a impedirglielo. Ma arriva il momento della sua riscossa. Il mondo delle divinità è agli sgoccioli, una profezia ne ha proclamato la fine imminente. E Loki potrà mettere le sue capacità al servizio di Asgard e dei suoi abitanti. È lui che si adopera, con la sua astuzia, per trarre in salvo Thor e compagni. Ma gli dèi sono capricciosi, volubili e di certo non più leali di Loki. Adesso è giunta per lui l’ora di decidere da che parte stare, chi difendere e contro chi muovere battaglia. E di scoprire se i suoi poteri e la sua astuzia possono davvero salvarlo dalla fine che minaccia i Mondi e le creature, umane e divine, che li abitano.
Joanne Harris ci porta nelle atmosfere piene di fascino della mitologia nordica: le divinità buone e cattive, i popoli in lotta tra loro, le forze oscure, le città fantastiche e le battaglie sanguinose. Protagonista assoluto è Loki, il dio temuto ed esiliato da tutti che cerca il suo riscatto: è lui a raccontarci la sua versione dei fatti, secondo una prospettiva diversa da quella che abbiamo conosciuto sin qui. Preparatevi a scoprire Odino, Thor e le altre divinità norrene come non li avete mai conosciuti.
“Ora viene la resa dei conti finale.
Ora viene il popolo degli Inferi.
Ora viene il drago delle tenebre, Morte,
a stendere la sua ala d’ombra sopra i Mondi.”
Le recensioni, come spesso capita con questa scrittrice, sono discordanti, c’è chi ha amato questo romanzo e chi invece l’ha odiato, questo è uno dei casi dove le recensioni non contano, quando i lettori sono così totalmente divisi non resta che leggere il romanzo.
Il libro è piaciuto per l’originalità del “cattivo” che racconta la storia, perché è ironico, leggero, scorrevole e avventuroso. Mentre non è piaciuto per il fatto che spesso l’ironia sembra forzata e molti si aspettavano di più da una conoscitrice di mitologia norrena.
Va bene. Basta. Basta così.
Quella era la Versione Ufficiale. La Profezia dell’Oracolo, così come è stata raccontata a Odino Padre di Tutti dalla Testa di Mimir il Saggio e che tratta, in trentasei strofe, tutta la storia dei Nove Mondi, da «Che sia fatta luce» fino a Ragnarók.
Fantastico, non vi pare?
Bene, questa non è la Versione Ufficiale. Questa è la mia versione dei fatti. E la prima cosa che dovete capire riguardo a questo raccontino è che non c’è un vero inizio. Né una vera conclusione, a dirla tutta. Anche se, naturalmente, ci sono stati parecchi esempi di entrambi: finali multipli, inizi multipli, intrecciati così fittamente che nessuno è più in grado di distinguerne i fili. Finali, inizi, profezie, miti, storie, leggende e bugie, tutti parte dello stesso grande tappeto; soprattutto le bugie, certo – che è poi quello che vi aspettavate da me, essendo io il Padre e la Madre delle Bugie, ma questa volta è tutto vero, almeno quanto qualsiasi cosa chiamiate storia.
Vedete, questo è il punto riguardo alla storia. La sua storia. Ecco cos’è. La versione dei fatti del Vecchio, che in sostanza noi altri siamo tenuti ad accettare come verità indiscussa. Datemi del cinico, ma io non sono mai stato tipo da accettare le cose sulla parola, e si dà il caso che sappia che la storia non è altro che trama e metafora, che è poi ciò di cui sono fatte tutte le storie, quando le srotoli sino in fondo. E ciò che le rende un successo o un mito, ovviamente, è come la storia viene raccontata, e da chi.
La maggior parte di ciò che conosciamo come storia ci è giunta da un unico testo: la Profezia dell’Oracolo. È un testo antico, in una lingua antica, e per molto tempo è stato più o meno tutto il sapere che avevamo a disposizione. Dal principio alla fine, l’Oracolo e il Vecchio l’avevano escogitato tutto fra di loro; il che ha reso ancora più irritante avere scoperto cosa significasse davvero solo quando per tutti noi era troppo tardi.
Ma a questo arriveremo a breve. «Bastoni e pietre possono rompermi le ossa, le parole no», come si dice nei Mondi di Mezzo; però con le parole giuste potete costruire un mondo e diventarne il re. Re o perfino dio, cosa che ci riporta al Vecchio; quel maestro narratore, custode delle rune, signore della poesia, scriba dei Primi e Ultimi Tempi. I creazionisti vorrebbero farci credere che ogni parola della sua storia è vera. Ma «licenza poetica» è sempre stato il secondo nome del Vecchio. Naturalmente, lui ha molti nomi. E così io. E dato che questa non è storia, ma mi-stero – la mia-storia – una volta tanto cominciamo da me. Altri hanno già avuto l’occasione di raccontare la loro versione dei fatti. Questa è la mia.
Io la chiamo Lokabrenna o, tradotto approssimativamente, Il Vangelo di Loki. Loki sono io. Loki, il Portatore di Luce, l’eroe incompreso, elusivo, bello e modesto di questo particolare intreccio di bugie. Non prendetelo come oro colato, ma è vero almeno tanto quanto la Versione Ufficiale e, oserei dire, più divertente. Sin qui la storia, così com’è, mi ha assegnato un ruolo assai poco lusinghiero. Adesso tocca a me entrare in scena.Che sia fatta luce.