L’ombra del vento è un romanzo scritto dallo spagnolo Carlos Ruiz Zafón, pubblicato nel 2001 da Mondadori, tradotto da Lia Sezzi. Un caso editoriale nato dal semplice passaparola, un libro che esalta l’amore per i libri e mescola vari generi letterari dal mistery al dramma sentimentale, con qualche tocco di gotico ed un pizzico di ironia.
Questo è il primo volume della serie Il Cimitero dei Libri Dimenticati, seguito da Il gioco dell’angelo (2008), Il prigioniero del cielo (2011) e Il labirinto degli spiriti (2016).
“Questo luogo è un mistero, Daniel, un santuario. Ogni libro, ogni volume che vedi possiede un’anima, l’anima di chi lo ha scritto e di coloro che lo hanno letto, di chi ha vissuto e di chi ha sognato grazie a esso. Ogni volta che un libro cambia proprietario, ogni volta che un nuovo sguardo ne sfiora le pagine, il suo spirito acquista forza. Molti anni fa, quando mio padre mi portò qui per la prima volta, questo luogo era già vecchio, quasi come la città. Nessuno sa con certezza da quanto tempo esista o chi l’abbia creato. Ti posso solo ripetere quello che mi disse mio padre: quando una biblioteca scompare, quando una libreria chiude i battenti, quando un libro viene cancellato dall’oblio, noi, i custodi di questo luogo, facciamo in mo-do che arrivi qui. E qui i libri che più nessuno ricorda, i libri perduti nel tempo, vivono per sempre, in attesa del giorno in cui potranno tornare nel-le mani di un nuovo lettore, di un nuovo spirito. Noi li vendiamo e li compriamo, ma in realtà i libri non ci appartengono mai. Ognuno di questi libri è stato il miglior amico di qualcuno. Adesso hanno soltanto noi, Daniel. Pensi di poter mantenere il segreto?”
Una mattina del 1945 il proprietario di un modesto negozio di libri usati conduce il figlio undicenne, Daniel Sempere, nel cuore della città vecchia di Barcellona al Cimitero dei Libri Dimenticati, un luogo in cui migliaia di libri di cui il tempo ha cancellato il ricordo, vengono sottratti all’oblio.
Qui Daniel sceglie il libro “L’ombra del vento” dell’autore sconosciuto Julián Carax, un libro “maledetto” che cambierà il corso della sua vita, introducendolo in un labirinto di intrighi legati alla figura del suo autore e da tempo sepolti nell’anima oscura della città. Infatti Daniel legge il libro in una sola notte e ne è così conquistato che vorrebbe leggere qualcos’altro dello stesso autore, ma scopre che gli altri libri dello scrittore sono fuori mercato ed irreperibili.
Daniel inizia quindi a indagare sulla vita del misterioso autore, scoprendo strane similitudini tra la sua vita e quella di Carax, e questo lo porta sempre più nella ricerca di nuove informazioni, durante le quali viene pedinato da un misterioso uomo, Lain Coubert, il nome di un personaggio dei libri di Carax e che rappresenta il diavolo in persona.
In aiuto a Daniel arriva Fermin Romero de Torres, un mendicante che incontra in una piazza a Barcellona dove vive coperto da uno scatolone e gli offre un lavoro come assistente alla sua libreria, un uomo saggio che porta sul corpo segni del suo turbolento e misterioso passato, con lui instaura una forte amicizia.
Durante i dieci anni di ricerche i due, poco alla volta, arrivano a scoprire pezzi di verità sull’identità di Julian Carax, riportando alla luce infanzie difficili, amori fatali e omicidi.
“Ignoravo il piacere che può dare la parola scritta, il piacere di penetrare nei segreti dell’anima, di abbandonarsi all’immaginazione, alla bellezza e al mistero dell’invenzione letteraria. Tutte queste scoperte le devo a quel romanzo”
Un romanzo in cui i bagliori di un passato inquietante si riverberano sul presente del giovane protagonista, ambientato in una Barcellona, tra il 1945 e il 1966, dalla duplice identità: quella ricca ed elegante degli ultimi splendori del Modernismo e quella cupa del dopoguerra, una città segnata dalla guerra civile e dal franchismo, il regime politico totalitario, simboleggiato in una descrizione della città grigia e immersa costantemente nella nebbia. Uno dei temi centrali del libro è il potere della letteratura e come i libri possano influenzare e plasmare le vite delle persone e la biblioteca dei libri dimenticati rappresenta il luogo simbolico di questo potere, un santuario della memoria e del sapere, ricordandoci l’importanza di tutte le biblioteche.
“La televisione, mio caro Daniel, è l’Anticristo. Mi creda, nel giro di tre o quattro generazioni la gente non sarà più nemmeno in grado di scoreggiare da sola e l’essere umano regredirà all’età della pietra, alla barbarie medievale, a uno stadio che la lumaca aveva già superato all’epoca del pleistocene. Il mondo non verrà distrutto da una bomba atomica, come dicono i giornali, ma da una risata, da un eccesso di banalità che trasformerà la realtà in una barzelletta di pessimo gusto.”
Le recensioni sono molto varie da “imperdibile” a “discreto”, fino a “deludente”, stranamente concordo con tutti e tre i giudizi, perché ho provato tutte le emozioni durante questo viaggio letterario, pagine che mi sono rimaste nel cuore, di una bellezza straordinaria; altre noiose, che hanno rallentato la lettura, e un finale che non mi ha soddisfatta per il modo in cui è stato svelato il mistero, dopo 595 pagine di mistero mi aspettavo che questo fosse rivelato lentamente, indizio dopo indizio, come si addice ad un vero mistery, invece la rivelazione sembra affrettata, come se non sapesse come uscirne. Nel complesso, però, ne consiglio la lettura, ci sono parti del libro che ripagano di tutto.
Il Cimitero dei Libri Dimenticati
Ricordo ancora il mattino in cui mio padre mi fece conoscere il Cimitero dei Libri Dimenticati. Erano le prime giornate dell’estate del 1945 e noi passeggiavamo per le strade di una Barcellona prigioniera di un cielo grigiastro e di un sole color rame che inondava di un calore umido la rambla de Santa Mónica.
«Daniel, quello che vedrai oggi non devi raccontarlo a nessuno» disse mio padre. «Neppure al tuo amico Tomás. A nessuno.»
«Neanche alla mamma?» domandai sottovoce.
Mio padre sospirò, offrendomi il sorriso dolente che lo seguiva sempre come un’ombra.
«Ma certo» rispose mesto. «Per lei non abbiamo segreti.»
Subito dopo la guerra civile, il colera si era portato via mia madre. L’avevamo sepolta a Montjuïc, sotto una pioggia battente, il giorno in cui compivo quattro anni. Ricordo che quando chiesi a mio padre se il cielo piangeva gli mancò la voce. Sei anni dopo, l’assenza di mia madre era ancora un grido muto, un vuoto che nessuna parola poteva colmare. Mio padre e io abitavamo in un piccolo appartamento di calle Santa Ana, vicino alla piazza della chiesa, sopra la libreria specializzata in edizioni per collezionisti e libri usati che era stata del nonno, un magico bazar che un giorno sarebbe diventato mio, diceva mio padre. Sono cresciuto tra i libri, in compagnia di amici immaginari che popolavano pagine consunte, con un profumo tutto particolare. Da bambino, prima di addormentarmi raccontavo a mia madre come era andata la giornata e quello che avevo imparato a scuola. Non potevo udire la sua voce né essere sfiorato dalle sue carezze, ma la luce e il calore del suo ricordo riscaldavano ogni angolo della casa e io, con l’ingenuità di chi conta ancora gli anni sulle dita delle mani, credevo che se avessi chiuso gli occhi e le avessi parlato, lei mi avrebbe ascoltato, ovunque si trovasse. A volte mio padre mi sentiva dal soggiorno e piangeva di nascosto.Ricordo che quella mattina di giugno mi ero svegliato gridando. Il cuore mi batteva come se volesse aprirsi un varco nel petto e fuggire via. Mio padre, allarmato, era accorso in camera mia e mi aveva preso tra le braccia per calmarmi.
«Non mi ricordo più il viso della mamma» dissi con un filo di voce.
Mio padre mi strinse forte.
«Non preoccuparti, Daniel. Lo ricorderò io per tutti e due.»
Ci guardammo nella penombra, cercando parole che non esistevano. Per la prima volta notai che mio padre stava invecchiando e che i suoi occhi tristi erano rivolti al passato. Si alzò in piedi e aprì le tende per far entrare la pallida luce dell’alba.
«Su, Daniel, vestiti. Voglio mostrarti una cosa» disse.
«Adesso? Alle cinque del mattino?»
«Ci sono cose che si possono vedere solo al buio» rispose, sfoderando un sorriso enigmatico che doveva aver preso in prestito da un romanzo di Dumas.
Per strada si udivano solo i passi di qualche guardia notturna. I lampioni delle ramblas impallidivano accompagnando il pigro risveglio della città, pronta a disfarsi della sua maschera di colori slavati. All’altezza di calle Arco del Teatro svoltammo in direzione del Raval, passando sotto l’arcata avvolta nella foschia, e percorremmo quella stradina simile a una cicatrice, allontanandoci dalle luci delle ramblas mentre il chiarore dell’alba cominciava a disegnare í contorni dei balconi e dei cornicioni delle case. Mio padre si fermò davanti a un grande portone di legno annerito dal tempo e dall’umidità. Di fronte a noi si ergeva quella che a me parve la carcassa di un palazzo, un mausoleo di echi e di ombre.
«Daniel, quello che vedrai oggi non devi raccontarlo a nessuno. Neppure al tuo amico Tomás. A nessuno.»
Ci aprì un ometto con la faccia da uccello rapace e i capelli d’argento. Il suo sguardo si posò su di me, impenetrabile.
«Buongiorno, Isaac. Questo è mio figlio Daniel» disse mio padre. «Presto compirà undici anni, e un giorno manderà avanti il negozio. Ha l’età giusta per conoscere questo posto.»
Isaac ci invitò a entrare con un lieve cenno del capo. Dall’atrio, immerso in una penombra azzurrina, si intravedevano uno scalone di marmo e un corridoio affrescato con figure di angeli e di creature fantastiche. Seguimmo il guardiano fino a un ampio salone circolare sovrastato da una cupola da cui scendevano lame di luce. Era un tempio tenebroso, un labirinto di ballatoi con scaffali altissimi zeppi di libri, un enorme alveare percorso da tunnel, scalinate, piattaforme e impalcature: una gigantesca biblioteca dalle geometrie impossibili. Guardai mio padre a bocca aperta e lui mi sorrise ammiccando.
«Benvenuto nel Cimitero dei Libri Dimenticati, Daniel.»
Se vuoi ACQUISTA il libro