Sabato 10 settembre, a Venezia sul palco della Fenice, da una giuria composta da 300 lettori anonimi (157 donne e 143 uomini), è stato decretato il vincitore della 54esima edizione del Premio Campiello, premio letterario, istituito nel 1962 per volontà degli Industriali del Veneto, che viene assegnato a opere di narrativa italiana.
Il vincitore è Simona Vinci con La prima verità (79 voti), al secondo posto Elisabetta Rasy con Le regole del fuoco (64 voti), al terzo Andrea Tarabbia con Il giardino delle mosche (62 voti), il quarto posto per Luca Doninelli con Le cose semplici (41 voti) , chiudere la cinquina Alessandro Bertante con Gli ultimi ragazzi del secolo (34 voti).
Il Premio Campiello Opera Prima è stato vinto da Gesuino Nemus per il romanzo La teologia del cinghiale.
Il Premio Campiello Giovani 2016 è stato vinto da Ludovica Medaglia, che ha scritto il racconto Wanderer (Viandante).
Il Campiello Economia è stato conferito al giornalista e scrittore Dario Di Vico.
Il Premio Fondazione Campiello (il Campiello alla carriera) è stato assegnato a Ferdinando Camon.
La serata la finale del Campiello è stata condotta da Geppi Cucciari e Neri Marcorè per il quarto anno consecutivo. E’ stata trasmessa in diretta su Rai5 e successivamente in seconda serata in replica su Rai3,.
Conosciamo i protagonisti di questa edizione del Premio Campiello 2016:
Cominciamo col la vincitrice Simona Vinci, nata a Milano nel 1970 e vive a Bologna. Il suo esordio letterario risale al 1997, con il romanzo Dei bambini, vincitore nel 2000 del Premio Elsa Morante opera prima, nel 1999 il suo libro di racconti In tutti i sensi come l’amore arriva nella cinquina finale del Premio Campiello, nel 2003, sempre al Premio Campiello, il romanzo Come prima delle madri si classifica al secondo post.
Collabora con vari quotidiani nazionali e ha lavorato per la televisione, su Rai 3 nel 2000 ha condotto Cenerentola, un programma di Gregorio Paolini, nel 2006 Milonga Station, come autrice e conduttrice insieme a Carlo Lucarelli e Giampiero Rigosi e per Radio Rai Due.
La prima verità
Una giovane donna va in anni recenti alla ricerca del misterioso passato dei reclusi di un enorme lager in un’isola greca dove il regime dei colonnelli confinò insieme folli, poeti e oppositori politici. E sprofonda, come il coniglio di Alice, seguendo tracce semicancellate archivi polverosi e segni magici, in una catena imprevista di orrori e segreti dove la pazzia sempre più si mostra come eterno segno dell’opposizione e della ribellione e il passato rivive in storie miracolose, in una festa del linguaggio e della parola. Nella seconda parte del romanzo la detection su follia, normalità e violenza della giovane donna si allarga al mondo contemporaneo e finisce col diventare inevitabile, sconvolgente autobiografia dell’autrice, dove il nodo del rapporto con la madre e la scoperta del fantasma della propria follia (e di quella materna) si aprono in immagini di rara forza. Unica salvezza è la parola poetica, la passione di dire e raccontare che unisce i mondi nel gesto individuale di chi ha il coraggio di cercare ancora “la prima verità”.
Al secondo posto Elisabetta Rasy, nata, il 16 settembre 1947, a Roma dove vive e lavora, scrittrice e giornalista italiana, studiosa di narrativa ottocentesca, nel 1974, dopo la laurea in Storia dell’Arte fonda insieme a altre donne la casa editrice Edizioni delle Donne. Ha scritto per diverse testate giornalistiche tra cui “L’Espresso”, “La Stampa” e il “Corriere della Sera”. Attualmente collabora con “Il Sole 24 Ore”. Ha esordito nel 1985 con il romanzo La prima estasi. Tra i suoi libri, ricordiamo: Ritratti di Signora (1995), Tra noi due (2002) e L’estranea (2007), Memorie di una lettrice notturna (2009), tutti pubblicati da Rizzoli e Non esistono cose lontane (Mondadori 2014).
Le regole del fuoco
Maria Rosa ed Eugenia appartengono a due mondi diversi. La prima è cresciuta a Napoli in una famiglia aristocratica. L’altra è nata in un paesino del Nord e sogna di diventare medico. Se non fosse stato per la guerra, non si sarebbero mai incontrate. E invece è il primo conflitto mondiale a unire le due ragazze, partite come infermiere volontarie al fronte. È il duro lavoro in un ospedale sul Carso a permettere loro di conoscersi, diventare amiche, innamorarsi. Una volta tornata la pace, sperano di rimanere insieme, a costo di fingere, nascondersi, lottare. Ma adesso ogni istante è prezioso: in mezzo al caos, possono rubare un tempo per l’amore e vivere fino in fondo i propri sentimenti.
Al terzo posto Andrea Tarabbia, nato a Saronno nel 1978, russista di formazione, è docente di letteratura comparata presso l’Università di Bergamo.
Attualmente vive a Bologna. Dal 2006 al 2012 ha fatto parte della redazione della rivista Il primo amore[1][2]. Ha collaborato con le riviste L’Indice dei libri del mese, IL, Vanity Fair, Liberazione, Gli altri, Nazione indiana.
Ha pubblicato i romanzi La calligrafia come arte della guerra (Transeuropa, 2010), Marialuce (Zona, 2011) e Il demone a Beslan (Mondadori, 2011), il saggio Indagine sulle forme possibili (Aracne, 2010) e l’e-book La patria non esiste (Il Saggiatore, 2011).
Il giardino delle mosche
Tra il 1978 e il 1990, mentre in Unione Sovietica il potere si scopriva fragile e una certa visione del mondo si avviava al tramonto, Andrej Cikatilo, marito e padre di famiglia, comunista convinto e lavoratore, mutilava e uccideva nei modi più orrendi almeno cinquantasei persone. Le sue vittime bambini e ragazzi di entrambi i sessi, ma anche donne – avevano tutte una caratteristica comune: vivevano ai margini della società o non si sapevano adattare alle sue regole. Erano insomma simboli del fallimento dell’Idea comunista, sintomi dell’imminente crollo del Socialismo reale. Questo libro, sospeso tra romanzo e biografia, narra la storia di uno dei più feroci assassini del Novecento attraverso la visionaria, a tratti metafisica ricostruzione della confessione che egli rese in seguito all’arresto. E fa di più. Osa raccontare l’orrore e il fallimento in prima persona: Cikatilo, infatti, in questo libro dice “io”. È lui stesso a farci entrare nella propria vita e nella propria testa, a svelarci le sue pulsioni più segrete, le sue umiliazioni e ossessioni. “Il giardino delle mosche” è un libro lirico e crudele allo stesso tempo: la storia di un’anima sbagliata, una meditazione sul potere e la sconfitta e, soprattutto, una discesa impietosa fino alle radici del Male.
Al quarto posto Luca Doninelli, nato a Leno, in provincia di Brescia, il 31 marzo 1956. Ha vissuto a lungo tempo a Desenzano del Garda e poi a Milano dove si è laureato in filosofia. Ha insegnato presso alcuni istituti superiori e universitari e, come critico letterario ed editorialista, scrive per diverse testate quali Il Sabato, Liberal, Tempi, Il Giornale, Vita e Avvenire.
Oltre che narratore, è critico teatrale e si occupa di letteratura come critico, insegna etnografia narrativa all’Università Cattolica di Milano. Ha esordito nel 1990 con I due fratelli (Rizzoli). Ha vinto con La revoca, Garzanti, 1992, il premio Selezione Campiello, il Premio città di Catanzaro e il Premio Napoli; con Le decorose memorie, Garzanti, 1994, il Super Grinzane Cavour; con La nuova era, garzanti 1999, il Premio Grinzane Cavour e finalista del Premio Strega 2000; ed altri numerosi premi.
Le cose semplici
Una storia semplice: un amore è interrotto dalla fine del mondo. Milano è una foresta, il mondo una giungla dove il baratto è l’unica modalità di scambio. Prima un giovane aveva incontrato a Parigi una ragazzina enfant prodige della matematica, si era innamorato, si erano sposati. Lei, poco più che ventenne, va in America. Ma il mondo s’inceppa e in un batter d’occhio tutto finisce: niente più petrolio, niente più energia elettrica, commercio né moneta, niente più regole sociali. Ovunque solo guerre e carneficine. Il mondo si imbarbarisce e la sua caduta coglie i due innamorati ai due lati dell’oceano, senza possibilità di comunicare. Per vent’anni i due vivranno lontani, lei ha una vita durissima, lui comincia a scrivere per non dimenticarla. Finché, dopo tanti anni, i due si ritroveranno, accesi dal fuoco della passione e dal bisogno di verità. “Le cose semplici” è il tentativo di raccontare il cammino dei nostri desideri più comuni ed elementari – e di tutto quello che ci tocca il cuore, fino a straziarci con la sua bellezza o con il ricordo pungente di essa – attraverso la labirintica distruttività del mondo. Il nostro bisogno di vivere una vita che si possa dire umana, di gioia ma anche di un dolore dotato di senso, è destinato a infrangersi contro il muro del potere, della superficialità, del pensiero indotto e dei luoghi comuni? O può trovare soddisfazione?
Al quinto posto Alessandro Bertante, nato ad Alessandria nel 1969, vive a Milano. Scrittore e critico letterario, collabora con «La Repubblica», «Liberazione», «Satisfiction» e «Pulp», ed è condirettore artistico del festival letterario Officina Italia.
Fra i suoi romanzi ricordiamo il Al Diavul, (2008 Marsilio), vincitore del Premio Chianti, Nina dei lupi, (2011 Marsilio), finalista Premio Strega e vincitore del Premio Rieti, La magnifica Orda (2012 Il Saggiatore), Estate crudele (2013 Rizzoli), vincitore del Premio Margherita Hack.
Gli ultimi ragazzi del secolo
Un viaggio nell’Italia degli anni Ottanta compiuto dall’autore attraverso le sue memorie di ragazzo e poi di adolescente dentro una periferia, quella del QT8 milanese, un po’ piccolo-borghese, un po’ proletaria, tra la scoperta della musica, del sesso e della droga. Studente senza maestri, autodidatta a tratti brillante, randagio e ribelle, in fuga dalla famiglia, Bertante si mette a nudo con coraggio e racconta la sua generazione, cresciuta in quegli Ottanta, un serpente che vediamo snodarsi e strisciare attraverso i gruppi musicali, le canzoni, i film, i cartoni giapponesi, l’abbigliamento, il calcio, Milano 2, l’esplosione della tv commerciale, Drive in e i paninari, fino al diffondersi delle droghe pesanti e alla tragedia dell’Aids. Anni Ottanta che paiono trovare nella guerra in Iraq e in Mani pulite la loro conclusione per spengersi nella prima metà del decennio successivo tra l’ascesa di Berlusconi e la fine della guerra nella ex Jugoslavia. Filo rosso sarà proprio un viaggio estivo in Croazia che nel 1996 porterà il protagonista, insieme ad un amico, fino a Mostar, a Sarajevo, a toccare con mano i segni di una guerra non ancora finita, e Bertante racconta con pagine toccanti e di grande impatto narrativo quello che vede e quello che vede lo riguarda e ci riguarda da vicino molto più di quanto siamo stati in grado di capire e ancora oggi abbiamo capito. Esistono davvero passato e futuro o esiste un presente infinito?
Il Premio Campiello Opera Prima, vinto da Gesuino Nemus, uno scrittore esordiente di 58 anni, in realtà si chiama Mattelo Locci, nato in un piccolo paese dell’Ogliastra, ha lavorato come contadino, operaio, addetto nei supermercati per sopravvivere e pagarsi gli studi.
La teologia del cinghiale
Luglio 1969. Durante i giorni dello sbarco sulla luna, a Telévras, piccolo paese dell’entroterra sardo, due ragazzini vengono coinvolti in una serie di eventi misteriosi. Il primo è Matteo Trudìnu, talentuoso figlio di un sequestratore latitante; l’altro è Gesuino Némus, un bambino silenzioso e problematico, da tutti considerato poco più che un minus habens. Amici per la pelle, i due godono della protezione di don Cossu, il prete gesuita del paese, che si prende cura di loro come fossero figli suoi. Un giorno il padre di Matteo, scomparso da settimane, viene trovato morto a pochi chilometri di distanza da casa. Il maresciallo dei carabinieri De Stefani, un piemontese che fatica a comprendere le logiche del luogo, inizia a indagare con l’aiuto dell’appuntato Piras e dello stesso don Cossu ma, con l’avanzare dei giorni, le cose si complicano e spunta fuori un altro cadavere… Misteri, colpe antiche, segreti e rivelazioni vengono scanditi a ritmo battente in un romanzo dalle tinte gialle…