Nessuno come noi è un romanzo di Luca Bianchini, pubblicato a gennaio 2017, che ci riporta indietro nel tempo, negli anni ottanta quando ancora adolescenti ci si barcamenava tra amicizie, primi amori e la scoperta si sè.
“Si baciavano giocando e mangiavano patatine in quel modo che solo loro, mentre il vento spazzava il cielo e li faceva sentire immortali.”
Torino, 1987. Vincenzo, per gli amici Vince, aspirante paninaro e aspirante diciassettenne, è innamorato di Caterina, detta Cate, la sua compagna di banco di terza liceo, che invece si innamora di tutti tranne che di lui. Senza rendersene conto, lei lo fa soffrire chiedendogli di continuo consigli amorosi sotto gli occhi perplessi di Spagna, la dark della scuola, capelli neri e lingua pungente. In classe Vince, Cate e Spagna vengono chiamati “Tre cuori in affitto”, come il terzetto inseparabile della loro sit-com preferita. L’equilibrio di questo allegro trio viene stravolto, in pieno anno scolastico, dall’arrivo di Romeo Fioravanti, bello, viziato e un po’ arrogante, che è stato già bocciato un anno e rischia di perderne un altro. Romeo sta per compiere diciotto anni, incarna il cliché degli anni Ottanta e crede di sapere tutto solo perché è di buona famiglia. Ma Vince e Cate, senza volerlo, metteranno in discussione le sue certezze. A vigilare su di loro ci sarà sempre Betty Bottone, l’appassionata insegnante di italiano, che li sgrida in francese e fa esercizi di danza moderna mentre spiega Dante. Anche lei cadrà nella trappola dell’adolescenza e inizierà un viaggio per il quale nessuno ti prepara mai abbastanza: quello dell’amore imprevisto, che fa battere il cuore anche quando “non dovrebbe”. In un liceo statale dove si incontrano i ricchi della collina e i meno privilegiati della periferia torinese, Vince, Cate, Romeo e Spagna partiranno per un viaggio alla scoperta di se stessi senza avere a disposizione un computer o uno smartphone che gli indichi la via, chiedendo, andando a sbattere, scrivendosi bigliettini e pregando un telefono fisso perché suoni quando sono a casa. E, soprattutto, capendo quanto sia importante non avere paura delle proprie debolezze.
“Un’amicizia che svanisce è spesso dolorosa, e non sempre ha una causa.”
“La vita veloce gli faceva dimenticare le sue fragilità. Il cielo si stava accendendo di giallo e le montagne sembravano stringerlo in un abbraccio.”
Finalmente ritorna il Bianchini che amo, grazie al suo dono di raccontare le storie ho rivissuto la mia adolescenza, a me è piaciuto parecchio forse per colpa della nostalgia. Si legge con facilità e, anche se non è breve, finisce troppo presto. Credo che questo libro possa essere apprezzato sia da chi ha vissuto gli anni Ottanta, sia dagli adolescenti di oggi, perché le emozioni che si provano in quel periodo della nostra vita appartengono a tutti indipendentemente dall’epoca.
La casa dove nasci segnerà per sempre la tua vita.
Potrai abbandonarla, dimenticarla, dipingerla o trasformarla. Potrai riempirla di libri e svuotarla di ricordi, nasconderla dietro le persiane o lasciare che la luce la investa. Potrai aprirla agli altri o tenerla tutta per te, averla perennemente in ordine o disseminare i tuoi vestiti in giro. Ma le mura fra cui sei cresciuto condizioneranno chi sei e chi sarai.
Nel pieno dei suoi sedici anni, Vincenzo Piscitelli detestava l’appartamento in cui viveva. Si trovava al pianterreno di un condominio di cinque piani ed era composto da ingresso, tinello, cucinino, camera dei genitori, cameretta – la sua –, bagno e balcone verandato con vista garage: cinquantasette metri quadri calpestabili.
La sua stanza era così piccola che, per arredarla su misura, i suoi genitori erano andati fino a Biella al mobilificio Aiazzone. E grazie a un geometra che si era preso a cuore il loro caso avevano trovato l’unica soluzione possibile: per farci entrare il letto e la scrivania, avevano spostato l’armadio nell’ingresso e la cassettiera nel tinello. Per vestirsi, Vincenzo doveva fare il giro di tutta la casa.
Le uniche cose che gli piacevano, lì dentro, erano il poster di Renée Simonsen sul set di Sotto il vestito niente appeso alla porta della sua stanza, e poi quel profumo di pulito, un misto di Vim, cera e lucidatrice, che sua madre passava in continuazione.
Lavorava in una ditta di pulizie e doveva mantenere sempre alto il livello di professionalità, per cui si esercitava anche a casa. Il suo pezzo forte era l’angoliera di cristallo dove troneggiava il telefono: appena vedeva un’impronta, la signora Piscitelli correva a prendere straccio e alcol.
Quella mattina svegliò suo figlio alle 6.40 tirandogli giù le coperte, dopo aver messo a riscaldare il pentolino con il latte.
Vincenzo – Vince, per gli amici – si alzò senza protestare. Non era un dormiglione ed era felice di ricominciare la scuola. La pausa natalizia era stata fin troppo lunga per i suoi gusti, e passare tre giorni di fila a giocare a tombola e a perdere a sette e mezzo con i parenti gli aveva dato il colpo di grazia. Aveva voglia di rivedere i suoi compagni, in particolare Caterina, la vicina di banco con cui sognava di fidanzarsi: se solo lei avesse smesso di inseguire i diciottenni…
E poi, finalmente, avrebbe potuto mostrare la sua nuova felpa ricevuta per Natale.
Per riuscire a comprargliela, sua madre aveva fatto delle ore di lavoro extra mentendo clamorosamente al marito sul prezzo: tanto lui, emigrato da Scorrano, in Puglia, per fare l’operaio alla Fiat, che cosa ne sapeva delle felpe della Best Company?