Dimenticare uno stronzo. Il metodo detox in tre settimane è un manuale scritto da Federica Bosco, pubblicato a settembre 2016, l’autrice consigla alcuni metodi, provati sulla sua pelle, per dimenticare chi ci ha lasciato e riprendere il controllo della nostra vita, mettendo in atto alcune semplici ma efficaci strategie, dalla mindfulness alla corsa, dalla tecnica del “superhero” alla meditazione, allo yoga, saremo in grado di interrompere il pensiero ossessivo.
“Questo non è un libro contro gli uomini.
Dio sa quanto io detesti i luoghi comuni del tipo “tutti gli uomini sono uguali” perché, se gli uomini sono tutti uguali, allora lo sono anche le donne e spesso non ci facciamo miglior figura.
Questo libro è contro gli uomini stronzi, irrispettosi, egocentrici, infantili, mediocri, narcisisti e vigliacchi che, abilissimi nel cogliere un tuo momento di fragilità, ti dicono quello che vuoi sentirti dire, ti portano a letto un numero n di volte e poi spariscono senza nemmeno avvertirti lasciandoti sola a farti un sacco di domande.
Ecco, questo libro è contro quegli uomini lì, che poi chiamarli uomini è un disonore per la categoria, con la speranza di diventare sempre più brave a riconoscerli ed evitarli.
Conosco per fortuna molti uomini meravigliosi, che si mettono in discussione, lottano, crescono, sono compagni affidabili e formidabili, ed è a quelli che dobbiamo aspirare, se vogliamo avere una relazione sana.
Altrimenti meglio da sole.”
Smettere di pensare allo stronzo che ci ha lasciato richiede un percorso di disintossicazione, come qualsiasi altra dipendenza. I primi tempi saranno durissimi, sarai fisicamente e moralmente a terra, e socialmente impresentabile. Dovrai forzarti a fare certe cose e impedirti di farne altre. Giorno dopo giorno ti sentirai meglio, inizierai a volerti più bene, a dimenticarlo e a pensare, dopo le tre settimane di detox, che forse, in fondo, non era che il solito stronzo.
Federica Bosco ha elaborato questo metodo sulla propria pelle e lo illustra con acume e brillantezza da scrittrice. Dalla mindfulness alla corsa, dalla tecnica del “superhero” alla meditazione, dal gioco del “ma è ganzissimo!” allo yoga, mettendo in atto alcune semplici ma efficaci strategie saremo in grado di interrompere il pensiero ossessivo e riprendere il controllo della nostra vita.
“Ti aiuterò a cercare alternative ai comportamenti autodistruttivi, a interrompere la spirale pericolosa in cui sei caduta, a capire perché il nostro cervello si comporta come il nostro peggior nemico e a riprendere in mano la tua vita. Ma se ti aspetti pietà e compassione non è questo il posto giusto. Questo è un vero e proprio bootcamp, un centro addestramento reclute, perché la pietà non rende più forti, ma solo le facili prede del prossimo stronzo di turno. E tu sai benissimo che è arrivato il momento di voltare pagina. Perché un giorno, ripensando a questa storia, dirai a te stessa: ‘Ma davvero credevo di essere innamorata di uno così? E ho sopportato tutto questo???’. Prima o poi succederà, te lo garantisco per iscritto, dunque non è meglio accelerare il processo? Non è meglio spezzare l’incantesimo?
Fanciulle, c’è una via d’uscita. Non morbida ma c’è. Dobbiamo assolutamente cambiare il nostro atteggiamento, smettere di credere alle favole, al principe azzurro, a tutte quelle minchiate dei film e dei libri (sì anche i miei!) e afferrare la vita per le palle.
E stringere!”
“Se hai comprato questo libro vuol dire che hai già passato anche troppo tempo a pensare a lui, a rivedere al rallentatore tutta la storia nei minimi dettagli, frame dopo frame, a spiarlo sui social, a controllare se è online, a cercare di recuperarlo in ogni modo legale (e forse anche illegale), a renderti ridicola, a sfiancare le tue amiche e a piangerti addosso, perdendo un’enorme quantità di tempo e di autostima.
Se ti aspetti pietà e compassione non è questo il posto giusto.”
Con questo manuale romanzato l’autrice non smentisce le sue doti, riesce a essere diverte e ironica ma nello stesso tempo trattare un argomento più serio. La prima parte del libro è davvero molto divertente, descrive le varie situazioni in cui ci possiamo trovare e dove, penso un po’ tutti, ci si riconosce. L’altra parte invece è il vero e proprio manuale. Consiglio la lettura non solo a chi sta vivendo un dramma d’amore, la consiglio perchè può avvicinare a dei concetti nuovi e “strategie” che ci posso essere utili nel nostro quotidiano.
C’ERA UNA VOLTA
IERI…
La prima cosa che mi hanno insegnato i miei genitori è stata che gli altri erano migliori di me, tutti quanti: Grazia è più studiosa, Maria Novella più educata e Mabel più intelligente… La lista era lunghissima, immaginate quindi la me, settenne con le trecce, che si sente dire quotidianamente di guardare e imparare dagli altri perché, così com’è, è sbagliata.
Immaginate la confusione e il panico nel rendermi conto che quello che dicevo, facevo e pensavo non andava mai bene, e che come risultato ottenevo sempre la loro scontentezza e la loro disapprovazione.
Comunque andassero le cose, la filastrocca era sempre quella: guarda gli altri e fai come loro.
E io li guardavo “gli altri”, cercavo di imitarli, ma alla fine non andava bene lo stesso, perché io non ero loro (e comunque neanche i miei genitori erano i loro!).
Ero una bambina estremamente sensibile (piangevo per ore ogni volta che moriva un animale in una storia, dalla Collina dei conigli alla scimmietta di “Remi”), e avevo un temperamento artistico: ero brava in musica, avevo sempre ballato da che mi ero accorta di avere le gambe perciò mi avevano mandato a lezione di danza, pianoforte, nuoto e molte altre cose com’era in voga negli anni Settanta.
Di per sé era un’ottima idea permettere a un bambino di sperimentare più attività per socializzare, divertirsi, e scoprire un’inclinazione, solo che, nel mio caso, o primeggiavo, o non aveva senso continuare: essere bravina o mediocre equivaleva a zero.
Così alle elementari rimbalzavo come una pallina da una lezione all’altra per cercare di far contenti tutti. Inutilmente.
Nessuno mi aveva mai chiesto cosa volessi io, se quello che facevo mi piaceva, o se volevo fare qualcos’altro o magari niente. Non era importante.
Non era possibile che non “volessi” fare la ballerina, la pianista, o non so che altro.
Intendiamoci: non eravamo ricchi, anzi, i miei facevano dei sacrifici immensi per offrirmi una possibilità che loro non avevano avuto, e rifiutare sarebbe stato da ingrati.
In cambio dovevo dare loro soddisfazione in qualche modo, pena sentirmi morire dal senso di colpa.
A scuola ero brava in italiano, ma una pippa in matematica e in tutte le materie scientifiche, e cominciai ad avere un bel po’ di difficoltà.
Ho scoperto molti anni dopo di essere dislessica, come lo sono molti che fanno oggi il mio mestiere, molti di quelli che hanno una sfera della creatività più sviluppata a discapito di altre più razionali, quindi ecco spiegata la mia incapacità a imparare a memoria concetti, numeri, date e nomi, ma a quel tempo si diceva solo una frase lapidaria: “La bambina non è scema, è che non si impegna”.
Le bambine sopraccitate infatti, che non avevano questo problema, ci mettevano dieci minuti a fare i compiti: Maria Novella era famosa per disegnare durante la spiegazione e memorizzare assolutamente tutto, e Grazia leggeva una volta e ripeteva come l’avesse scritto lei, mentre io ci mettevo pomeriggi interi usando quattro evidenziatori, ripetendo e prendendo paginate di appunti, ma non ne arrivavo a capo.
Tutto mi si mescolava nella testa, e quello che avevo memorizzato un minuto prima, appena voltavo pagina era sparito, come se il mio cervello fosse un lavandino dove un rivolo di parole scivolava nel tubo e io cercavo invano di trattenerle con le mani.
È la cosa più scoraggiante che ci sia.
Ancora oggi se ho un appuntamento e non sto più che attenta è sicuro che sbaglierò indirizzo, orario e probabilmente città!