Il tulipano nero è un romanzo di Alexandre Dumas (padre), scritto nel 1850. Un romanzo di cospirazione e amore sullo sfondo dell’Olanda repubblicana alla fine del Seicento, negli anni della cosiddetta “bolla dei tulipani”, tra personaggi realmente esistiti e d’invenzione, narra, forse per primo, un vero e proprio caso di spionaggio industriale.
“Come sono lisci questi tre bulbi, come sono perfetti! Hanno un’aria malinconica che promette il nero ebano del mio tulipano!
A occhio nudo, sulla loro pelle non si scorge alcuna venatura.
Neppure una piccola macchia deturperà la veste del fiore che riuscirò a creare.”
Lo sfondo storico è quello dell’ Olanda repubblicana del secolo d’oro, dove si svolge la lotta tra il Gran Pensionario, il borghese de Witt e lo Statolder, l’aristocratico Guglielmo d’Orange; e si è appena raffreddata quella che forse è stata la prima bolla speculativa del capitalismo, la cosiddetta «bolla dei tulipani», o «tulipomania».
Si era alzato improvvisamente il vento speculativo sui bulbi del fiore di origine orientale, aveva sospinto capitali, fatto alzare i prezzi a cifre vertiginose, per poi cadere.
Su questo sfondo, l’avventura ha un’azione diversa da quelle caratteristiche del padre di D’Artagnan. È una storia d’amore e, in effetti, di spionaggio industriale. Cornelius van Baerle, figlio di un ricco capitalista dell’Aia, non segue la carriera di famiglia. Il suo interesse è la placida mania dei tulipani, di cui scopre o inventa tipi sempre nuovi su cui investe cifre colossali. La sua ambizione più alta è di riuscire a selezionare il re dei tulipani, l’impossibile tulipano nero.
La città offre, per chi riuscirà nell’impresa, il premio favoloso di centomila fiorini. Cornelius è sul punto di arrivarci ma un suo concorrente, il laido e invidioso Boxtel, per riuscire a impadronirsi dei bulbi sperimentali, lo accusa falsamente di complicità politica col Gran Pensionario de Witt, che è stato sconfitto nel frattempo ed è rimasto ucciso dagli orangisti. In carcere, in attesa di morte, Cornelius incontra la bella e pietosa Rosa, figlia del carceriere. È un amore fulminante e l’inizio della lotta senza esclusione di colpi. Il premio sarà il tulipano nero. Una gara avventurosa e mortale che può leggersi, volendo, come la metafora del cattivo capitalismo che malignamente altera il mercato: i maneggi del losco speculatore ai danni dell’onesto imprenditore.
“Di cosa parlarono i due giovani quella sera? Delle cose di cui parlano tutti gli innamorati: sulla soglia di casa in Francia, da un balcone all’altro in Spagna, da una terrazza alla strada in Oriente. Parlarono di quelle cose che mettono ali ai piedi delle ore e che aggiungono piume alle ali del tempo.”
Prima di leggere questo libro ero convinta che Il tulipano nero fosse un eroe mascherato spadaccino, ingannata dal cartone animato della mia infanzia “Il Tulipano Nero – La Stella della Senna” e da film del 1964 diretto da Christian Jaque, con Alain Delon e Virna Lisi, leggendo ho scoperto una storia completamente diversa.
Il protagonista assoluto di questo romanzo è un fiore, il tulipano nero, attorno al quale si sviluppa una storia semplice, con pochi personaggi e poca introspezione, lontano dalle avventure dei moschettieri o la caratterizzazione del Conte di Montecristo, ma una storia comunque gradevole e scorrevole.
I primi due capitoli sono un po’ confusi, poi il romanzo decolla acquistando fluidità e leggerezza, lo consiglio a tutti coloro che hanno voglia si leggere un classico poco impegnativo.
Dedico questo libro a tutti gli amanti, soprattutto agli amanti dei fiori.
Il 20 agosto 1672, L’Aia, quella città così chiara, così piena di vita e così allegra che ogni giorno si direbbe sia domenica; l’Aia, con il suo parco ombroso, gli alti alberi che si curvano verso le case gotiche, i canali che, simili a larghi specchi, riflettono i campanili dalle cuspidi di gusto quasi orientale; il 20 agosto 1672, dunque, la capitale delle Sette Province Unite si trovò letteralmente invasa da una marea rossa e nera di cittadini trafelati, ansiosi, eccitati, che correvano frettolosi, il coltello alla cintura, lo schioppo in spalla e il bastone stretto in pugno verso il Buitenhof, l’imponente prigione dove ancora oggi si possono vedere le finestre munite di inferriate e dove, dopo l’accusa di tentato omicidio che gli era stata mossa dal chirurgo Tyckelaer, si consumava in una cella Cornelius de Witt, fratello dell’ex Gran Pensionario d’Olanda.
Se le vicende di quel periodo storico, e in particolare dell’anno a metà del quale abbiamo iniziato il nostro racconto, non fossero così strettamente intrecciate ai due nomi che abbiamo appena citato, le poche righe di spiegazione che ora forniremo potrebbero apparire una digressione pleonastica; ma vogliamo subito avvisare il lettore, vecchio amico al quale fin dalla prima pagina promettiamo sempre divertimento (promessa che poi, bene o male, riusciamo a mantenere anche nelle pagine seguenti); vogliamo insomma avvisare il lettore che quanto stiamo per dire a mo’ di chiarimento è necessario sia per l’esatta interpretazione della nostra storia, sia per comprendere bene gli importanti avvenimenti politici nei quali questa storia deve essere inquadrata.