Il sosia è un romanzo di Fëdor Dostoevskij, scritto tra 1865 e il 1866 e pubblicato nel 1846 sulla rivista “Annali patri”. Storia di uno sdoppiamento psichico che conduce il protagonista alla follia.
“Nella nebbia dell’inverno pietroburghese ogni cosa perde i suoi precisi contorni e si frantuma fra realtà e sogno”
Il sosia affronta un tema caratteristico dell’opera di Dostoevskji: la scissione dell’io, lo scontro tra un io goffo, impacciato, tormentato, eternamente perseguitato e un io sfrontato, aggressivo, covo dell’inespressa “bassezza” che si annida nel profondo.
Il racconto si svolge in quattro giornate, con un crescendo di angoscia e frenesia che culmina nella centuplicazione dei sosia davanti allo sguardo ottenebrato del protagonista.
Dostoevskij non abbandona un solo istante il suo personaggio e sorveglia incessantemente i progressi della sua pazzia, raggiungendo potenti effetti di terrore e di pietà attraverso un’analisi degli stati d’animo e dei pensieri inesorabile e ossessionante.
Il mite e umile consigliere Jakòv Petrovic’ Goljadkin non è quello che sembra: vive in lui un doppio, un “sosia”. Il suo io non è un tutto compatto e unico, bensì un mobile e disintegrabile complesso di impulsi che possono scindersi in altri io, tra loro in alternanza e in conflitto.
Il suo sosia non è semplicemente una persona tanto somigliante a lui da poter essere per lui scambiata, ma, come dice la parola russa dvojnik, è la proiezione di un io in un altro io autonomo rispetto al primo.
Esistono nel romanzo due Goljadkin che si completano in quanto totalmente opposti: uno timido e sottomesso, l’altro furbo e arrivista. E Goljadkin, come spiega Vittorio Strada nell’introduzione, è “la patologia dell’uomo qualunque, il primo gradino di quello ‘sdoppiamento’ che costituisce la malattia dell’uomo moderno”.
Dostoevskji scrisse: “Quel racconto decisamente non mi è riuscito, ma l’idea in esso contenuta era abbastanza luminosa e io non ho mai introdotto in letteratura nulla di più serio di quell’idea”.
Ambientato a Pietroburgo nella metà del 1800, le vicende si svolgono nel giro di quattro giorni durante il freddo e nevoso mese di novembre.E’ scritto quasi tutto sotto la forma del monologo interiore alternato a brevi dialoghi, non è una lettura facile ed è stato molto criticato. Per chi riesce ad andare fino in fondo la sua lettura è consigliata, regala molte riflessioni sulla doppiezza dell’essere umano e sulla burocrazia del tempo.
Erano quasi le otto del mattino quando il consigliere titolare Jàkov Petròvič Goljàdkin si svegliò dopo un lungo sonno, sbadigliò, si stiracchiò e infine aprì del tutto gli occhi. Per un paio di minuti rimase però a giacere immobile nel letto come uno che non è ben sicuro se è desto o dorme ancora, se tutto ciò che gli succede intorno è veglia e realtà o non piuttosto la continuazione delle disordinate visioni del sogno. Ben presto, tuttavia, i sensi del signor Goljàdkin cominciarono a recepire in modo più chiaro e netto le loro abituali, quotidiane impressioni. Con aria familiare, lo guardarono le polverose affumicate pareti color verde sporco della sua piccola stanzuccia, il suo comò di mogano, il tavolo verniciato di rosso, il divano turco, coperto di tela cerata a fiori verdognoli, e infine l’abito che la sera prima s’era tolto in fretta e furia e aveva abbandonato in un mucchio sul divano. Finalmente la grigia giornata autunnale, torbida e sudicia, gettò un’occhiata così furiosa, e con tale acida smorfia, dentro la sua stanza attraverso la finestra appannata, che il signor Goljàdkin non poté ormai più in alcun modo dubitare di trovarsi non già in qualche regno favoloso, bensì nella città di Pietroburgo, nella capitale, in via Šestilàvočnaja, al quarto piano d’una grande casa d’affitto, nel proprio alloggio. Fatta questa importante scoperta, il signor Goljàdkin chiuse convulsamente gli occhi come rimpiangendo il suo sogno di poco prima e desiderando di farlo tornare indietro per un momento. Ma subito dopo, con un sol balzo, saltò fuori dal letto, probabilmente perché era riuscito a fermare l’idea attorno alla quale andavano già da un po’ frullando i suoi pensieri. Una volta saltato fuori dal letto, subito corse al piccolo specchio rotondo che stava sul comò. Benché la figura sonnacchiosa, miope e piuttosto calva che si rifletteva nello specchio fosse a tal punto insignificante che, a prima vista almeno, non avrebbe certamente attirato l’attenzione di nessuno, il suo possessore evidentemente rimase pienamente soddisfatto di quanto aveva visto nello specchio.