Oltre l’inverno è un romanzo di Isabel Allende, pubblicato 2017. Tre destini che si incrociano per dare vita a un romanzo attuale sull’emigrazione e l’identità americana, le seconde opportunità e la speranza che, oltre l’inverno, ci aspetti sempre un’invincibile estate.
“Imparavo finalmente, nel cuore dell’inverno,
che c’era in me un’invincibile estate…”
Albert Camus, Ritorno a Tipasa, 1952
Brooklyn, ai giorni nostri. Durante una tempesta di neve, Richard Bowmaster, professore universitario spigoloso e riservato, a lui la vita ha lasciato profonde ferite: la morte di due figli e il suicidio della moglie l’hanno anestetizzato, inutilmente annegate nell’alcol e ora lenite solo dal ferreo autocontrollo con cui gestisce la sua solitudine, tampona la macchina di Evelyn Ortega, una giovane donna emigrata illegalmente, fuggita dal Guatemala dove era diventata l’obiettivo di pericolose gang criminali. Arrivata avventurosamente negli Stati Uniti, trova impiego presso una facoltosa famiglia dagli equilibri particolarmente violenti: un figlio disabile rifiutato dal padre, una madre vittima di abusi da parte del marito e alcolizzata, un padre coinvolto in loschi traffici.
Quello che sembra solo un banale incidente prende tutt’altra piega quando Evelyn si presenta a casa del professore per chiedere aiuto. Smarrito, Richard si rivolge alla vicina, che conosce a malapena, Lucía Maraz, una matura donna cilena, espatriata in Canada negli anni del brutale insediamento di Pinochet, ha una storia segnata da profonde cicatrici: la sparizione del fratello all’inizio del regime, un matrimonio fallito, una battaglia contro il cancro, ma ha anche una figlia indipendente e vitale e molta voglia di lasciarsi alle spalle l’inverno. E quando arriva a Brooklyn per un semestre come visiting professor si predispone con saggezza a godere della vita.
L’incidente d’auto e il ritrovamento di un cadavere nel bagagliaio della macchina, che saranno costretti a far sparire, uniranno i destini dei tre protagonisti per alcuni lunghi giorni in cui si scatena una memorabile tempesta di neve che li terrà sotto assedio.
Lucía, Evelyn e Richard, tre persone molto diverse tra loro, si ritrovano coinvolte in un thriller dalle conseguenze imprevedibili.
“Voleva approfittare di ogni singolo giorno, perché ormai erano contati e sicuramente erano meno di quelli che lei sperava. Non c’era tempo da perdere.”
Le recensioni sono in generale positive, forse il libro è così ricco da sembrare eccessivo, ma con la profonda introspezione dei personaggi e il realismo magico ritroviamo la solita Allende, maestra di storie d’amore e lotta.
“Era ora, Richard. Basta rotolarti nelle pene del passato. L’unico rimedio per tutte queste disgrazie è l’amore. Non è la forza di gravità a mantenere in equilibrio l’universo, ma quella adesiva dell’amore.”
La tempesta preannunciò il suo arrivo il venerdì con una fitta nevicata e forti raffiche di vento che spazzarono a frustate le strade praticamente deserte. Gli alberi si incurvavano e il temporale decretò la fine di quegli uccelli che si erano dimenticati di emigrare o di mettersi al riparo, ingannati dal tepore inconsueto del mese precedente. Finita la tormenta, i camion della spazzatura si portarono via sacchi di passeri congelati. I misteriosi pappagalli del cimitero di Brooklyn, invece, sopravvissero al forte vento, come fu evidente tre giorni dopo, quando riapparvero incolumi a becchettare tra le tombe. Dal giovedì i cronisti televisivi, con l’espressione funebre e il tono emozionato di rigore riservato alle notizie di atti terroristici in paesi remoti, avevano previsto la bufera per il giorno successivo e disastri nel fine settimana. A New York fu dichiarato lo stato d’emergenza.
A fatica, inciampando in ogni sillaba, riuscì a pronunciare il suo nome, Evelyn Ortega. Richard si rese conto che quella situazione era troppo per lui, aveva bisogno urgentemente di un aiuto per liberarsi di quell’ospite inopportuna. Qualche ora dopo, quando si dedicò ad analizzare gli eventi, si sorprese del fatto che l’unica cosa che gli era venuta in mente fosse stata di chiamare la cilena del piano interrato. Da quando la conosceva, quella donna aveva sempre dimostrato di essere una seria professionista, ma non c’era nessuna ragione per supporre che sarebbe stata in grado di gestire un problema così insolito.
Lucía Maraz imprecava per il freddo. Aveva il carattere stoico della gente del suo paese: era abituata a terremoti, inondazioni, tsunami occasionali e cataclismi politici; se in un arco di tempo ragionevole non si verificava nessuna disgrazia, si preoccupava. Ciononostante, nulla l’aveva preparata a quell’inverno siberiano arrivato a Brooklyn per errore. Le tempeste cilene si limitano alla Cordigliera delle Ande e al profondo Sud, nella Terra del Fuoco, là dove il continente si sgrana in isole lacerate dal vento australe, il gelo spezza le ossa e la vita è dura. Lucía era di Santiago, città immeritatamente nota per il suo clima mite, dove l’inverno è umido e freddo, e l’estate secca e torrida. Santiago è incassata tra montagne violacee, che a volte si risvegliano innevate; allora la luce più pura del mondo si riflette su quelle vette di accecante bianchezza. Molto raramente sulla città cade un pulviscolo triste e pallido, come cenere, che subito si trasforma in una fanghiglia sporca che non riesce a imbiancare le strade. La neve è sempre immacolata, ma da lontano.