Le alternative dell’amore è un romanzo di Lorenzo Licalzi edito da Rizzoli, pubblicato nel 2019, questo romanzo, tinto di giallo, parla d’amore e di guerra, di verità nascoste e coincidenze che forse tali non sono. Ma anche di cibo, di vini eccellenti e di un posto bellissimo come la Borgogna.
“La passeggiata, in un’oscurità che l’ultimo quarto di luna non poteva penetrare, fu inquietante. Vedevo poco e udivo fruscii di foglie mosse dal vento o da qualche animale notturno. Eppure, sarà stato il vino o la soddisfazione di aver fatto il contrario di quanto mi aveva detto Marie (tendo a fare il contrario di quel che mi dicono se non so perché me lo dicono), mi piaceva, nello stesso modo in cui piace aver paura ai bambini, mi sentivo un esploratore della notte, della mia, anche. Illuminavo i passi con la luce del cellulare che si scaricò proprio davanti al cancello della casa, avvolta in un buio ancestrale.”
Due storie che si intrecciano a settant’anni di distanza l’una dall’altra: quella di Tristan Dubois, giovane scrittore parigino che si rifugia in un piccolo paese nel cuore della Côte d’Or in cerca dell’ispirazione perduta e per riconciliarsi con il ricordo di Isabelle, che lo ha lasciato quattro mesi prima, ma che continua ad amare; e quella di Wilfred Baumann, ex ufficiale nazista che durante l’occupazione tedesca in Francia comandava un piccolo plotone dislocato nello stesso paese in cui, per oscure ragioni, è tornato a vivere dopo anni, comprando la grande villa che a quel tempo era la sede dei soldati.
Gli abitanti del posto ne parlano mal volentieri e dipingono Baumann come una persona spregevole che si è macchiata di crimini orrendi, tra cui la fucilazione di dieci civili e l’istigazione al suicidio o addirittura l’omicidio di una giovane cameriera che lavorava nella villa.
Dubois, incuriosito dalla vicenda del vecchio ufficiale, comincia a indagare sul suo passato, scontrandosi contro un muro di omertà. L’incontro tra i due uomini sarà illuminante per entrambi e cambierà le loro vite, in un turbinio di emozioni.
I
Arrivai a scorgere le case di Morgy quando il sole dell’ultimo giorno di aprile stava calando dietro ai filari di vite distesi lungo la collina sulla quale sorgeva il paese. Il quattro tempi della mia moto, finalmente libero dai condizionamenti del traffico, rimandava un rumore basso, regolare, quasi ipnotico. Da qualche minuto avevo abbandonato la provinciale. La strada era deserta, non fossi stato così stanco me la sarei goduta, con tutte quelle curve che si insinuavano, come una biscia d’asfalto, nella Côte d’Or, il cuore della Borgogna. Invece sembravano non finire mai, come i vigneti dovunque si volgesse lo sguardo, in tutte le esposizioni possibili. Li divideva soltanto la strada stretta, tra poderi scoscesi a valle e piccoli muri a secco che delimitavano quelli a monte. Muri di pietra color ocra, della stessa sostanza delle rocce madri che spuntavano a chiazze nella parte alta della collina.
Guidavo già da cinque ore, tanto avevo impiegato per percorrere i trecento chilometri che mi separavano da Parigi, che avevo lasciato con un rimpianto e mezza aspettativa, quella che se non mi fossi avvitato su idee vuote davanti a una pagina bianca forse avrei trovato l’ispirazione per riempirla. Il rimpianto aveva un nome: Isabelle. Trecento chilometri di provinciale, evitando ostinatamente l’autostrada, senza sosta, tranne una per fare benzina. Trecento chilometri di pensieri, ostinatamente rivolti a Isabelle, senza sosta, tranne una, mentre facevo benzina. Ero a stomaco vuoto dalla mattina, non vedevo l’ora di arrivare, togliermi il casco, sgranchirmi le gambe, bere acqua fresca e mettere qualcosa sotto i denti, magari dopo essere passato da casa a farmi una doccia. Bernard mi aveva detto che appena arrivato sarei dovuto andare nell’unico bar osteria del paese, dove, a sentir lui, si mangiava come in un ristorante stellato, anche se in modo, come dire… decisamente casalingo, e chiedere di Marie, l’anziana proprietaria del locale, che, già avvisata del mio arrivo, avrebbe provveduto a farmi accompagnare a casa sua da qualcuno, con ogni probabilità dal marito, e a rifocillarmi con amore materno, lo stesso che mette ogni giorno nel preparare le sue prelibatezze. Questo mi disse Bernard Morel, il mio agente, titolare, insieme a due soci, di una delle più prestigiose agenzie letterarie di Parigi. Più che agente ormai era diventato un amico, il confidente delle mie paturnie editoriali. Ci eravamo visti una quindicina di giorni prima della mia partenza, anzi la mia partenza era stata un’idea sua, diciamo un suo pressante suggerimento. Mi aveva mandato un messaggio su WhatsApp, il solito, lapidario:
“Aperitivo?”