Il peso della farfalla, un libro breve, scritto da Erri De Luca, pubblicato nel 2008, da Feltrinelli. Una farfalla bianca sta sul corpo del re dei camosci, un fucile sta a tracolla del vecchio cacciatore di montagna, un duello differito negli anni. La verità di due esistenze opposte.
“La sua vita a spasso di stagioni era andata col mondo. Se l’era guadagnata molte volte, ma non era roba sua. Era da restituire, sgualcita dopo averla usata. Che creditore di manica larga era quello che gliela aveva prestata fresca e se la riprendeva usata, da buttare.”
Il re dei camosci è un animale ormai stanco. Solitario e orgoglioso, da anni ha imposto al branco la sua supremazia. Forse è giunto il tempo che le sue corna si arrendano a quelle di un figlio più deciso.
E’ novembre, tempo di duelli: è il tempo delle femmine. Dalla valle sale l’odore dell’uomo, dell’assassino di sua madre. Anche l’uomo, quell’uomo, era in là negli anni, e gran parte della sua vita era passata a cacciare di frodo le bestie in montagna. E anche quell’uomo porta, impropriamente, il nome di “re dei camosci” – per quanti ne aveva uccisi. Ha una Trecento magnum e una pallottola da undici grammi: non lasciava mai la bestia ferita, l’abbatteva con un solo colpo.
“Quando un uomo si ferma a guardare le nuvole, vede scorrere il tempo oltre di lui, un vento che scavalca. Allora c’è da rimettersi in piedi e riacciuffarlo.”
Erri De Luca spia l’imminenza dello scontro, di un duello che sembra contenere tutti i duelli. Lo fa entrando in due solitudini diverse: quella del grande camoscio fermo sotto l’immensa e protettiva volta del cielo e quella del cacciatore, del ladro di bestiame, che non ha mai avuto una vera storia da raccontare per rapire l’attenzione delle donne, per vincere la sua battaglia con gli altri uomini.
“In ogni specie sono i solitari a tentare esperienze nuove” dice De Luca. E qui si racconta, per l’appunto, di questi due animali che si fronteggiano da una distanza sempre meno sensibile, fino alla pietà di un abbraccio mortale.
“Il cervello dell’uomo è ruminante, rimastica le informazioni dei sensi, le combina in probabilità. L’uomo così è capace di premeditare il tempo, progettarlo. È pure la sua dannazione, perché dà la certezza di morire.”
La prosa di questa storia è poesia, meravigliosa poesia. Un racconto autentico, denso di significato che si ripete dai tempi dei tempi, una conferma della passione dell’autore per la montagna. Tutto ha un senso di essere, e ogni cosa ha il suo tempo. Tutto torna in un ordine universale che il presente racchiude.
“La bestia lo aveva risparmiato, lui no. Niente aveva capito di quel presente che era già perduto. In quel punto finì anche per lui la caccia, non avrebbe sparato ad altre bestie. Il presente è la sola conoscenza che serve. L’uomo non ci sa stare nel presente.”
Incipit del libro “Il peso della farfalla”
Sua madre era stata abbattuta dal cacciatore. Nelle sue narici di cucciolo si conficcò l’odore dell’uomo e della polvere da sparo.
Orfano insieme alla sorella, senza un branco vicino, imparò da solo. Crebbe di una taglia in più rispetto ai maschi della sua specie. Sua sorella fu presa dall’aquila un giorno d’inverno e di nuvole. Lei si accorse che stava sospesa su di loro, isolati su un pascolo a sud, dove resisteva un po’ di erba ingiallita. La sorella si accorgeva dell’aquila pure senza la sua ombra in terra, a cielo chiuso.
Per uno di loro due non c’era scampo. Sua sorella si lanciò di corsa a favore dell’aquila, e fu presa.
Rimasto solo, crebbe senza freno e compagnia. Quando fu pronto andò all’incontro con il primo branco, sfidò il maschio dominante e vinse. Divenne re in un giorno e in duello.
I camosci non vanno a fondo nello scontro, stabiliscono il vincitore ai primi colpi.
Non cozzano come gli stambecchi e le capre. Abbassano la testa al suolo e cercano di infilare le corna, appena curve, nel sottopancia dell’altro. Se la resa non è immediata, agganciano il ventre e lo squarciano tirando indietro il collo. Di rado arrivano a questo finale.
Con lui fu diverso, era cresciuto senza regole e le impose. Il giorno del duello c’era sopra di loro il magnifico cielo di novembre e in terra zolle di neve fresca, ancora minoranza. Le femmine vanno in estro prima dell’inverno e mettono al mondo i figli in piena primavera. A novembre si sfidano i camosci.
Entrò nel campo del branco all’improvviso, sbucando dall’alto giù da un salto di roccia. Le femmine fuggirono coi piccoli dell’anno, restò il maschio che scalciò sull’erba con gli zoccoli anteriori.