Il gioco del mai è un romanzo thriller scritto da Jeffery Deaver, pubblicato il 3 settembre 2019 da Rizzoli, tradotto da Sandro Ristori. Questo romanzo è il primo di una nuova serie che ha come protagonista Colter Shaw, un cercatore di persone scomparse.
“Il padre di Colter ha affibbiato ai suoi figli una lunga lista di regole, e quasi tutte cominciano con la parola «mai». Una volta lui e il fratello maggiore, Russell – che ha ribattezzato Ashton il Re del Mai – gli hanno chiesto perché non esprimesse la sua filosofia di vita in chiave positiva, con il «sempre», magari. Ashton ha risposto: «Il mai attira di più l’attenzione».”
Trama di “Il gioco del mai”
Colter Shaw non è un poliziotto né un militare. È un tracker, un localizzatore, uno che per vivere cerca persone scomparse, a bordo di un furgone, da una parte all’altra degli States. Allenato dal padre fin da bambino a contare solo su se stesso quando lì fuori si mette male, Shaw è un vero talento nel seguire gli indizi, anche i più indecifrabili.
Sa come sopravvivere in ogni situazione, anche la più estrema, perché sa quali regole rispettare e quali comportamenti non assumere. Mai. Oggi il nuovo ingaggio lo porta in California: è sparita una studentessa universitaria. Colter si mette sulle tracce del rapitore e dei suoi inquietanti messaggi che si rifanno a quelli di un popolare videogioco. Fuggi, se puoi è il primo. Ma sul sentiero di caccia cade più di una vittima e Colter viene risucchiato nel cuore nero della Silicon Valley, che non è solo ricchezza, potere, modernità scintillante.
È anche un tritacarne, un ingranaggio programmato per sbriciolare chi non sa tenere il passo. È solo qui che qualcuno potrebbe concepire il gioco sadico e mortale in cui le vittime vengono lasciate in un luogo isolato, con cinque oggetti per salvarsi. Un rebus che, se non viene risolto, porta con sé l’ultimo messaggio dell’Uomo che Sussurra: Muori con dignità.
“Ho anni di esperienza nel settore. Ho riportato decine di successi in casi di persone scomparse. Porterò avanti le indagini e cercherò di recuperare informazioni che possano condurre al ritrovamento di Sophie. Appena avrò in mano qualcosa, avvertirò subito lei e la polizia. Io non salvo le persone, e non le convinco a tornare a casa se sono fuggite”. […]
“Un’altra cosa: io non prendo ricompense per il ritrovamento di un corpo. Incasso solo se il soggetto viene ritrovato in vita”.
Chi è Colter Shaw
Colter Shaw non è un poliziotto né un investigatore privato, incarna lo spirito del cacciatore di taglie. È un tracker, un localizzatore, uno che per vivere cerca persone scomparse, una volta portata a termine la sua missione, incassa la ricompensa da parte dei familiari di chi è scomparso nel nulla. Non lavora per criminali, è poco incline alla violenza ed è allergico alla burocrazia.
A bordo di un furgone, viaggia da una parte all’altra degli States per aiutare la polizia a risolvere i crimini e i privati cittadini e attraverso gli insegnamenti di suo padre e il suo carattere coriaceo non si arrende davanti alle ingiustizie, spingendolo a lottare fino ad adottare soluzioni estreme. Allenato dal padre fin da bambino a contare solo su se stesso quando lì fuori si mette male, Shaw è un vero talento nel seguire gli indizi, anche i più indecifrabili. Sa come sopravvivere in ogni situazione, anche la più estrema, perché sa quali regole rispettare.
Colter Shaw è un uomo pacato, silenzioso, che sorride di rado, eppure quando lavora su un caso tende a straparlare. La bussola che guidava Colter Shaw era lo stile di vita che si era scelto: non fermarsi mai nello stesso posto, dare la caccia a criminali e persone scomparse, scalare pareti di roccia, sentire il vento in faccia sulla sua moto in corsa. Spingersi al limite. Aveva sedici anni quando, in una fredda sera d’ottobre, aveva scoperto il corpo di suo padre nella desolazione di Echo Ridge.
Un tempo Colter Shaw aveva pensato di fare l’avvocato. Quando la famiglia aveva abbandonato la Baia di San Francisco per ragioni di sicurezza e si era trasferita nella California orientale, suo padre si era portato dietro centinaia di libri, tra cui parecchi tomi giuridici. Da ragazzino, Colter li divorava. Gli piacevano in particolare i casi concreti. Gli esempi pratici. Tutti i verdetti emanati dai tribunali. Li leggeva come se fossero romanzi.
Colter Shaw era cresciuto senza Internet, senza televisione. Il cinema più vicino alla Tenuta era a trenta chilometri di distanza. Trenta chilometri di terreno difficile e ostile, tra l’altro. L’ascolto della radio era tollerato, ma non incoraggiato. Usare il ricetrasmettitore invece era proibito, tranne che per le emergenze: Ashton temeva che i segugi delle onde radio potessero mettersi sulle loro tracce. Un monito che turbava molto i suoi figli, e non tanto per la minaccia in sé: lo vedevano come l’ennesimo segno del progressivo declino mentale del genitore. Tuttavia, nel corso dei viaggi per andare a trovare la famiglia a Seattle o a Austin, Shaw aveva scoperto i film. Suo zio gli aveva fatto conoscere il noir, che presto era diventato il suo genere preferito.
Nel corso della sua carriera era stato arrestato più di una volta. Anche se non era mai stato condannato, la natura stessa del suo lavoro implicava degli occasionali scontri con la polizia, e poteva capitare che gli agenti, a seconda dell’umore e delle circostanze del momento, lo trascinassero in centrale.
Incipit di “Il gioco del mai”
DOMENICA 9 GIUGNO
LIVELLO 3: LA BARCA CHE AFFONDACorse verso l’acqua, squadrando la barca da pesca. Studiandola attentamente.
Dodici metri, un mezzo rottame. Chissà quanti decenni aveva sulle spalle. La poppa era già sommersa per tre quarti.
Colter Shaw non vedeva nessuna porta; di sicuro l’unica che permetteva di entrare nella cabina era ormai stata inghiottita dall’oceano. Nella parte anteriore della struttura una finestrella si affacciava sulla prua, ancora sopra il livello dell’acqua. Abbastanza larga per passarci in mezzo, forse. Ma sembrava ben chiusa. No, meglio tuffarsi e provare a raggiungere la porta.
Si fermò, riflettendo: che fare? Era proprio necessario? C’erano alternative?
Cercò la cima che legava la barca al molo. Forse poteva tirarla, impedire alla barca di colare a picco.
Ma di cime non ce n’erano. La barca era ancorata, il che significava che nulla le impediva di affondare per tutti i dieci metri che la separavano dal fondale dell’oceano Pacifico.
E di tramutarsi in una fredda bara fangosa, se la donna era a bordo.
Corse sul pontile scivoloso facendo attenzione a evitare le assi più marce, si tolse la maglietta sporca di sangue, poi si liberò di scarpe e calzini.
Un’onda più violenta si abbatté contro lo scafo, la barca tremò e scivolò ancora più giù nelle acque grigie e indifferenti.
«Elizabeth?» urlò.
Nessuna risposta.
Shaw fece i calcoli: sessanta possibilità su cento che fosse a bordo. Cinquanta che fosse ancora viva, dopo ore e ore imprigionata nella cabina inondata.
Ma non aveva bisogno di percentuali per decidere cosa fare adesso. Infilò un braccio in acqua, valutò la temperatura. Intorno ai quattro gradi. Più o meno mezz’ora a mollo prima di svenire per l’ipotermia.
Via con il conto alla rovescia, pensò.
E si tuffò.