Una volta è abbastanza è il primo romanzo di Giulia Ciarapica, pubblicato nel 2019 da Rizzoli, primo di una saga familiare ambientata nelle Marche, sua terra d’origine.
“La famiglia è tutto, tutto ciò che la vita ci ha dato per metterci alla prova. E imparare a resistere.”
Trama di “Una volta è abbastanza”
L’Italia è appena uscita dalla guerra. A Casette d’Ete, un borgo sperduto dell’entroterra marchigiano, la vita è scandita da albe silenziose e da tramonti che nessuno vede perché a quell’ora sono tutti nei laboratori ad attaccare suole, togliere chiodi, passare il mastice. A cucire scarpe. Annetta e Giuliana sono sorelle: tanto è eccentrica e spavalda la maggiore – capelli alla maschietta e rossetti vistosi, una che fiuta sempre l’occasione giusta – quanto è acerba e inesperta la minore, timorosa di uscire allo scoperto e allo stesso tempo inquieta come un cucciolo che scalpita nella tana, in attesa di scoprire il mondo. Nonostante siano così diverse, l’amore che le unisce è viscerale. A metterlo a dura prova però è Valentino: non supera il metro e sessantacinque, ha profondi occhi scuri e non si lascia mai intimidire. Attirato dall’esplosività di Annetta, finisce per innamorarsi e sposare Giuliana. Insieme si lanciano nell’industria calzaturiera, dirigendo una fabbrica destinata ad avere sempre più successo. Dopo anni, nonostante la guerra silenziosa tra Annetta e Giuliana continui, le due sorelle non sono mai riuscite a mettere a tacere la forza del loro legame, che urla e aggredisce lo stomaco.In queste pagine che scorrono veloci come solo nei migliori romanzi, Giulia Ciarapica ci apre le porte di una comunità della provincia profonda: tra quelle colline si combatte per il riscatto e tutti lottano per un futuro diverso. Non sanno dove li porterà, ma hanno bisogno di credere e di andare.
“Forse non sarà quella la felicità, e di sicuro non è la vita perfetta. Ma in quella casa si respira una serenità sincera, fatta di litigate ardenti come fuoco vivo, di parole mai pronunciate per caso, di sospiri e di grandi sorrisi. C’è tutto quello che compone una famiglia normale, e che diventa, proprio per quello, eccezionale.”
Giulia Ciarapica è tante cose, una giornalista e promotrice culturale, parla e scrive di libri, famosa book blogger, influenza davvero molti giovani verso la lettura e il mondo editoriale in modo professionale, ma anche divertente. L’abbiamo conosciuta con il suo saggio “Book blogger. Scrivere di libri in Rete” ed ora esordisce con questo primo romanzo, che ho letto con molta curiosità visto l’affetto che mi lega a lei.
“Nel mezzo di Casette d’Ete, al centro esatto di un paese microscopico, impercettibile agli occhi altrui, dove le storie si accumulano e svaniscono, si accavallano e scompaiono, si trovano ora due giovani sposi ignari del futuro che li aspetta, inconsapevoli di ciò che accadrà fra quelle vie anonime, dietro quelle porte scassate, al di là di quei vetri rotti, delle facciate malconce, scrostate. Innocenti e sprovveduti, vedranno il mondo, quel piccolo mondo maledetto, cambiare sotto i loro occhi, grazie alle loro mani.”
Recensione
L’autrice ambienta la sua opera a casa sua, nella sua terra, va indietro nel tempo fino ai primi anni del dopo guerra, ricerca la storia della sua famiglia, ritrova le sue origini, ma anche le nostre, si mescolano i ricordi raccontati dai nostri nonni ai suoi, e le sue foto in bianco e nero o ingiallite ci ritornano familiari. Racconta un’Italia ferita ed affamata dalla guerra che, anche grazie all’istinto di sopravvivenza, non si è mai arresa, di uomini e donne che si sono rimboccati le maniche e l’hanno risollevata, racconta di quell’Italia orgogliosa, intraprendente, fatta di artigianato e di tradizioni popolari, un’Italia che abbiamo dimenticato. Ci narra dell’amore sotto vari punti di vista: del primo amore e di quello maturo, dell’amore perduto e quello mai trovato, dell’amore genitoriale e di quello per la propria terra, e dell’amicizia. Ci parla soprattutto di donne, donne arrese al loro destino e donne che prendono coscienza di sè, che si ribellano. Scrive di vita e di morte, attraverso un linguaggio semplice e deciso, mai sdolcinato, a volte quasi duro, come era divenuto duro il temperamento della gente in quel periodo, non avevano il tempo di essere troppo sentimentali, si doveva fare. E allora ci racconta questo fare, anche grazie al dialetto marchigiano, tra successi e fallimenti, tra difficoltà, gioie e uno sguardo che sapeva ancora meravigliarsi.
Incipit di “Una volta è abbastanza”
1
Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni
famiglia infelice è infelice a modo suo.
Lev TolstojCasette d’Ete, giugno 1945
«Guarda che questo spara.»
Il sole cade a picco sulla campagna marchigiana, l’estate entrerà fra qualche giorno. È la controra e non si vede nessuno per strada, si sente solo una porta sbattere con violenza in lontananza.
«Oh, Annetta, me stai a sentì? Questo spara. Ma spara davvero, mica per scherzo. C’ha il fucile.»
«Non je la fai a statte zitta due minuti de fila?»
«Se avessi capito subito che volevi venì qua, me ne restavo a casa mia.»
«Sci, a morì de fame.»
«’Nvece qua moremo subbeto, se se ne accorge! Andiamo da un’altra parte.»
«Non ci penso proprio. Le vedi quelle pesche, sci? Me le magno ogghji per pranzo, atro che.»
Appostate dietro i cipressi di via Santa Croce che conduce all’ultima casa del paese, quella subito dopo il ponte nei pressi del mulino, Annetta e Rita studiano la situazione prima di passare all’attacco. Non c’è anima viva. La campagna con le belle piante da frutto del signor De Paoli sembra strizzare l’occhio a quelle giovani donne affamate.
«Se hai così tanta paura puoi anche fare a meno di restare qui. Tornatene a casa, non sia mai che ti devo avere sulla coscienza» dice Annetta stizzita. Sono amiche da sempre, compagne di furti da qualche anno, precisamente da quando la guerra è arrivata anche a Casette d’Ete.
«Quando fai così t’acciaccherei. Ho paura solo perché so che quello può sparare, non ci mette tanto. Mi sto preoccupando anche per te, sa’.»
Annetta la guarda spalancando i grandi occhi verdi, e indicandosi il petto esplode in una risata. «Per me? Te stai a preoccupà per me?! E vanne, vanne. Come se non mi conoscessi» replica alzando la voce di un tono. «O stai qui e mi aiuti oppure lévati di torno perché c’ho da fa’.»
«No, no, resto con te. Testarda che atro non si’.»
Annetta annuisce con convinzione, quelle polemiche sterili non fanno che portarle via degli attimi preziosi. Certi lavori vanno terminati in fretta, senza esitazioni. Oltretutto, in lontananza qualche nuvola sembra minacciare il cielo azzurro, e in estate gli acquazzoni sono brevi ma improvvisi.
«Lo vedi? Eccolo, eccolo. Laggiù.» Annetta indica con un cenno del capo il guardiano dei frutteti, che ha il compito di sorvegliare la proprietà quando il padrone è assente. «Allora, facciamo così» si gira verso Rita e la guarda negli occhi, i palmi delle mani aperti di fronte al viso dell’amica: «Andiamogli incontro e iniziamo a distrarlo. Chiediamogli qualche cosa, cerchiamo di parlare e di rincoglionirlo. Dobbiamo allontanarlo da lì, al resto penso io».
«Ma se non se mòve? Che je faccio?»
«Rita, non me te fa’ risponne male!» le dice Annetta unendo le dita della mano sinistra a lama di coltello. «Avanti, improvviseremo.»
Indossano entrambe due vestiti al ginocchio molto leggeri, Annetta con dei piccoli fiori gialli e Rita di un color crema tendente all’ocra.
Annetta Betelli, che in realtà si chiama Anna, ha ventitré anni ed è molto più alta delle sue coetanee, con lunghe cosce ben tornite e dei capelli biondo cenere tagliati à la garçonne. Fin da prima che scoppiasse la guerra, aveva dimostrato passione per la moda, seguiva con interesse le tendenze del momento, amava truccarsi e vestirsi in modo eccentrico. Non c’è occasione in cui non indossi il suo rossetto preferito, anche per andare a rubare nei campi. La sciatteria non le appartiene. Lei è spavalda come sa esserlo solo chi è profondamente innamorato di sé.
Tante volte Annetta si è trovata a discutere con la sorella Giuliana, più piccola di cinque anni, acerba e inesperta, timorosa di uscire allo scoperto e allo stesso tempo inquieta come un cucciolo che scalpita nella tana, in attesa del mondo. «Sei ridicola con quei capelli alla garzò!» le dice spesso Giuliana. «Solo i maschi se li tagliano in quel modo, tu dove vai in giro così? Sciocca!»
«Sarò libera di fare quel che mi pare, o no? Me lo devi dire tu? Vai a piangere da mamma, cretina. Non capisci neanche quanto sei lunga» le risponde l’altra.
Giuliana, ancora immatura nella sua crudele giovinezza, subisce il fascino di Annetta ma ne è al contempo indispettita, tanto da azzardare giudizi e improperi che si rimangia non appena incrocia lo sguardo della sorella maggiore.
La guerra non risparmia nessuno, neanche le vedove e le giovani donne orfane di padre; c’è da mettersi in testa che le donne sono donne ma anche uomini, all’occorrenza.