Il dio del fiume di Wilbur Smith, un romanzo d’avventura pubblicato nel 1993, è il primo di una saga ambientata nella terra dei faraoni, con protagonista Taita, lo schiavo eunuco dotato di grandissima intelligenza e curiosità, esperto in molti campi, scriba, medico, architetto, inventore e artista. E’ un avvincente viaggio attraverso il cuore dell’Egitto, ricco di avventura, intrighi e passioni, che cattura l’essenza della civiltà del Nilo e offre una prospettiva affascinante sulla vita di quell’epoca.
“Il palazzo reale era costruito sul granito compatto che si trovava sotto il terreno fertile e formava lo scheletro dell’isola. Spesso mi ero chiesto perché i nostri re, i Faraoni delle cinquanta dinastie che risalivano fino a mille anni prima, avevano dedicato gran parte del loro tempo e del loro tesoro alla costruzione di enormi tombe di granito e marmo, mentre in vita s’erano accontentati di vivere in palazzi dai muri d’argilla e dai tetti di paglia.
In confronto al magnifico tempio funerario che stavo costruendo a Karnak per il Faraone Mamose, il palazzo era modesto, e la scarsità di linee rette e di simmetria offendeva il mio istinto di matematico e di architetto.”
Trama di “Il dio del fiume”
Solenne e grandiosa come il fiume Nilo, la civiltà egizia è una gemma splendente, incastonata per volere degli dei in una terra ostile, dominata da aridi deserti. Secoli di pace laboriosa, in armonia con il respiro del fiume, hanno reso l’Egitto nobile e magnifico: ora però lo splendore della gemma si sta accendendo di cupi bagliori e un nuovo fiume prende a scorrere nel paese.
È un fiume di sangue e di morte, le cui sorgenti sono sia nel falso Faraone, il Pretendente Rosso, che minaccia l’unità del regno e la maestà del vero sovrano, Mamose VIII, sia in un’orda di popoli selvaggi che, con l’ausilio di misteriore creature veloci come il vento, saccheggia ed è ormai prossima a impadronirsi della superba Tebe.
Cinto d’assedio da nemici spietati e minato all’interno da oscuri intrighi, l’Egitto dovrà affidare il suo destino a quanti si sentono figli del dio del fiume, del grande Nilo: Tanus, il guerriero dai capelli di rame e dal braccio potente; Lostris, affascinante e saggia ma costretta ad accettare lo scettro di un regno cui volentieri rinuncerebbe per amore di Tanus; Taita, umile schiavo dotato di curiosità e di ingegno multiforme.
Sarà proprio il dio del fiume a segnare la strada per il viaggio verso la pace, un viaggio in cui tutti, uomini e donne, servi e nobili, saranno chiamati a provare con lacrime e sangue la loro devozione per l’Egitto.
“«Taglia!» gridò tra la folla una voce assetata di sangue. L’umore degli spettatori era cambiato di nuovo.
«Uccidilo!» urlò un altro. Mi ha sempre turbato vedere che la vista del sangue e della morte violenta influisce anche sul più mite degli uomini.
Persino io ero scosso dalla scena orribile; ero nauseato e inorridito, ma nonostante tutto provavo un’eccitazione rivoltante.”
Recensione
Attratta dal fascino dell’Egitto sono stata conquistata da questo libro. La voce narrate è del protagonista, lo schiavo Eunuco Taiba, dalla mente geniale, che trascrisse sui rotoli di papiro le vicende della regina Lostris, nel principe Mamose e del nobile Tanus alle prese con la difesa della loro amato Egitto.
Una scrittura semplice che racconta fatti complessi e una ricchezza di particolari che fanno immergere completamente nel mondo antico che viveva in simbiosi col Nilo, un mondo pieno di misteri che a distanza di secoli continua ad affascinare. I personaggi sono ben caratterizzati e non subiscono il passare del tempo, anzi hanno una certa modernità che dà freschezza al romanzo. Grazie alla trama ricca di colpi di scena e momenti di tensione, Smith riesce a mantenere un ritmo serrato, evitando stancanti digressioni e mantenendo costantemente viva l’attenzione del lettore.
Dopo questa lettura ho intenzione di leggere gli altri libri della serie, lo consiglio a chi è appassionato di romanzi storici ricchi di avventura e intrighi e affascinato dall’Antico Egitto.
Serie dei romanzi egizi:
1993 – Il dio del fiume
1995 – Il settimo papiro
2001 – Figli del Nilo
2007 – Alle fonti del Nilo
2014 – Il dio del deserto
2016 – L’ultimo faraone
Incipit di “Il dio del fiume”
Il fiume si snodava lento nel deserto, luminoso come una colata di metallo fuso appena sgorgato dalla fonderia. Il cielo era velato dalla foschia e il sole batteva con la violenza del maglio d’un ramaio. Nel miraggio, le colline spoglie che fiancheggiavano il Nilo parevano tremare sotto i colpi.
La nostra barca procedeva veloce accanto ai papiri, abbastanza vicina perché giungesse fino a noi lo scricchiolio dei secchi pieni d’acqua degli altaleni, dai lunghi bracci controbilanciati, che irrigavano i campi. Quel suono si fondeva con il canto della ragazza seduta a prua.
Lostris aveva quattordici anni. Il Nilo aveva iniziato l’ultima inondazione lo stesso giorno in cui era fiorita per la prima volta la sua luna rossa di donna, una coincidenza che i sacerdoti di Hapi avevano considerato molto propizia. Lostris era il nome da adulta che avevano scelto per sostituire il nome abbandonato di bambina, e significava: «Figlia delle Acque».
La ricordo nitidamente, quel giorno. Sarebbe diventata ancora più bella con il trascorrere degli anni, sarebbe diventata più posata e regale, ma quello splendore di femminilità virginea non si sarebbe più irradiato da lei in modo così travolgente. Tutti gli uomini che erano a bordo, persino i guerrieri sulle panche dei rematori, ne erano consapevoli. Né io né loro riuscivamo a distogliere lo sguardo da lei. Lostris infondeva in me un senso d’inadeguatezza e, nel contempo, mi suscitava un desiderio profondo e sconvolgente perché, sebbene io sia eunuco, sono stato castrato soltanto dopo aver conosciuto la gioia del corpo d’una donna.
«Taita», mi disse, «canta con me!» E quando obbedii sorrise di piacere.
La mia voce era una delle tante ragioni per cui mi teneva vicino ogni volta che poteva; era una voce tenorile perfettamente complementare alla sua incantevole di soprano. Cantammo una delle vecchie canzoni d’amore dei contadini che le avevo insegnato e che era fra le sue predilette: Il mio cuore palpita come una quaglia ferita quando vedo il volto del mio amore e le mie guance si arrossano come il cielo dell’aurora nel sole del suo sorriso.
Dalla poppa, un’altra voce si uni alla nostra. Era una voce d’uomo, potente e profonda, ma non aveva la limpida purezza della mia. Se la mia voce era quella di un tordo che saluta il sorgere del giorno, la sua era quella d’un giovane leone.
Lostris girò la testa e il suo sorriso sfolgorò come i raggi del sole sulla superficie del Nilo. Sebbene l’uomo cui rivolgeva il sorriso fosse mio amico, forse il mio unico vero amico, sentivo l’amaro dell’invidia che bruciava in fondo alla gola. Tuttavia m’imposi di sorridere a Tanus con affetto, come faceva lei.
Il padre di Tanus, il nobile Pianki Harrab, era stato uno dei grandi dell’aristocrazia egizia, ma la madre era figlia di una schiava di Tehenu.
Come tanti altri del suo popolo, aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri.
Era morta di febbre delle paludi quando Tanus era ancora piccolo, e perciò conservavo di lei solo un vago ricordo. Ma le vecchie dicevano che raramente s’era vista nei due regni una bellezza come la sua.
D’altra parte avevo conosciuto e ammirato il padre di Tanus, prima che perdesse tutta la sua immensa ricchezza e le grandi proprietà terriere che quasi rivaleggiavano con quelle dello stesso Faraone. Aveva la carnagione scura, e gli occhi tipicamente egizi del colore dell’ossidiana levigata; era un uomo più forte che bello, ma dotato d’un cuore nobile e generoso.
Qualcuno potrebbe sostenere che era troppo generoso e fiducioso, perché era morto povero con il cuore spezzato da coloro che aveva creduto amici, solo nell’oscurità ed escluso dalla luce del favore sovrano.
Sembrava che Tanus avesse ereditato il meglio da entrambi i genitori, escluse le ricchezze terrene. Per carattere e forza somigliava al padre, e per bellezza alla madre. Quindi, perché avrei dovuto risentirmi se la mia padrona lo amava? Lo amavo anch’io e, dato che ero un povero castrato, sapevo che non avrei mai potuto averla per me, neppure se gli dei mi avessero innalzato a una condizione ben superiore a quella di schiavo.
Tuttavia la natura umana è così contraddittoria che desideravo ciò che non avrei mai potuto avere e sognavo l’impossibile.