L’ultimo sospettato è un thriller di James Patterson, in collaborazione con la scrittrice Maxine Paetro, pubblicato in Italia nel 2020, da Longanesi. Un altro capitolo della serie Le Donne del Club Omicidi, con protagonista Lindsay Boxer, detective della polizia di San Francisco, che questa volta deve affrontare un assassino determinato a minare tutte le sue convinzioni.
“Avevo la mano sulla maniglia del pesante portone di vetro e acciaio quando mi sentii chiamare. «Sergente? Sergente Lindsay Boxer?»
Mi voltai e vidi una donna di mezz’età, con i capelli biondi striati di grigio, una felpa di pile piuttosto sporca e jeans larghi, che mi stava venendo incontro a passo svelto. Non ero sorpresa di essere stata riconosciuta. L’ultimo caso di cui mi ero occupata aveva avuto grande risonanza mediatica: un assassino psicopatico aveva fatto saltare in aria un museo e nell’esplosione c’erano stati morti e decine di feriti, fra i quali mio marito. La mia foto era apparsa sulle prime pagine dei giornali di San Francisco e nei servizi di diverse tv locali per settimane, sia dopo l’attentato che durante il processo. Erano passati mesi, ma la memoria di quel gesto efferato era ancora viva nell’opinione pubblica.”
Il sergente Lindsay Boxer è un ufficiale decorato, una moglie devota, una madre amorevole e un’amica fedele. Ha sempre agito con integrità incrollabile e nel rispetto della giustizia per difendere i più deboli, ma questa volta deve affrontare un assassino determinato a minare tutte le sue convinzioni. Una serie di efferati omicidi sta sconvolgendo la città di San Francisco, ma la polizia brancola nel buio e il killer, scaltro e tanto metodico quanto imprevedibile, agisce indisturbato. Quando, però, una donna chiede un colloquio con Lindsay tutto cambia. Le informazioni confidenziali di cui è in possesso rivelano alla detective un’inquietante verità: all’interno del suo dipartimento di polizia qualcosa è andato terribilmente storto.
Nel frattempo, il sostituto procuratore Yuki Castellano è alle prese con un delicato caso di violenza sessuale del tutto insolito: un giovane uomo molto attraente accusa la sua superiore, un pezzo grosso di una delle principali agenzie pubblicitarie della città, di aver abusato di lui minacciandolo con un’arma da fuoco. Ma entrambi i protagonisti di questa torbida vicenda sembrano nascondere qualcosa e Yuki è determinata a scoprirlo.
Mentre il processo è in corso, la caccia al killer attirerà Lindsay al di fuori della sua giurisdizione e le farà correre grandi rischi. Le Donne del Club Omicidi, preoccupate per l’incolumità della cara amica, proveranno a metterla in guardia dal prendere troppo a cuore la situazione. Ma quando ci sono vite in gioco, il sergente non può fare a meno di seguire le tracce del killer su un terreno sempre più scivoloso…
“L’abbigliamento della donna mi fece pensare che vivesse per strada. Siccome avevo il resto di dieci dollari nella tasca della giacca, tirai fuori qualche biglietto e glielo porsi, ma lei rifiutò.
«Grazie, ma non voglio l’elemosina, sergente. Voglio il suo aiuto, perché devo denunciare un omicidio.»
La guardai. Sembrava l’inizio di un vecchio episodio della Signora in giallo, ma non potevo non prenderla sul serio. La donna sembrava sconvolta e io faccio parte delle forze dell’ordine.
Stavamo ostruendo il passaggio. Avvocati e impiegati chiedevano permesso e spintonavano per entrare. Mi spostai di lato.
«Come si chiama?» chiesi alla donna.
«Millie Cushing. E sono in regola con il pagamento delle tasse.»”
Alle quattro del mattino, sotto un cielo senza stelle, un uomo con un cappotto di tweed parecchio vissuto e un berretto di lana nero attraversò Broadway canticchiando un motivetto e si incamminò lungo Front Street verso Walton Square.
Più che di una piazza, si trattava di un piccolo parco con una recinzione in ferro battuto e un ingresso in muratura che si apriva in diagonale su uno degli angoli. Fra le aiuole, c’erano sentieri e panchine.
Durante il giorno era frequentato dagli impiegati che lavoravano nel distretto finanziario di San Francisco e che nella pausa pranzo mangiavano take-away intorno alla fontana, ma di notte le strade erano deserte e Walton Square si popolava di senzatetto che rovistavano nella spazzatura, dormivano sulle panchine e si radunavano davanti all’ingresso del parco.
L’uomo infagottato nel cappotto di tweed si fermò a guardare da dietro la recinzione di ferro battuto. Osservò minuziosamente ogni particolare, continuando a canticchiare a bocca chiusa e stringendo la 9 mm che nascondeva nella tasca destra.
Si chiamava Michael e stava cercando qualcuno. Osservò per qualche minuto i vagabondi che ciondolavano per il parco e sui marciapiedi circostanti senza vedere la donna che gli interessava, ma decise di non sprecare la serata.
Vide un uomo cencioso uscire dal parco e avviarsi verso il porto, in direzione Embarcadero, dove nei cestini dei rifiuti c’erano sempre cose più interessanti rispetto alle cartacce e alle vaschette vuote che lasciavano gli impiegati in Walton Square.
Lo straccione parlava da solo grattandosi la barba e pareva contare sulle dita della mano destra, assorto in un rituale tutto suo.
Non notò l’uomo in tweed vicino alla recinzione.
«Mi scusi, ha mica una sigaretta?» gli chiese Michael.
Il senzatetto guardò con gli occhi cisposi il tipo che gli puntava contro una pistola. Capì che non c’era da scherzare e alzò le mani.
«Non li ho pigliati io, i soldi. È stata quell’altra. Io non c’entro niente…»
L’uomo in tweed fece fuoco e lo colpì in pieno petto. I piccioni nei paraggi si alzarono in volo spaventati.
Il clochard si portò la mano al petto e aprì la bocca. Era ancora in piedi, e lo fissava attonito.
Michael sparò un altro colpo. L’altro piegò le ginocchia e si accasciò al suolo senza un suono.
«Te la sei cercata, inutile pezzo di merda. Mi dovresti ringraziare» gli disse Michael.
Si guardò intorno, entrò nel parco e si diresse nella parte più in ombra, posò la pistola per terra, si tolse i guanti, li infilò nella tasca del cappotto e se lo levò.
Era vestito interamente di nero, jeans, dolcevita e piumino. Si mise la pistola nella tasca del piumino, prese il cappotto e lo gettò in un cassonetto.
Lo avrebbe recuperato presto qualcuno, che lo avrebbe subito indossato. Mettendosi anche i guanti. Auguri.
Michael uscì dall’ombra di un gruppo di alberi e si sedette su una panchina. Dopo poco si levarono delle grida e altri senzatetto sbucarono poco alla volta dalle loro tane e si incamminarono come formiche verso il cadavere.
Nessuno fece caso a lui. Non si udirono sirene e non si palesarono guardie a chiedere: «Ha visto qualcosa?»
Niente di niente.
Dopo qualche minuto l’assassino si alzò e uscì dal parco con le mani in tasca, diretto verso casa.
Riprova e sarai più fortunato.
Prima o poi avrebbe trovato la donna che cercava.