Nonostante l’annullamento abbligatorio, causa coronavisus, dei molti eventi pubblici il Premio Strega 2020 prosegue e sono stati selazionati i dodici libri in gara tra i 54 libri di narrativa segnalati dagli Amici della domenica, la storica giuria del premio, pubblicati in Italia tra il 1 marzo 2019 e il 28 febbraio dell’anno in corso.
La cinquina sarà decisa martedì 9 giugno alla Fondazione Bellonci, a Roma, mentre la proclamazione del vincitore sarà il 2 luglio al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.
La nuova stagione di Silvia Ballestra (Bompiani). Proposto da Loredana Lipperini.
Non è soltanto un romanzo sul territorio, le Marche della bellezza pagana, delle leggende legate a santi e sibille e del terremoto, ma è una storia di mutazione insieme generazionale e sociale che si incarna nelle due protagoniste, Nadia e Olga, e nei loro tentativi di vendere la terra ereditata dal padre. E’ un romanzo di radici, certo, e di come, per quanto ci si possa allontanare per giovinezza, amore, scelte lavorative, si verrà comunque richiamati prima o poi indietro. Ma è anche un romanzo che racconta il cambiamento nel mondo agricolo della post-mezzadria e delle multinazionali, l’espansione delle monoculture intensive, il regno surreale di una burocrazia paralizzante. Non c’è l’idillio nella scelta stilistica di Ballestra: c’è l’ironia, il gusto del paradosso, come nel racconto dell’odissea delle sorelle per disfarsi delle palme di proprietà, c’è l’attenzione per le vite piccole, le figure sullo sfondo degli affreschi che non vengono quasi mai narrate. C’è, anche, la nostalgia per come si cambia: “Dunque era questo, il diventare definitivamente adulte (…) Disperarsi per una lettera di esproprio invece che per una lettera d’amore finito”. C’è, infine, una lingua particolarissima, che ingloba il dialetto incastonandolo in una scrittura di divertita e antica bellezza, come le terre in cui nasce, e che canta: prova di maturità e insieme di immutata capacità di meraviglia da parte di una delle scrittrici italiane più importanti e più attente alle nostre nuove stagioni, letterarie e civili.
Città sommersa di Marta Barone (Bompiani). Proposto da Enrico Deaglio.
«Il ragazzo corre nella notte d’inverno, sotto la pioggia, scalzo, coperto di sangue non suo. Chiamiamolo L.B. e avviciniamoci a lui attraverso gli anni e gli eventi che conducono a quella notte. A guidarci è la voce di una giovane donna brusca, solitaria, appassionata di letteratura, e questo romanzo è memoria e cronaca del confronto con la scomparsa del padre, con ciò che è rimasto di un legame quasi felice nell’infanzia felice da figlia di genitori separati, poi fatalmente spinoso, e con la tardiva scoperta della vicenda giudiziaria che l’ha visto protagonista. Chi era quello sconosciuto, L.B., il giovane sempre dalla parte dei vinti, il medico operaio sempre alle prese con qualcuno da salvare, condannato al carcere per partecipazione a banda armata? E perché di quel tempo – anni prima della nascita dell’unica figlia – non ha mai voluto parlare? Testimonianze, archivi e faldoni, ricordi, rivelazioni lentamente compongono, come lastre mescolate di una lanterna magica, il ritratto di una persona complicata e contraddittoria che ha abitato un’epoca complicata e contraddittoria. Torino è il fondale della lotta politica quotidiana con le sue fatiche e le sue gioie, della rabbia, della speranza e del dolore, infine della violenza che dovrebbe assicurare la nascita di un avvenire radioso e invece fa implodere il sogno del mondo nuovo generando delusione e rovina. Il romanzo di un uomo, delle sue famiglie, delle sue appartenenze, la sua vita visitata con amore e pudore da una figlia per la quale il mondo si misura e si costruisce attraverso la parola letta e scritta.
Febbre di Jonathan Bazzi (Fandango Libri). Proposto da Teresa Ciabatti.
Jonathan ha 31 anni nel 2016, un giorno qualsiasi di gennaio gli viene la febbre e non va più via, una febbretta, costante, spossante, che lo ghiaccia quando esce, lo fa sudare di notte quasi nelle vene avesse acqua invece che sangue. Aspetta un mese, due, cerca di capire, fa analisi, ha pronta grazie alla rete un’infinità di autodiagnosi, pensa di avere una malattia incurabile, mortale, pensa di essere all’ultimo stadio. La sua paranoia continua fino al giorno in cui non arriva il test all’HIV e la realtà si rivela: Jonathan è sieropositivo, non sta morendo, quasi è sollevato. A partire dal d-day che ha cambiato la sua vita con una diagnosi definitiva, l’autore ci accompagna indietro nel tempo, all’origine della sua storia, nella periferia in cui è cresciuto, Rozzano – o Rozzangeles –, il Bronx del Sud (di Milano), la terra di origine dei rapper, di Fedez e di Mahmood, il paese dei tossici, degli operai, delle famiglie venute dal Sud per lavori da poveri, dei tamarri, dei delinquenti, della gente seguita dagli assistenti sociali, dove le case sono alveari e gli affitti sono bassi, dove si parla un pidgin di milanese, siciliano e napoletano. Dai cui confini nessuno esce mai, nessuno studia, al massimo si fanno figli, si spaccia, si fa qualche furto e nel peggiore dei casi si muore. Figlio di genitori ragazzini che presto si separano, allevato da due coppie di nonni, cerca la sua personale via di salvezza e di riscatto, dalla redestinazione della periferia, dalla balbuzie, da tutte le cose sbagliate che incarna (colto, emotivo, omosessuale, ironico) e che lo rendono diverso. Un libro spiazzante, sincero e brutale, che costringerà le nostre emozioni a un coming out nei confronti della storia eccezionale di un ragazzo come tanti.
La misura del tempo di Gianrico Carofiglio (Einaudi). Proposto da Sabino Cassese.
Tanti anni prima Lorenza era una ragazza bella e insopportabile, dal fascino abbagliante. La donna che un pomeriggio di fine inverno Guido Guerrieri si trova di fronte nello studio non le assomiglia. Non ha nulla della lucentezza di allora, è diventata una donna opaca. Gli anni hanno infierito su di lei e, come se non bastasse, il figlio Iacopo è in carcere per omicidio volontario. Guido è tutt’altro che convinto, ma accetta lo stesso il caso; forse anche per rendere un malinconico omaggio ai fantasmi, ai privilegi perduti della giovinezza. Comincia così, quasi controvoglia, una sfida processuale ricca di colpi di scena, un appassionante viaggio nei meandri della giustizia, insidiosi e a volte letali. Una scrittura inesorabile e piena di compassione, in equilibrio fra il racconto giudiziario – distillato purissimo della vicenda umana – e le note dolenti del tempo che trascorre e si consuma.
Ragazzo italiano di Gian Arturo Ferrari (Feltrinelli). Proposto da Margaret Mazzantini.
Un libro scritto con uno spirito fanciullesco, nel senso più nobile del termine. Per me avrebbe potuto intitolarsi anche “Giovane”.
Il giovane preso per mano lungo queste pagine, negli anni della sua crescita: un antieroe fragile, un bambino che vive circondato da donne, educato da donne, fasciato innanzitutto di stupore. E giovane è anche lo sguardo del narratore che torna ad accostarsi a quel bambino, poi ragazzino, poi ragazzo, nelle tre parti che compongono il romanzo.
Ferrari riporta, ricrea in maniera formidabile, dialoghi che sono tranches di vita, che fanno pensare a certi quadri espressionisti, a certe fotografie di umile gente messa in posa. Hai la sensazione di stare in quelle case, con quelle persone. I dialoghi sono arterie vitali nascoste sotto il tessuto narrativo di un mondo che comunica con noi attraverso queste voci. Quel tessuto narrativo, poi, possiede una grazia d’altri tempi, connaturata a un’epoca più timida. Un’Italia più giovane, più sprovveduta, l’Italia partorita dalla guerra, con il suo grande gregge di reduci. Mentre Ninni avanza di statura, il mondo intorno muta violentemente, e s’intravede già molto di quello che sarà – il tempo dell’accumulo insensato, della solitudine dei molti, della disgregazione sociale – attraverso la finestra che questo romanzo di formazione apre e lascia aperta.
Giovanissimi di Alessio Forgione (NN Editore). Proposto da Lisa Ginzburg.
Marocco ha quattordici anni e vive con il padre a Soccavo, un quartiere di Napoli. La madre li ha abbandonati qualche anno prima, senza dare più notizie di sé, e lui vive quell’assenza come una ferita aperta, un dolore sordo che non dà pace. Frequenta il liceo con pessimi risultati e le sue giornate ruotano attorno agli allenamenti e alle trasferte: insieme a Gioiello, Fusco e Petrone è infatti una giovane promessa del calcio, ma nemmeno le vittorie sul campo riescono a placare la rabbia e il senso di vuoto che prova dentro. Finché non accadono due cose: l’arrivo di Serena, che gli porta un amore acerbo e magnifico, e la proposta di Lunno, il suo amico più caro, che mette in discussione tutte le sue certezze. Dopo l’esordio con “Napoli mon amour”, Alessio Forgione torna con un romanzo di prime volte, e ci racconta un mondo di ragazzini che crescono da soli,tra desideri di grandezza e delusioni repentine, piccoli crimini e grandi violenze, in attesa di scorgere il varco che conduce all’età adulta.
Breve storia del mio silenzio di Giuseppe Lupo (Marsilio). Proposto da Salvatore Silvano Nigro.
L’infanzia, più che un tempo, è uno spazio. E infatti dall’infanzia si esce e, quando si è fortunati, ci si torna. Così avviene al protagonista di questo libro: un bimbo che a quattro anni perde l’uso del linguaggio, da un giorno all’altro, alla nascita della sorella. Da quel momento il suo destino cambia, le parole si fanno nemiche, anche se poi, con il passare degli anni, diventeranno i mattoni con cui costruirà la propria identità. “Breve storia del mio silenzio” è il romanzo di un’infanzia vissuta tra giocattoli e macchine da scrivere, di una giovinezza scandita da fughe e ritorni nel luogo dove si è nati, sempre all’insegna di quel controverso rapporto tra rifiuto e desiderio di dire che accompagna la vita del protagonista. Natalia Ginzburg confessava di essersi spesso riproposta di scrivere un libro che racchiudesse il suo passato, e di “Lessico famigliare diceva: «Questo è, in parte, quel libro: ma solo in parte, perché la memoria è labile, e perché i libri tratti dalla realtà non sono spesso che esili barlumi di quanto abbiamo visto e udito». Così Giuseppe Lupo – proseguendo, dopo “Gli anni del nostro incanto”, nell'”invenzione del vero” della propria storia intrecciata a quella del boom economico e culturale italiano – racconta, sempre ironico e sempre affettuoso, dei genitori maestri elementari e di un paese aperto a poeti e artisti, di una Basilicata che da rurale si trasforma in borghese, di una Milano fatta di luci e di libri, di un’Italia che si allontana dagli anni Sessanta e si avvia verso l’epilogo di un Novecento dominato dalla confusione mediatica. E soprattutto racconta, con amore ed esattezza, come un trauma infantile possa trasformarsi in vocazione e quanto le parole siano state la sua casa, anche quando non c’erano.
Tutto chiede salvezza di Daniele Mencarelli (Mondadori). Proposto da Maria Pia Ammirati.
Daniele Mencarelli ha cominciato come poeta, quando nel 2018 ha scritto il suo primo romanzo, La casa degli sguardi, ha portato nella narrativa la densità e la plasticità della parola poetica. Una parola che diventa discorso umano, sorretto dalle vibrazioni di una scrittura potente e creaturale. Con Tutto chiede salvezza Mencarelli conferma di essere uno scrittore unico e maturo. Partendo da un’esperienza personale – i sette giorni di Trattamento sanitario obbligatorio a cui è stato sottoposto quando aveva vent’anni – scandaglia il buio della malattia mentale alla conquista di un’umanità profonda e autentica, la sua e quella dei suoi compagni. La cura profonda non può che essere affidata alla parola, unico e salvifico “pharmakon”.
Almarina di Valeria Parrella (Einaudi). Proposto da Nicola Lagioia.
Esiste un’isola nel Mediterraneo dove i ragazzi non scendono mai a mare. Ormeggiata come un vascello, Nisida è un carcere sull’acqua, ed è lì che Elisabetta Maiorano insegna matematica a un gruppo di giovani detenuti. Ha cinquant’anni, vive sola, e ogni giorno una guardia le apre il cancello chiudendo Napoli alle spalle: in quella piccola aula senza sbarre lei prova a imbastire il futuro. Ma in classe un giorno arriva Almarina, allora la luce cambia e illumina un nuovo orizzonte. Il labirinto inestricabile della burocrazia, i lutti inaspettati, le notti insonni, rivelano l’altra loro possibilità: essere un punto di partenza. Nella speranza che un giorno, quando questi ragazzi avranno scontato la loro pena, ci siano nuove pagine da riempire, bianche «come il bucato steso alle terrazze». Questo romanzo limpido e intenso forse è una piccola storia d’amore, forse una grande lezione sulla possibilità di non fermarsi. Di espiare, dimenticare, ricominciare. «Vederli andare via è la cosa più difficile, perché: dove andranno. Sono ancora così piccoli, e torneranno da dove sono venuti, e dove sono venuti è il motivo per cui stanno qui».
Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio di Remo Rapino (minimum fax). Proposto da Maria Ida Gaeta.
È un libro non collocabile facilmente né per generazione né per lingua in un contesto già noto della narrativa italiana. È un libro che sorprende per la scatenata vitalità e autenticità della lingua. È un libro che poggia sapientemente su una grande tradizione ed è popolare. Sta dalla parte dei matti, degli idioti, fuori dai margini, dove spesso sta la letteratura o comunque dove la letteratura sa stare. Un libro in cui un “cocciamatte” di paese, un uomo che non ha mai conosciuto il padre e che ha perso la madre da ragazzino, ormai anziano, solo, racconta in prima persona la sua vita e nel farlo riattraversa buona parte del Novecento. Con un linguaggio gergale e personalissimo, intriso di dialetto abruzzese, scorrono le vicende di una esistenza segnata da una infanzia e una giovinezza povere , il servizio militare in Friuli, il ritorno a casa, di nuovo la ripartenza per cercare lavoro al nord, il lavoro in fabbrica, lo sfruttamento e la scoperta della politica, il legame e la solidarietà con gli altri emarginati, la disillusione e la fine dei sogni di riscatto, il carcere e il manicomio, fino al definitivo ritorno al paese dove viene accolto come “cocciamatte” e da questa condizione si mette a scrivere, a più di ottanta anni e prima di morire. E scrive con grandissima umanità, commuovendo e divertendo i lettori.
È un romanzo che ha una voce. Le vicende narrate e lo stile della scrittura sono il personaggio stesso, coincidono. Il matto Liborio con la sua vita sconquassata, con il suo parlato /scritto, con i suoi amici e i suoi nemici, con la solitudine che lo avvolge, si fa ascoltare e ci conquista.
Il colibrì di Sandro Veronesi (La Nave di Teseo). Proposto da Accademia degli Scrausi.
Marco Carrera è il colibrì. La sua è una vita di continue sospensioni ma anche di coincidenze fatali, di perdite atroci e amori assoluti. Non precipita mai fino in fondo: il suo è un movimento incessante per rimanere fermo, saldo, e quando questo non è possibile, per trovare il punto d’arresto della caduta – perché sopravvivere non significhi vivere di meno. Intorno a lui, Veronesi costruisce un mondo intero, in un tempo liquido che si estende dai primi anni settanta fino a un cupo futuro prossimo, quando all’improvviso splenderà il frutto della resilienza di Marco Carrera: è una bambina, si chiama Miraijin, e sarà l’uomo nuovo.
L’apprendista di Gian Mario Villalta (SEM). Proposto da Franco Buffoni.
Fuori piove, fa freddo. Dentro la chiesa, in un piccolo paese del Nord-Est, fa ancora più freddo. È quasi buio, la luce del mattino non riesce a imporsi. Un uomo, Tilio, sta portando via i moccoli dai candelieri, raschia la cera colata, mette candele nuove. Sistema tutto seguendo l’ordine che gli hanno insegnato, perché si deve mettere ogni cosa al suo posto nella giusta successione. Parla con se stesso, intanto, in attesa che sulla scena compaia Fredi, il sacrestano. Tra una messa e l’altra i due sorseggiano caffè corretto alla vodka.
Così inizia il teatro di una coppia di personaggi indimenticabile, che intesse nei pensieri, nei dialoghi e nei racconti un intreccio vertiginoso di vicende personali, desideri, rimpianti e paure che convocano la vita di tutto un paese, in una lingua che fa parlare la realtà vissuta. Con questo nuovo romanzo, Gian Mario Villalta, uno degli scrittori più interessanti e significativi della nostra letteratura, scrive una pagina memorabile del suo percorso d’autore.