Finché il caffè è caldo è un romanzo scritto da Toshikazu Kawaguchi, pubblicato il 12 marzo 2020 da Garzanti, traduzione di Claudia Marseguerra. Una caffetteria giapponese centenaria e misteriosa, storie intrecciate, occasioni perdute e l’importanza del presente.
“«Adesso ti verso una tazza di caffè», disse posandole la tazza di fronte.
«Caffè? Perché il caffè?»
«Il tuo tempo nel passato comincerà dal momento in cui verso il caffè nella tazza…» spiegò Kazu ignorando la domanda di Fumiko, che comunque era rassicurata dall’imminente inizio del viaggio. «E devi tornare prima che il caffè si raffreddi.»
L’ottimismo di Fumiko svanì all’istante. «Come? Così presto?»”
Sinossi
In Giappone c’è una caffetteria speciale. È aperta da più di cento anni e, su di essa, circolano mille leggende. Si narra che dopo esserci entrati non si sia più gli stessi. Si narra che bevendo il caffè sia possibile rivivere il momento della propria vita in cui si è fatta la scelta sbagliata, si è detta l’unica parola che era meglio non pronunciare, si è lasciata andare via la persona che non bisognava perdere. Si narra che con un semplice gesto tutto possa cambiare. Ma c’è una regola da rispettare, una regola fondamentale: bisogna assolutamente finire il caffè prima che si sia raffreddato. Non tutti hanno il coraggio di entrare nella caffetteria, ma qualcuno decide di sfidare il destino e scoprire che cosa può accadere. Qualcuno si siede su una sedia con davanti una tazza fumante. Fumiko, che non è riuscita a trattenere accanto a sé il ragazzo che amava. Kotake, che insieme ai ricordi di suo marito crede di aver perso anche sé stessa. Hirai, che non è mai stata sincera fino in fondo con la sorella. Infine Kei, che cerca di raccogliere tutta la forza che ha dentro per essere una buona madre. Ognuna di loro ha un rimpianto. Ognuna di loro sente riaffiorare un ricordo doloroso. Ma tutti scoprono che il passato non è importante, perché non si può cambiare. Quello che conta è il presente che abbiamo tra le mani. Quando si può ancora decidere ogni cosa e farla nel modo giusto. La vita, come il caffè, va gustata sorso dopo sorso, cogliendone ogni attimo.
«Tuo padre non è andato in quella scatola perché lo voleva. C’era una ragione. Doveva andarci. Se tuo padre ci potesse vedere dalla sua scatola e ti vedesse piangere ogni giorno, cosa credi che penserebbe? Secondo me diventerebbe triste. Tu lo sai quanto ti amava, vero? Non credi che sarebbe doloroso per lui vedere lo sguardo infelice di una persona che amava? Allora che ne dici di sorridere ogni giorno, in modo che anche tuo padre possa sorridere dalla sua scatola? I nostri sorrisi gli permettono di sorridere. La nostra felicità permette a tuo padre di essere felice nella sua scatola.»
Il libro è composto da quattro capitoli, quattro racconti che nell’insieme costruiscono un’unica magica storia di fondo. La scrittura è semplice, quasi essenziale e la lettura è scorrevole, ho fatto un po’ fatica a memorizzare i nomi, ma questo è un problema mio. L’inizio del libro con la sua prima storia non mi ha catturata per niente, non riuscivo a capire dove volesse andare a parare, sembrava l’inizio di un romanzo rosa e ho trovato la protagonista di questa storia lamentosa e fastidiosa. Proseguendo la lettura l’interesse è aumentato, i personaggi sono diventati più intriganti e le storie più calde, fino ad un finale convincente e commovente. Il lettore viene rinchiuso nell’ambientazione surreale della caffetteria, uno spazio sospeso nel tempo, si può quasi sentire l’aroma del caffè misto al profumo di legno e il ticchettio degli orologi nell’attesa del suono del campanello della porta d’entrata. Una lettura bizzarra che fa riflettere sui rimpianti, le occasioni perdute e i mille “… e se …” che tutti noi ci portiamo dietro, e sull’importanza del presente e dell’accettazione di ciò che ci accade, perché anche se non possiamo tornare indietro a cambiare il passato, possiamo cambiare il modo in cui affrontiamo gli eventi e la vita stessa.
«Oddio, è già così tardi? Scusa tanto, ma devo proprio andare», aveva borbottato l’uomo con aria evasiva, alzandosi per prendere la borsa.
«Eh?» aveva replicato la donna, guardandolo incerta.
Non gli aveva sentito dire che era finita. Eppure l’aveva invitata fuori – dopo due anni che uscivano insieme – per parlarle di una cosa seria… e adesso di punto in bianco le aveva annunciato che si trasferiva per lavoro in America. Sarebbe partito subito, nel giro di poche ore. Non aveva sentito le parole esatte, è vero, ma ormai era ovvio che la cosa seria di cui dovevano parlare era la rottura del loro fidanzamento. Evidentemente era stato un grosso errore pensare – anzi, sperare – che la cosa seria fosse: “Mi vuoi sposare?”.
«Cosa c’è?» aveva ribattuto secco l’uomo, senza guardarla negli occhi.
«Non mi merito forse una spiegazione?» aveva chiesto lei.
La donna usò un tono inquisitorio che all’uomo non piacque affatto.
Erano in un caffè seminterrato, senza finestre, e tutta la luce proveniva da sei lampade con il paralume appese al soffitto e un’unica applique accanto all’entrata. Una costante sfumatura color seppia tingeva l’interno del locale. Senza un orologio, era impossibile dire se fosse giorno o notte.
C’erano tre grossi orologi antichi da parete nel caffè, ma le lancette segnavano tutte orari diversi. Era fatto apposta, oppure erano semplicemente rotti? I clienti alla prima visita non lo capivano mai, ed erano immancabilmente costretti a guardare il proprio orologio. L’uomo fece altrettanto. Mentre controllava l’ora sul suo orologio, cominciò a grattarsi il sopracciglio destro, sporgendo leggermente il labbro inferiore.
La donna trovò quell’espressione esasperante.
«Perché fai quella faccia? Come se fossi l’unica a soffrire», sbottò lei.
«Non è quello che penso», si giustificò imbarazzato lui.
«Sì che lo pensi!» insistette lei.
Sporgendo ancora il labbro in fuori, lui evitò il suo sguardo e non rispose.
Quell’atteggiamento passivo la mandò su tutte le furie. «Vuoi proprio che sia io a dirlo, eh?»
La donna bevve il caffè, che ormai aveva perso tutto il suo calore. Sfumato anche il lato più dolce di quell’incontro, si depresse ancora di più.
L’uomo tornò a guardare l’orologio e contò quanto mancava all’ora d’imbarco. Doveva lasciare il caffè in fretta.
Nel 2018, il regista giapponese Ayuko Tsukahara ha diretto il film ispirato al romanzo “Cafè Funiculì Funiculà“.
Kazu Tokita lavora al caffè “Funiculi Funicula”, che gestisce il suo parente Nagare Tokita. Si dice che se un cliente si siede in un determinato posto al caffè, quella persona può tornare indietro nel tempo. Ma ci sono numerose regole che devono essere rispettate perché il ‘miracolo’ avvenga.