Donne dell’anima mia è un libro di Isabel Allende, pubblicato il 12 novembre 2020, da Feltrinelli. Con ironia rievoca dei momenti nel passato e nel presente per raccontare le ragioni del suo femminismo. Un libro autobiografico, un libro che parla di vita reale che sembra un romanzo.
“Non esagero quando dico che sono femminista dai tempi dell’asilo, da prima che questo concetto entrasse nella mia famiglia. Sono nata nel 1942, quindi in pratica stiamo parlando della Preistoria.”
L’autrice parte dalle origini, dalla sua infanzia e adolescenza passate nella cornice di una rigida struttura patriarcale. L’istinto di ribellione è una sorta di reazione naturale al maschilismo imperante che genera in lei l’attitudine che negli anni l’ha portata a schierarsi sempre con i deboli, gli emarginati e tutte le donne che ancora lottano per l’emancipazione. Isabel ci racconta le tappe del suo cammino, a partire dal raggiungimento dell’indipendenza economica, le relazioni tra sessi, la sua biografia sentimentale e professionale. E poi la terza età, ciò che significa per lei, donna pienamente liberata e convinta che i modelli imposti portino a una forma di pregiudizio contro la vecchiaia non dissimile dagli atteggiamenti sessisti e razzisti. Un libro dedicato “A Panchita, Paula, Lori, Mana, Nicole e a tutte le altre straordinarie donne della mia vita.”
“Credo che all’origine della mia ribellione contro l’autorità maschile ci fosse la condizione di Panchita, mia madre, abbandonata dal marito in Perù insieme a due bambini ancora con il pannolino e un neonato in braccio. La situazione la costrinse a chiedere ospitalità ai suoi genitori in Cile, dove ho trascorso i primi anni della mia infanzia.”
Pur non essendo io femminista, ne ovviamente maschilista, ma come mi piace chiamarmi “personalista”, lotterò sempre per i diritti delle donne, contro ogni forma di discriminazione e elogerò quelle donne che si sono battute contro ogni forma di maschilismo, e sono pronta a leggere questo libro con curiosità ed ammirazione per quest’autrice e per il tema trattato che, sono certa, mi regalerà parecchi spunti di riflessione.
“La mia idiosincrasia nei confronti del machismo cominciò proprio nell’infanzia, vedendo mia madre e le domestiche della casa come vittime, subalterne, senza mezzi né voce, o per aver sfidato le convenzioni, nel primo caso, o per il fatto di essere povere. Ovviamente ai tempi era solo un’intuizione, a questa conclusione sono giunta grazie alla terapia all’età di cinquant’anni, ma anche se non ero in grado di razionalizzare, il senso di frustrazione era così forte da avermi impresso in modo indelebile l’ossessione per la giustizia e il rifiuto viscerale nei confronti del machismo. L’indignazione era un’anomalia all’interno della mia famiglia, che si considerava intellettuale e moderna, ma che, in confronto ai modelli di oggi, apparteneva al Paleolitico.”
Essendo uscito da poco tempo le recensioni sono davvero molto minime, ma tutte a cinque stelle. L’autrice, che è una delle voci più importanti della letteratura contemporanea, non delude i suoi lettori, anzi dimostra sempre più che è una voce di una persona straordinaria con il fantastico dono di saper raccontare, anche in un’opera di saggistica. Non resta che leggerlo.
“Per decenni ho pensato a mia madre come a una vittima, ma ho imparato che il termine “vittima” va riferito a chi non ha controllo e potere sulla propria vita e non credo che questo fosse il suo caso. È vero che sembrava intrappolata, vulnerabile, a volte persino disperata, ma la sua situazione in seguito cambiò quando si mise insieme al mio patrigno e iniziarono a viaggiare. Avrebbe potuto lottare per una maggiore indipendenza, per vivere la vita che desiderava e sviluppare il suo enorme potenziale invece di sottomettersi, ma la mia opinione conta poco perché, certo, appartenendo alla generazione del femminismo ho avuto possibilità che a lei erano mancate.”