Io sono l’abisso è un thriller di Donato Carrisi, pubblicato il 23 novembre 2020, da Longanesi. Una storia misteriosa, un viaggio nei meandri della psiche, alle radici del Male della nostra società. Un viaggio nel buio che è in ognuno di noi.
“La spazzatura di una persona racconta la sua vera storia. Perché, a differenza delle persone, la spazzatura non mente.
Si poteva imparare tanto da ciò che la gente gettava via. E, in fondo, quello era anche il suo modo di relazionarsi con gli altri esseri umani. Non con tutti, però. Gli interessavano unicamente i suoi simili.
Le persone sole.”
Trama di ”Io sono l’abisso”
Sono le cinque meno dieci esatte. Il lago s’intravede all’orizzonte: è una lunga linea di grafite, nera e argento. L’uomo che pulisce sta per iniziare una giornata scandita dalla raccolta della spazzatura. Non prova ribrezzo per il suo lavoro, anzi: sa che è necessario. E sa che è proprio in ciò che le persone gettano via che si celano i più profondi segreti.
E lui sa interpretarli. E sa come usarli. Perché anche lui nasconde un segreto.
L’uomo che pulisce vive seguendo abitudini e ritmi ormai consolidati, con l’eccezione di rare ma memorabili serate speciali.
Quello che non sa è che entro poche ore la sua vita ordinata sarà stravolta dall’incontro con la ragazzina col ciuffo viola. Lui che ha scelto di essere invisibile, un’ombra appena percepita ai margini del mondo, si troverà coinvolto nella realtà inconfessabile della ragazzina. Il rischio non è solo quello che qualcuno scopra chi è o cosa fa realmente.
Il vero rischio è, ed è sempre stato, sin da quando era bambino, quello di contrariare l’uomo che si nasconde dietro la porta verde. Ma c’è un’altra cosa che l’uomo che pulisce non può sapere: là fuori c’è già qualcuno che lo cerca. La cacciatrice di mosche si è data una missione: fermare la violenza, salvare il maggior numero possibile di donne. Niente può impedirglielo: né la sua pessima forma fisica, né l’oscura fama che la accompagna.
E quando il fondo del lago restituisce una traccia, la cacciatrice sa che è un messaggio che solo lei può capire. C’è soltanto una cosa che può, anzi, deve fare: stanare l’ombra invisibile che si trova al centro dell’abisso.
“Conosceva un unico modo per trovare la verità ed era scavare nei rifiuti della gente.
Le persone sono deboli, si diceva. Commettono peccati di cui spesso si vergognano. E, proprio per questo, tendono a nascondere chi sono realmente. Ma spesso le persone ignoravano un particolare: le cose che buttavano via con tanta leggerezza mentre costruivano la loro menzogna, gli scarti della loro finzione, potevano rivelare chi fossero davvero.”
Anche se questo libro del maestro del giallo italiano è uscito da poco più di una settimana si trovano già molte recensioni, significa che è andato a ruba ed è stato letto con avida curiosità, e sono tutte positive, se il libro precedente non aveva convinto molti, con questo Carrisi sembra riscattarsi. Non ci resta che leggerlo.
Incipit di ”Io sono l’abisso”
1
Il posto più tranquillo della Terra.
L’uomo che puliva l’aveva letto su un giornale che qualcuno aveva lasciato su un sedile dell’autobus, tanto tempo prima.
Il titolo si riferiva al lago di Como.
In realtà l’articolo parlava di case, non di persone. Case vuote, ottime occasioni di investimento. Almeno così gli era sembrato di capire. Non era tanto bravo a leggere e spesso gli sfuggiva il senso delle frasi. Ma era rimasto lo stesso molto colpito da quelle parole e aveva deciso di interpretarle come un segno.
Ci pensava anche quel mattino di tarda primavera mentre iniziava il giro di raccolta rifiuti in un quartiere di villini circondati dal verde.
Il quadrante dell’orologio al quarzo, a cui aveva affidato il compito di scandire i tempi della sua vita, indicava le cinque meno dieci esatte. Era ancora buio. Il lago s’intravedeva all’orizzonte, una lunga linea di grafite, nera e argento. Sulla tortuosa stradina che si inerpicava sulla collina non c’era un’anima. A parte lui, ovviamente. Alla guida del camioncino azzurro e verde dell’azienda municipalizzata, col finestrino abbassato quel tanto che bastava per far entrare l’aria frizzante e non scompigliare l’ordinata pettinatura con la riga al lato dei suoi capelli color mogano.
L’uomo che puliva osservava le case immaginando il segreto silenzio che vi regnava, il sonno degli abitanti custodito ancora per qualche ora dal tepore delle coperte. Le giovani coppie, quelle con bambini, i coniugi anziani. Tutti nei propri letti. Poi c’erano quelli che, per un motivo o per un altro, non avevano famiglia. Vedovi, divorziati, oppure donne e uomini che nel corso della vita non avevano trovato qualcuno con cui stare. Persone sole. Molti di loro morivano e non avevano parenti, ecco perché c’erano così tante case disabitate.
«Il posto più tranquillo della Terra» cantilenò a bassa voce. Ma era anche il più solitario, sebbene nessuno lo dicesse. Per questo motivo però, dieci anni prima, l’uomo che puliva aveva scelto di trasferirsi proprio lì. E in mezzo a tutte quelle solitudini, adesso c’era anche la sua.
Accostò lungo la via, spense il motore. Stando attento a non spettinarsi, calzò il cappellino con visiera su cui era impresso il logo dell’azienda municipalizzata. Scese e rimase fermo, richiudendo piano la portiera, e fu subito accolto da una calma protettiva, come se qualcuno avesse messo anche a lui una trapunta calda sulle spalle. Si sfilò gli occhiali da vista con la montatura in nichel, pulì le lenti con l’estremità della pettorina arancione che indossava sopra la divisa verde scuro e li inforcò nuovamente per guardarsi intorno. Di lì a poco, qualche finestra avrebbe cominciato a illuminarsi, le prime avvisaglie dell’imminente inondazione: presto la frenesia sarebbe tornata a invadere il mondo.
Ma ancora no. Per il momento, era ancora lui il padrone incontrastato del creato.
Gli restava un discreto patrimonio di due o tre minuti prima di iniziare il turno. Decise di sfruttarlo senza turbare troppo quello stato di dolcissima immobilità. C’erano gesti banali che a quell’ora del giorno acquisivano un significato diverso, appagante. Come scrocchiarsi le dita delle mani e sentire quel debole suono, che nel caos sarebbe sparito, ingigantirsi nella pace. Ma una cosa gli piaceva fare più di ogni altra: respirare. Inspirò ed espirò a pieni polmoni. Era uno dei piccoli piaceri della vita, molti se ne dimenticavano oppure non ci prestavano attenzione. L’uomo che puliva, invece, aveva imparato ad apprezzarlo a soli cinque anni, mentre una putrida piscina cercava d’ingoiarlo.
L’aria del mattino era la migliore in assoluto.