Il rosso e il nero è un romanzo dello scrittore francese Stendhal (pseudonimo di Marie-Henri Beyle), pubblicato nel novembre del 1830. Ambientato nella Francia della Restaurazione, il romanzo non narra solo gli intrecci romantici e passionali, ma una fine indagine psicologica e un affresco storico, politico e sociale di un’epoca di grandi mutamenti.
“Un romanzo è uno specchio che passa per una via maestra e ora riflette al vostro occhio l’azzurro dei cieli ora il fango dei pantani. E l’uomo che porta lo specchio nella sua gerla sarà da voi accusato di essere immorale! Lo specchio mostra il fango e voi accusate lo specchio! Accusate piuttosto la strada in cui è il pantano, e più ancora l’ispettore stradale che lascia ristagnar l’acqua e il formarsi di pozze.”
La storia fu ispirata a Stendhal da un fatto di cronaca “l’affaire Berthet”, avvenuto nel 1827 presso il Tribunale di Corte d’Assise dell’Isère, pubblicato sulla rivista “La Gazette des Tribunaux”. Un giovane seminarista, Berthet, figlio di un maniscalco, fu giudicato e condannato a morte per aver tentato di assassinare in una chiesa la sua ex amante, moglie di un notaio di provincia.
“Ciò che caratterizza le grandi passioni: l’immensa degli ostacoli da vincere e cupa incertezza del destino.”
Trama di “Il rosso e il nero”
Julien Sorel, un giovane popolano della Franca Contea, figlio del proprietario di una segheria, studia sotto la tutela del curato Chélan della parrocchia di Verrières e si scopre portato per le lettere latine e la teologia, ma è anche un fervente ammiratore di Napoleone Bonaparte, sogna la gloria militare, ma trova nella carriera ecclesiastica l’unica strada per elevarsi socialmente.
Così viene assunto come precettore in casa del signor de Rênal, sindaco conservatore della cittadina. La sua ambizione lo spinge a conquistare la moglie di questo, Madame de Rênal, con la quale intreccia una relazione e si innamora. In paese iniziano a spargersi delle voci e Rênal riceve una lettera anonima che lo informa dell’infedeltà della moglie.
Julien decide allora di partire e di entrare in seminario, dove riesce a farsi potenti amicizie, grazie alle quali viene assunto come segretario in casa del marchese de la Mole di cui attira ben presto le simpatie. Qui a Parigi conduce una vita mondana e la figlia del marchese, Mathilde, s’innamora di Julien che ricambia. A questo punto ho già rivelato abbastanza e non intendo rovinare la vostra lettura.
“Nei caratteri arditi e fieri non c’è che un passo tra l’essere in collera con se stessi e l’ira contro gli altri: in tal caso gli scatti di furore costituiscono un vivo piacere.”
Il titolo potrebbe simboleggiare il rosso che evoca il sangue del crimine e la passione, legati al nero del dolore e della morte. Oppure il rosso potrebbe rappresentare le giubbe rosse dei militari alla quale il protagonista segretamente ambisce e il nero delle vesti ecclesiastiche delle quali si è dovuto accontentare. Infatti Julien è un giovane che desidera una vita eroica, come quella del grande Napoleone, da lui ammirato, ma questo sogno gli è stato negato dalla società conservatrice della Restaurazione, che era un processo di ristabilimento del potere dei sovrani assoluti in Europa e il tentativo di ritornare all’antico regime precedente la Rivoluzione francese, per questo era molto pericoloso mostrare simpatie napoleoniche. Per questo motivo, Julien, da ragazzo ambizioso, pensa di trovare il successo attraverso la carriera ecclesiastica.
“Quando Bonaparte fece parlare di sé, la Francia temeva di essere invasa; vantar meriti militari era una necessità e una moda. Oggi si vedono preti di quarant’anni aver centomila franchi di prebende, vale a dire tre volte più dei famosi generali di divisione napoleonici. I preti hanno bisogno di gente che li assecondi: ecco questo giudice di pace, una testa così equilibrata, così quest’uomo finora, così vecchio, che si disonora per paura di dispiacere a un giovane vicario di trent’anni. Bisogna diventare prete.”
Recensione
Quando si fanno recensioni di classici si ha sempre paura, soprattutto se è un romanzo ai vertici della narrativa francese e mondiale, per me non è stata una lettura piacevole, quindi tocca precisare che questa non è critica letteraria, non ho le competenze necessarie per farla, è solo un racconto sulle mie impressioni.
Ho trovato la storia non delle più avvincenti, ma credo che ai suoi tempi deve esserlo stato, non ho nemmeno trovato affascinate il protagonista, al contrario delle donne nel libro. La narrazione è ricca di sfumature psicologiche, e il protagonista Julien Sorel emerge come un personaggio complesso e ambivalente, tormentato da conflitti interiori e sono stati prorpio i lunghi monologhi interiori per me la cosa più interessante, hanno dato spazio a molte riflessioni, soprattutto sulla complessità dell’animo umano e sulla politica, che influenza i valori di una società.
Vivere in un mondo dove non ci si sente adeguati, dover reprimere le proprie passioni, nascondere i propri pensieri, la frustrazione che porta a vacillare tra il giusto e il male, la rabbia, figlia della frustrazione che acceca e spazza via ciò che di buono possediamo.
Non sarà mai il mio libro del cuore, non ho la minima voglia di rileggerlo, non è stata una lettura semplice, ho faticarlo a finirlo perché mi ha annoiato, ma credo che bisognerebbe leggerlo, le riflessioni che ti porta a fare sono veramente molte e alla fine mi hanno arricchito.
Per quanto riguarda le trasposizioni cinematografiche sono tutte datate, poi nel 1997 è stata creata una miniserie diretta da Jean-Daniel Verhaeghe, con protagonisti Kim Rossi Stuart, Carole Bouquet, Judith Godrèche, Bernard Verley, Claude Rich. L’ho vista appena dopo aver ultimato il libro, noiosa è dire poco, sempre secondo i mie gusti personali.
Incipit “Il rosso e il nero”
I
UNA CITTADINALa cittadina di Verrières può essere considerata una delle più graziose della Franca Contea. Le sue case bianche, dai tetti aguzzi e dalle tegole rosse, si arrampicano sul declivio di una collina dove macchie di vigorosi castagni mettono in risalto ogni minima sinuosità. Il Doubs scorre qualche centinaio di piedi sotto le fortificazioni costruite un tempo dagli spagnoli e ora in rovina.
A nord la città è protetta da un’alta montagna, diramazione del Giura. I primi freddi d’Ottobre coprono di neve le cime frastagliate del Verra. Un torrente, precipitando dalla montagna, attraversa Verrières prima di gettarsi nel Doubs e mette in moto un gran numero di segherie: industria assai semplice che dà lavoro alla maggior parte degli abitanti, contadini più che borghesi. Non è questa, tuttavia, la fonte di maggior ricchezza per la cittadina. Il benessere generale che, dopo la caduta di Napoleone, ha consentito di ricostruire le facciate di quasi tutte le case di Verrières è dovuto alla fabbrica di tele stampate, dette di Mulhouse.
Entrando in città si rimane storditi dal fracasso di una macchina rumorosa e terribile a vedersi. Venti pesanti martelli, che si abbattono con un frastuono tale da far tremare il selciato, sono sollevati da una ruota spinta dall’acqua del torrente. Ogni giorno ciascuno di questi martelli fabbrica chi sa quante migliaia di chiodi. E sono ragazze giovani e graziose, quelle che sottopongono ai colpi di questi enormi martelli i pezzettini di ferro che vengono poi trasformati rapidamente in chiodi. Questo lavoro, così duro in apparenza, è uno dei più stupefacenti per il viaggiatore che si spinge per la prima volta sulle montagne, al confine tra la Francia e la Svizzera. Se poi il viaggiatore, entrando a Verrières, chiede di chi è la bella fabbrica di chiodi che assorda i passanti sulla via principale, gli viene risposto con accento strascicato: «Ah! è del signor sindaco!»
Per poco che il viaggiatore si fermi in questa grande via principale, che sale dalle rive del Doubs fin verso la sommità della collina, c’è da scommettere cento contro uno che vedrà comparire un uomo robusto dall’aria indaffarata e imponente.
Al suo apparire tutte le teste si scoprono rapidamente. I suoi capelli tendono al grigio, e grigio è il suo vestito. È cavaliere di diversi ordini; fronte ampia e naso aquilino, nel complesso il suo volto non manca di una certa regolarità; anzi, a prima vista, sembrano mescolarsi la dignità del sindaco di paese e quella certa attrattiva che può ancora trovarsi in un uomo sulla cinquantina. Ma, ben presto, il viaggiatore che viene da Parigi è colpito da un certo che di compiacimento e di sufficienza, misto a qualcosa di limitato e privo di fantasia. Alla fine ci si accorge che il talento di quest’uomo si limita alla capacità di farsi pagare con grande esattezza dai debitori, e di pagare, a sua volta, il più tardi possibile.
Tale è il sindaco di Verrières, signor de Rênal. Dopo aver attraversato la via con andatura imponente, egli entra nel municipio e scompare agli occhi del viaggiatore. Ma se quest’ultimo continua la sua passeggiata, dopo cento passi vede una casa abbastanza bella e, attraverso una cancellata, degli splendidi giardini. Più oltre, la linea dell’orizzonte è disegnata dalle colline della Borgogna e sembra fatta apposta per la gioia degli occhi. Questa vista fa scordare al viaggiatore l’atmosfera appestata dai piccoli interessi commerciali che cominciano ad asfissiarlo.
Viene informato che quella è la casa del sindaco. I profitti della grande fabbrica di chiodi hanno consentito al primo cittadino di Verrières di costruire questa bella dimora di pietra squadrata, da poco finita. La sua famiglia, si dice, è un’antica famiglia spagnola: e, si afferma, stabilita nella zona molto tempo prima che Luigi XIV la conquistasse. Dal 1815 in poi Rênal si vergogna di essere un industriale: al 1815 egli deve la sua nomina a sindaco di Verrières. Anche le terrazze, che sostengono le diverse parti di questo splendido giardino e che di balza in balza scendono fino al Doubs, sono dovute alla perizia di Rênal nel commercio del ferro. Non aspettatevi di trovare in Francia i pittoreschi giardini che circondano le città manifatturiere della Germania, come Lipsia, Francoforte, Norimberga, ecc. Nella Franca Contea più si costruiscono muri, più si arricchiscono le proprietà di pietre poste l’una sull’altra, e più si ha diritto al rispetto dei vicini. I giardini di Rênal, irti di muri, sono ammirati anche perché abbracciano lembi di terreno comperato a peso d’oro. Ad esempio, quella segheria che vi ha colpito al vostro ingresso in Verrières per la sua singolare posizione sul Doubs, e dove avete notato sul tetto una tavola col nome SOREL scritto a lettere cubitali, sei anni or sono sorgeva sull’area della quarta terrazza dei giardini di Rênal, attualmente in costruzione.
Nonostante il suo orgoglio, il sindaco è stato costretto a lunghe trattative col vecchio Sorel, contadino duro e testardo: gli ha dovuto sborsare parecchi luigi d’oro per convincerlo a trasportare altrove la sua segheria. Quanto al torrente pubblico che metteva in moto la sega, Rênal è riuscito a fare in modo che fosse deviato, in virtù del suo credito a Parigi. Questo favore gli è stato concesso dopo le elezioni del 182*.
In cambio, Sorel ha ottenuto da Rênal un appezzamento quattro volte più vasto, sulle rive del Doubs, cinquecento passi più a valle. E benché quella posizione fosse molto più favorevole al suo commercio di tavole d’abete, papà Sorel – come lo chiamano da quando è divenuto ricco – ha trovato modo di farsi dare una somma di 6000 franchi, sfruttando l’impazienza e la mania di proprietario che animavano il suo vicino.
Ma è anche vero che questo accomodamento è stato criticato dai benpensanti del luogo. Quattro anni fa, una domenica, mentre tornava dalla chiesa in tenuta da sindaco, Rênal vide da lontano il vecchio Sorel che lo guardava sorridendo, circondato dai suoi tre figli. Quel sorriso ha illuminato di una luce sinistra la mente di Rênal: e da allora egli pensa che avrebbe potuto concludere più vantaggiosamente lo scambio.
A Verrières, per godere della stima generale, è indispensabile una cosa: pur costruendo molti muri, evitare ogni progetto importato da quei muratori che in primavera vengono dall’Italia attraversando le gole del Giura per raggiungere Parigi. Una simile innovazione varrebbe all’imprudente costruttore l’eterno marchio di testa matta e gli alienerebbe per sempre la fiducia delle persone sagge e moderate che distribuiscono la stima nella Franca Contea.
In effetti queste sagge persone esercitano il più noioso dispotismo: e, proprio per questo, il soggiorno nelle piccole città di provincia è insopportabile per chi ha vissuto in quella grande repubblica chiamata Parigi. La tirannia dell’opinione pubblica (e quale opinione!) è altrettanto stupida nelle cittadine francesi quanto negli Stati Uniti d’America.
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