La prima stella della notte è il sequel del libro “Il primo giorno” scritto da Marc Levy, pubblicato in Italia nel 2010, traduzione di Valeria Pazzi. Ci trasporta in uno straordinario e appassionante viaggio entro e oltre i confini dell’umana conoscenza, per scoprire che l’amore è l’ultima e la più pericolosa avventura.
“Vi è una leggenda secondo la quale il bambino nel ventre della madre conosce tutto sul mistero della creazione, dall’origine del mondo fino alla fine dei tempi. Alla nascita, un messaggero passa sulla culla e gli posa un dito sulle labbra affinché non sveli mai il segreto che gli è stato affidato, il segreto della vita…”
Ritornano Adrian e Keira i protagonisti del “Il primo giorno” Com’era il cielo stellato 400 milioni di anni fa?
L’archeologa Keira e l’astronomo Adrian si sono conosciuti, e innamorati, cercando una risposta a questa domanda. Insieme, i due hanno viaggiato in tutto il mondo sulle tracce di un antico manufatto in grado di riflettere il cielo stellato come appariva milioni di anni fa. Un oggetto prezioso e pericolosissimo, la cui scoperta porterebbe alla luce verità sconvolgenti che molti non vorrebbero mai vedere svelate. Sulle tracce dei pezzi perduti di un monile antichissimo, su cui è rimasta magicamente impressa l’immagine di quel cielo, i due hanno vissuto avventure incredibili e sempre più pericolose.
“Se Galileo avesse affermato che un giorno avremmo inviato un radiotelescopio ai confini del sistema solare, lo avrebbero mandato al rogo prima ancora che terminasse la frase; se l’ingegnere francese Ader avesse affermato che avremmo camminato sulla Luna, avrebbero distrutto il suo aeromobile prima che si levasse in volo. Solo vent’anni fa, tutti concordavano sul fatto che Lucy fosse la nostra antenata più vecchia: se tu avessi sostenuto che la madre dell’umanità aveva dieci milioni di anni, ti avrebbero tolto immediatamente la cattedra!» «Vent’anni fa stavo ancora studiando!» «Se dovessi tirar fuori tutte le cose dichiarate impossibili che poi si sono dimostrate vere, dovremmo trascorrere molte notti insieme per farne un elenco.»”
Il nostro destino è scritto nelle stelle. E Adrian, astronomo all’osservatorio di Atacama, in Cile, le scruta ogni notte in cerca delle risposte agli interrogativi che affollano la sua mente di scienziato. Ma la domanda che più di ogni altra lo tormenta è che fine abbia fatto Keira, la giovane archeologa che ha rapito il suo cuore.
“Camera 307. La prima volta che ho dormito qui, non ho fatto per niente caso al panorama: all’epoca ero felice e la felicità rende distratti. Sono seduto a una piccola scrivania, di fronte alla finestra. Pechino si estende davanti ai miei occhi e non mi sono mai sentito così sperduto.”
“Ricordo che, a Hydra, una volta mia madre mi disse: Perdere una persona amata è terribile, ma sarebbe peggio non averla mai incontrata. In quel momento stava pensando a mio padre. Una frase del genere, tuttavia, assume un altro significato se ci si sente responsabili della morte di chi si ama.”
Così, quando un misterioso informatore gli fa recapitare una fotografia di Keira nel monastero-prigione di Garther, Adrian non esita a partire alla volta delle sconfinate pianure alle pendici dell’Himalaya, deciso a portarla via con sé. Ma ritrovare Keira è solo l’inizio di un’avventura che, dagli altipiani etiopi ai laghi ghiacciati degli Urali, potrebbe condurli a realizzare il loro sogno: sciogliere il millenario enigma che circonda l’origine dell’umanità.
“Il vuoto e il tempo suo amico!» concluse baldanzoso. «Davvero uno strano concetto, il vuoto. Il vuoto è pieno di cose a noi invisibili. Il tempo, da parte sua, passa e cambia tutto, modifica la corsa delle stelle, culla il cosmo con un movimento permanente e anima il gigantesco ragno della vita che cammina sulla tela dell’universo. Non è una dimensione affascinante, questo tempo di cui ignoriamo tutto? Lei mi è simpatico con quella sua aria stupita”
Riconfermo quello che ho già scritto nella recensione del primo volume, non dovrebbe essere inserito nel genere “narrativa rosa”, ma in quello “avventura”, anche in questo sequel troviamo il mistero, l’azione e un pizzico di romanticismo che non guasta mai. Ho trovato la storia e le dinamiche leggermente inferiori rispetto al precedente e non credo che si possa affrontare questa lettura senza aver prima letto come tutto è iniziato. Per il resto è stata una lettura piacevole soprattutto per me che amo i misteri antichi e qui si mescola archeologia e fisica astronomica per creare un forte stimolo alla fantasia, alla curiosità, alle riflessioni e alle mille domande le cui risposte non arriveranno a breve e forse mai.
“Ogni essere umano è composto da miliardi di cellule, siamo miliardi di esseri umani ad abitare su questo pianeta, e sempre più numerosi; l’universo è popolato da miliardi e miliardi di stelle. E se questo universo, di cui credevo di conoscere i limiti, fosse anch’esso una piccolissima parte di un insieme ancora più grande? Se la nostra Terra non fosse altro che una cellula nel ventre di una madre? La nascita dell’universo è simile a quella di ogni vita, è lo stesso miracolo che si ripete, dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo. Ti immagini quale fantastico viaggio sarebbe se potessimo risalire fino all’occhio di questa madre e vedere attraverso la sua iride com’è il mondo? La vita è un sorprendente prodigio.”
“Oggi spero di trovare un passaggio attraverso il quale piccoli gruppi di individui avrebbero potuto attraversare il Grande Nord nel quarto o quinto millennio avanti Cristo.» «Perché mai avrebbero intrapreso un viaggio simile?» domandò Thornsten. «Cosa li avrebbe spinti a rischiare la vita? E’ questa la domanda chiave, ragazza mia, quando si vogliono approfondire le migrazioni. L’uomo migra solo per necessità, perché ha fame o sete, perché è perseguitato: è l’istinto di sopravvivenza che lo costringe a spostarsi. Prendiamo voi, per esempio: avete lasciato un nido confortevole per venire in questa vecchia baracca perché avevate bisogno di qualcosa, o sbaglio?»”
“«Alcuni sostengono che i sumeri si siano sedentarizzati sul Tigri e sull’Eufrate, perché in quelle zone il farro cresceva in abbondanza e loro avevano imparato a immagazzinare questo cereale. Potevano conservare i raccolti che li nutrivano nei mesi freddi e poco fertili e non avevano più bisogno di vivere da nomadi per procurarsi il cibo quotidiano. E’ ciò che le stavo spiegando: la sedentarizzazione testimonia che l’uomo passa da una condizione di sopravvivenza a una di vita. Nel momento in cui diventa stanziale, cerca di migliorare il quotidiano ed è solo in quel momento che le civiltà cominciano a evolvere. Se uno sconvolgimento geografico o climatico distrugge quest’ordine, se l’uomo non trova più il pane quotidiano, ecco che immediatamente si rimette in marcia. Esodi e migrazioni, perfino le guerre: il motivo è sempre lo stesso, la sopravvivenza della specie.”
Prologo
Mi chiamo Walter Glencorse e sono l’amministratore della Royal Academy di Londra. Ho conosciuto Adrian poco meno di un anno fa, quando è stato rimpatriato d’urgenza in Inghilterra dal sito astronomico di Atacama, in Cile, dove scrutava il cielo in cerca della stella originale.
Adrian è un astrofisico di grande talento e in questi mesi siamo diventati buoni amici.
Lui aveva un unico sogno: proseguire le sue ricerche sull’origine dell’universo, mentre io tentavo invano di far quadrare un bilancio disastroso. L’ho convinto così a partecipare a un concorso organizzato da una fondazione scientifica, che metteva in palio una ricchissima borsa di studio.
Lavorando alla presentazione del suo progetto per settimane intere, abbiamo finito per affezionarci l’uno all’altro. Ma ho già detto che siamo amici, non è vero?
Il primo posto, purtroppo per noi, se l’è aggiudicato una giovane francese, una paleontologa grintosa e determinata. Era impegnata in uno scavo nella valle dell’Omo, in Etiopia, quando una tempesta di sabbia aveva distrutto il suo campo costringendola a far ritorno in patria.
La sera in cui tutto è cominciato, anche lei si trovava a Londra: sperava di vincere la borsa di studio in modo da poter riprendere in Africa le sue ricerche sull’origine dell’umanità.
Ma i casi della vita sono strani: Adrian conosceva già Keira, avevano vissuto un’intensa estate di passione, ma da allora non si erano più rivisti.
Passarono quella notte insieme, lei festeggiando la vittoria, lui il fallimento. Keira se ne andò la mattina dopo, lasciando in regalo a Adrian il ricordo ravvivato del loro amore di gioventù e uno strano ciondolo proveniente dall’Africa: una specie di pietra trovata nel cratere di un vulcano da Harry, un ragazzino etiope che Keira aveva quasi adottato, perdendone poi le tracce prima di lasciare l’Africa.
Durante un temporale notturno Adrian scoprì che il ciondolo aveva strane proprietà: quando una fonte intensa di luce — un fulmine, per esempio — lo attraversava, proiettava milioni di puntini luminosi.
Adrian non tardò a rendersi conto di un fatto ancor più singolare, per non dire incredibile: quei punti corrispondevano a una mappa della volta celeste, e per di più non a una porzione qualsiasi, ma a un preciso frammento del cielo, un’immagine delle stelle tali e quali erano sopra la Terra quattrocento milioni di anni fa.
Dopo aver fatto questa scoperta straordinaria, Adrian decise di raggiungere Keira nella valle dell’Omo.
I due, tuttavia, non erano gli unici a nutrire interesse per quella particolare pietra. Durante un soggiorno a Parigi, in visita dalla sorella, Keira aveva conosciuto un vecchio professore di antropologia, un certo Ivory. Quest’uomo mi contattò e riuscì a convincermi — lo confesso, nella maniera più bieca — a incoraggiare Adrian nelle sue ricerche.
In cambio della collaborazione, mi consegnò una piccola somma di denaro e promise che se Adrian e Keira avessero portato a termine il lavoro avrebbe fatto una generosa donazione alla Royal Academy. Accettai l’accordo. All’epoca ignoravo che Adrian e Keira avessero alle calcagna un’organizzazione segreta che, al contrario di Ivory, era ferocemente determinata a impedire loro di sciogliere l’enigma e di trovare i frammenti in grado di completare il ciondolo.
Adrian e Keira, indirizzati dal vecchio professore, scoprirono infatti ben presto che la pietra rinvenuta nell’antico vulcano non era unica nel suo genere: dovevano essercene altre quattro o cinque disperse per il pianeta, e loro volevano trovarle.
Questa ricerca li portò dall’Africa alla Germania, dalla Germania all’Inghilterra, dall’Inghilterra al confine con il Tibet; poi, volando clandestinamente sulla Birmania, raggiunsero l’arcipelago delle Andamane. Qui, sull’isola di Narcondam, Keira raccolse una seconda pietra del tutto simile a quella africana.
I due frammenti, quando furono riuniti, rivelarono nuove e stupefacenti proprietà: si attrassero come due calamite, divennero di un blu molto intenso e sprigionarono miriadi di scintille. Adrian e Keira, elettrizzati per questo passo avanti nella loro ricerca, si recarono in Cina, malgrado gli avvertimenti e le minacce rivolte loro dall’organizzazione segreta, i cui membri avevano tutti il nome in codice di una città.
Uno di essi, il lord inglese Sir Ashton, decise infine di agire per conto suo e fermare una volta per sempre Adrian e Keira.
E io, cosa ho fatto? Perché non ho capito, quando un prete è stato assassinato sotto i nostri occhi? Perché non mi sono reso conto della gravità della situazione? Perché non ho detto al professor Ivory che non ero più disposto a continuare? Come ho potuto non avvertire Adrian che quel vecchio lo stava manipolando… proprio io, che sostengo di essere suo amico.
Lasciando la Cina, Adrian e Keira furono vittime di un terribile attentato. Lungo una strada di montagna, un’auto fece precipitare giù da un dirupo la loro 4×4, che andò a finire nelle acque del Fiume Giallo. Adrian fu tratto in salvo da alcuni monaci che erano lì al momento dell’incidente, mentre il corpo di Keira non venne ritrovato.
Una volta rimpatriato, dopo la convalescenza, Adrian non tornò al lavoro. Distrutto dalla perdita di Keira, si rifugiò nella casa d’infanzia sull’isoletta greca di Hydra (è di padre inglese e madre greca).
Trascorsero tre mesi. Mentre lui soffriva per la perdita della sua amata, io mordevo il freno, roso dai sensi di colpa, finché un giorno ricevetti presso la Royal Academy un pacco indirizzato a lui. Proveniva dalla Cina ed era privo di mittente.
Lo aprii e al suo interno c’erano gli oggetti che lui e Keira avevano lasciato in un monastero e una serie di fotografie in cui riconobbi subito la giovane paleontologa. Sulla fronte aveva una strana cicatrice di cui non ricordavo l’esistenza. Ne parlai a Ivory, il quale riuscì a convincermi che si trattava di una prova del fatto che forse Keira era ancora viva.
Mi sono ripetuto almeno cento volte di tacere, di lasciare in pace Adrian. Ma come nascondergli una notizia del genere?
Sono andato a Hydra e, di nuovo per colpa mia, Adrian è ripartito, pieno di speranza, alla volta di Pechino.
Scrivo queste righe con l’intenzione di consegnarle un giorno a Adrian, confessandogli la mia colpa. Ogni sera prego che possa leggerle e perdonarmi per il male che gli ho fatto.Atene, 25 settembre
Walter Glencorse
Amministratore della Royal Academy di Sua Maestà.
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1 commento
Ciao Galatea, passo per leggere il tuo post e per ringraziarti del tuo commento al mio ultimo post.
aldo il monticiano.