Muori per me è un thriller psicologico scritto da Elisabetta Cametti, pubblicato da Piemme nel gennaio 2021. Un’influencer famosa si trova coinvolta in situazioni che la obbligano a scendere a compromessi. Quando si rende conto che la libertà non è sognare dentro una gabbia dorata, decide di ribellarsi al sistema. Decide di fare sentire la propria voce. Una voce che neanche la morte può far tacere.
“Non possiamo dire di conoscere qualcuno, finché non abbiamo visto la sua ira. Perché è nell’ira che cantano i nostri demoni.”
Notte fonda, una ragazzina chiama la polizia: sua madre è scomparsa. Si tratta dell’assistente personale di Ginevra Puccini, una delle fashion blogger più famose al mondo. Il corpo di Julia viene trovato nelle acque del lago di Como, insieme a quello di altre quattro donne. I cadaveri presentano ulcere evidenti su pelle e mucose, una reazione allergica rara, causata da una sostanza sconosciuta, come accerta l’autopsia. Gli indizi, che puntano tutti a un unico colpevole, diventano una prova con la scoperta dell’arma del delitto. Quando il caso sembra chiuso, però, sulle pagine social di Ginevra Puccini compaiono dei video sconvolgenti: lei conosce il nome delle vittime non ancora identificate, la loro storia e il gioco perverso che le ha uccise. Ma Ginevra non si trova. Potrebbe essere il carnefice o la prossima vittima. La cerca la polizia. La cerca la sua famiglia. La cerca chi vuole metterla a tacere. Quelle immagini denunciano un sistema di corruzione e comando, rivelando la linea di sangue che conduce tra i rami di una famiglia potente e dentro una delle più importanti maison della moda internazionale. Dove forze dell’ordine e giustizia non sono mai riuscite ad aprirsi un varco, sono quei post a fare vacillare l’impero. Perché c’è una voce che i soldi e il potere non possono ridurre al silenzio, quella che rimbalza sui social network e diventa virale.
“Se vi chiedessi di definire la paura con una sola parola, quale usereste?
Dolore. Nulla è più doloroso della paura, perché causa ferite che non guariscono. Si infiltra e scava a fondo. La sentiamo in ogni respiro, in ogni cellula, fin dentro il midollo. Non dorme mai. Penetra la mente, i pensieri. Vive con noi. Forse perché è l’unica arma che abbiamo per non abbassare la guardia, per stare allerta. Non so se ci salvi, di certo ci consuma.
Ho paura.”
Parlare di un thriller è sempre difficile, si ha paura di svelare qualcosa, in questo caso è ancora più faticoso perché è un romanzo complesso che esce fuori dagli schemi. I capitoli sono brevi, come piace a me, e si susseguono con molti cambi di scena che donano fluidità alla lettura. I personaggi sono ben studiati e funzionali al racconto, ogni cosa ha un suo perché, non c’è niente di inutile, anche le belle descrizioni ambientali sono lì a dare respiro senza disturbare, in perfetto equilibrio. La trama è elaborata, è molto più di un thriller, vengono raccontate storie di donne, di violenza fisica e psicologica, di paura e di coraggio. Apre anche a riflessioni sul nostro presente, portando alla mente fatti di cronaca che sempre più spesso vengono narrati nei Tg, uno sguardo sui deliri di onnipotenza dei “nuovi” ricchi, si parla di corruzione e abuso di potere. Punta i riflettori soprattutto sul mondo dei social, sul grande potere che hanno, nel bene e nel male, sul loro effetto sui giovani; su donne bramose di apparire o di fare soldi facili, sul plagio a danno di ragazzine piene di sogni, ricordando un po’ i vecchi cliché sul mondo del cinema, oggi ancora più pericolosi per la vasta massa che si può raggiunge con le nuove tecnologie di comunicazione. E si riflette anche sul seguire la propria strada, sulla voglia di successo che a volte ci manda fuoristrada, sull’empatia che sembra stia diminuendo, sulla famiglia, sui confini del bene e del male non sempre chiari. Ma parla anche di speranza, di alternative di vita che i nostri occhi, ormai troppo immersi nei mondi patinati dei social, non riescono più a vedere.
“il punto di non ritorno arriva. Presto o tardi, arriva. Dobbiamo esserne consapevoli, prima di svegliarci e scoprire che nulla sarà più com’era. Che non si può tornare indietro, nemmeno per un secondo, per una parola, per un sorriso. Pensiamoci adesso. Pensiamoci prima di ogni azione, di ogni scelta. Prima di sbattere una porta. Prima di dire addio, di cambiare orizzonti. Prima di ascoltare l’istinto. Prima di inseguire un miraggio. Pensiamoci quando siamo ancora in tempo. Perché per il domani, l’oggi è solo un ricordo. E se non abbiamo imboccato la strada giusta, in ogni curva rischieremo di essere investiti dai rimpianti, dai sensi di colpa. Dalla paura. E in una di quelle curve ci schianteremo.”
Questo libro ha avuto un grande impatto emotivo su di me, mi ha fatto immedesimare in molte situazioni, chiedendomi cosa avrei fatto io al posto loro. Ho provato rabbia, tenerezza, mi sono commossa, ho pianto. Provare emozione è uno dei regali che un libro ti può donare. Un romanzo da non perdere, lo consiglio decisamente.
“l’uomo ha bisogno di essere salvato. Da se stesso. Dalla propria natura. Dal male che può fare. La storia ce lo racconta attraverso Adamo ed Eva, ma il peccato originale non nasce né dalla disobbedienza né dalla superbia. Il peccato originale è credere di potere definire l’ordine delle cose. Il peccato originale è volere essere Dio, senza sapere se Dio esista oppure no. Senza sapere cosa significhi essere lui. Il peccato originale è l’illusione di potere decidere cosa sia bene e cosa male, quando il male è radicato in ognuno di noi e il bene è solo il sogno con cui zittiamo la nostra coscienza.”
Elisabetta Cametti, classe 1970, con una laurea in Economia e Commercio in Bocconi, da vent’anni
si occupa di editoria e lavora tra Milano e Londra. La stampa l’ha definita “la signora italiana del thriller”.
Nel 2013 ha pubblicato il primo romanzo della “serie K”, con protagonista Katherine Sinclaire, manager dell’editoria, che include: “I guardiani della storia”, “Nel mare del tempo” (2014) e “Dove il destino non muore” (2018). Nel 2015 ha inaugurato la “serie 29”, con protagonista Veronika Evans, fotoreporter di New York, che comprende: “Il regista” e “Caino” (2016). È opinionista in programmi televisivi di attualità e cronaca su Rai 1 e sulle reti Mediaset.
Puntata 329
Puntata trecentoventinove: vinci quando ti liberi di maschere, menzogne e illusioni. Il futuro è di chi ha il coraggio di indossare solo la verità.
Esplosione uguale morte. Avevo una decina d’anni e stavo tornando a casa in moto con mio padre, quando un’auto rossa ci era sfrecciata accanto. La musica alta e la velocità avevano fatto tremare l’aria, forse anche l’asfalto. Ricordo ogni istante: il giovane uomo alla guida non era riuscito a controllare la vettura. In curva aveva invaso la corsia opposta, travolgendo l’utilitaria bianca che procedeva nell’altro senso di marcia. A bordo c’erano genitori e due figli.
Lontani dai centri abitati e soli sulla carreggiata, eravamo l’unico aiuto che il destino avesse offerto loro.
Mio padre aveva iniziato a dire no. Un no dopo l’altro, in una sequenza infinita. Lo ripeteva come un mantra. Come una preghiera. Come se potesse negare l’evidenza, tornare indietro e fermare il tempo. Cambiare la scena.
Il suo fiato era rotto mentre si toglieva il casco e mi esortava a non spostarmi dal bordo strada, ma fermo quando parlava con i soccorsi. Aveva dato indicazioni sul luogo, sulla dinamica. Sulla tragedia che avevamo di fronte.
Se dall’auto rossa il conducente era sceso con le proprie gambe, dentro il veicolo bianco non si muoveva nessuno. Non una mano, una palpebra. Niente. Non si muoveva nemmeno il bambino che era atterrato sul cofano dopo avere attraversato il parabrezza come un proiettile.
Seguivo mio padre con gli occhi e vedevo la sua esitazione: poteva toccarlo? O era meglio aspettare i medici? Il sole bruciava le lamiere e la ragione aveva prevalso sulla cautela: facendosi forza, se l’era stretto al petto.
«Vieni ad aiutarmi!» gridava al pirata della strada. «Dobbiamo tirarli fuori, prima che prenda fuoco tutto!»
Ma l’altro ciondolava, farfugliava parole incomprensibili. Pareva assente anche a se stesso.
Non potevo rimanere a guardare. Avevo un fratello piccolo, sapevo come prendermi cura di un bambino.
«Dallo a me…» Mi ero precipitata in mezzo alla strada e tendevo le mani.
Se penso allo sguardo di mio padre, mi si annoda la gola: doveva decidere se gettarmi dentro l’incubo o rischiare di perdere delle vite.
«Stai attenta.» Me lo aveva sistemato tra le braccia, accompagnandomi per qualche passo.
Una manciata di secondi più tardi cercava di sradicare le portiere. Strattonava, dava calci, usava un ferro. Non si aprivano. Né le due anteriori, né quella dietro con il finestrino tinto di sangue.
La testa del bambino si era gonfiata. Non sembrava più una testa e lui non sembrava più un bambino. Per non svenire, avevo chiuso gli occhi. Una volta riaperti, mio padre stava trascinando fuori dall’auto una ragazzina. Mi ero fatta l’idea che avesse più o meno la mia età, per via dei capelli lunghi e delle gambe sottili. Per il resto, era irriconoscibile.
Poi è successo tutto velocemente.
Il pirata fuggiva per i campi.
Le sirene erano un ronzio in lontananza.
I veicoli sono esplosi.
Un boato. Fiamme altissime. Prima gialle, poi scure come il fumo che annebbiava il cielo e la mia vista.
Ho urlato. E l’urlo si è sciolto in pianto mentre mio padre mi faceva da scudo. Non contro le vampate, erano distanti. Ma per proteggermi dalla paura, dal dolore, dall’amarezza che sapeva non ci avrebbero più lasciato.
In pochi minuti il fuoco aveva divorato tutto.
Non si è salvato nessuno.
Il bambino ha smesso di respirare in ospedale. La ragazzina in ospedale non ci è mai arrivata.
Esplosione uguale morte.
Da allora, se immagino la fine di qualcosa vedo un’esplosione.
Ed è con un’esplosione che avrò la mia vendetta.
Trecentoventinove bombe.
La deflagrazione sarà violenta. Inaspettata, spietata.
Scriverà una pagina di storia, perché quando avrò finito non si rialzerà nessuno e chi avrà ancora respiro, sarà comunque morto.
Rimarrà in piedi solo la verità.