“L’infinito” è una delle poesie più celebri del poeta italiano Giacomo Leopardi. Scritta nel 1819, fa parte delle sue “Operette Morali” ed è un’opera che riflette profondamente sul tema dell’infinito e sulla natura umana. Fu pubblicata nel dicembre 1825, sulla rivista milanese Nuovo Ricoglitore, poi nel 1826 in Versi del conte Giacomo Leopardi editi dalla Stamperia delle Muse di Bologna ed infine nei Canti editi da Piatti di Firenze nel 1831).
La poesia inizia con una descrizione del poeta che si trova su un colle solitario, immerso nella natura. Questo scenario diventa il punto di partenza per una meditazione sulla grandezza dell’universo e sulla piccolezza dell’uomo di fronte ad esso. Leopardi esprime il suo senso di frustrazione e impotenza di fronte alla vastità dell’universo, sentendosi limitato dai confini della sua condizione umana.
Il poeta riflette sul desiderio di espandersi oltre i limiti fisici e temporali dell’esistenza umana, cercando di abbracciare l’infinito. Questo desiderio è alimentato dallo spettacolo della natura e dalla sua immensità, che gli fa percepire la propria finitezza in modo ancora più intenso.
Leopardi sottolinea come il desiderio di conoscere e abbracciare l’infinito sia insito nella natura umana, ma allo stesso tempo l’uomo è costretto a restare confinato nelle sue limitazioni fisiche e temporali. La consapevolezza di questa condizione genera un senso di angoscia e di struggente desiderio di fuga.
Nel finale della poesia, Leopardi cerca una via di fuga dalla sua condizione umana attraverso l’immaginazione. Egli afferma che nella sua mente, grazie alla fantasia, può superare i confini spazio-temporali e abbracciare l’infinito. La poesia si conclude con la consapevolezza che questa fuga mentale è l’unica via per sfuggire alla prigione della realtà fisica. Leopardi esprime il suo senso di smarrimento e desiderio di libertà di fronte all’infinito. La poesia continua a essere ammirata per la sua bellezza e per la sua capacità di catturare l’eterna lotta tra la grandezza dell’universo e la fragilità umana.
L’infinito di Giacomo Leopardi
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma, sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio;
e il naufragar m’è dolce in questo mare.Giacomo Leopardi