Il 10 ottobre è la Giornata mondiale contro la pena di morte per incoraggiare e consolidare la consapevolezza politica e civile contro la pena di morte, un momento importante per il movimento abolizionista per riflette sui successi ottenuti e sui passi ancora da compiere per l’abolizione universale della pena capitale.
“Quando lo stato usa il proprio potere per mettere fine alla vita di un essere umano, è possibile che nessun altro diritto rimanga inviolato. Lo stato non può dare la vita, non dovrebbe avere la presunzione di poterla togliere.”
La pena di morte, o capitale, consiste in un procedimento penale volto a togliere la vita al condannato. E’ stata presente negli ordinamenti dell’antichità, ma piano piano nei secoli è stata abolita nella maggior parte del mondo, purtroppo oggi è presente in molti Paesi, come il Giappone. Stati Uniti, Cina, Bielorussia, India, il Giappone, la Corea del Nord, Iran, Egitto, Iraq e Arabia Saudita, secondo Amnesty International ci sono ancora 55 paesi mantengono la pena di morte nella legge.
Libri contro la pena di morte
Occhio per occhio. La pena di morte in 4 storie di Sandro Veronesi.
L’autore conduce il lettore dentro quattro storie di vita forse ancor più incredibili della fiction – storie di grandi o piccoli delitti puniti, tre volte su quattro, con la pena capitale. Sudan: dei terroristi palestinesi compiono un attentato in un hotel frequentato da europei.
Condannati a morte, vengono “salvati” dalla legge musulmana che prevede una somma compensatoria della violenza subita. Taiwan: tre ragazzi rapiscono il figlio di un facoltoso imprenditore. Pur avendo rilasciato l’ostaggio dopo il pagamento del riscatto, i tre, arrestati, vengono condannati a morte, con l’accusa di aver agito contro gli interessi della collettività per l’ingente riscatto. E così vengono giustiziati. Unione Sovietica: un uomo, fermato con un amico sul limitare del bosco in possesso di residuati bellici, viene accusato (forse ingiustamente) di associazione a delinquere contro la patria e condannato a morte. A un passo dall’esecuzione, il presidente Gorbaciov concede la grazia. California: un uomo viene condannato per l’uccisione di due adolescenti nel corso di una rapina. Dopo 14 anni di rinvii, dinieghi, manifestazioni popolari per la sua grazia, la condanna viene eseguita: camera a gas.
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L’ultimo giorno di un condannato di Victor Hugo.
Scritto nel 1829, rappresenta una critica molto diretta nei confronti della pena capitale esercitata nella Francia del tempo. Sono anni in cui il progresso sembra trasportare l’umanità intera, sul suo dorso poderoso, verso un futuro di pace, prosperità, ricchezza e fratellanza.
Ma negli stessi anni si tagliano ancora teste davanti a un pubblico pagante, si marcisce in carcere, ci si lascia morire per una colpa non sempre dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio. Hugo parla a nome dell’umanità, come sempre, e lo fa attraverso la voce di un uomo qualunque, di un condannato qualunque, di un miserabile che rappresenta tutti i miserabili di tutte le nazioni e tutte le epoche. Un crimine di cui non conosciamo i dettagli lo ha fatto gettare in una cella. Persone di cui non conosciamo il nome dispongono della sua vita, come divinità autoproclamate. Un’angoscia di cui conosciamo fin troppo bene la lama lo tortura, giorno dopo giorno, e gli fa desiderare che il tempo corra sempre più veloce. Verso la fine dell’attesa, venga essa con la liberazione o con l’oblio.
Il libro racconta in prima persona gli ultimi giorni di vita di un prigioniero del carcere di Bicêtre, destinato al patibolo. A tratti commovente, il romanzo di Hugo vuole portare come tesi contro la pena capitale proprio l’angoscia, la paura e l’impotenza del condannato stesso, rendendo il lettore partecipe della tortura dell’attesa…
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Il processo di Franz Kafka.
A Josef K., un giovane impiegato di banca che conduce una tranquilla vita borghese, viene notificato di essere in arresto per una colpa misteriosa. Il giovane cerca di difendersi, ma non riesce neppure a sapere di che cosa precisamente venga accusato.
Lenta ma inarrestabile, la macchina processuale invaderà a poco a poco tutta la sua esistenza finché, solo e abbandonato da tutti, Josef K. accetterà di soccombere. Scritto nel 1925, capolavoro della letteratura europea, “Il processo” è forse il romanzo di Kafka che meglio descrive l’angosciosa condizione dell’uomo in una società divenuta ormai troppo complessa, vissuta come un meccanismo implacabile e fine a se stesso, minacciosa e indifferente a qualsiasi autentico valore.
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Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria.
Pubblicato per la prima volta nel 1764, nelle intenzioni di Beccaria questo scritto avrebbe dovuto dare inizio a una nuova era, sciogliendo una volta per sempre il diritto dalla violenza, la legge dall’arbitrio, la giustizia dal privilegio.
Il libro riscosse, già ai tempi, un enorme successo in Italia e in Europa, e suscitò vive polemiche, rifacendosi alle idee umanitarie dell’illuminismo francese. La giustizia è il vincolo necessario a tenere insieme una società e tutte le pene che oltrepassano questo vincolo sono, per loro stessa natura, ingiuste. È questo principio semplice e rivoluzionario ad animare il più celebre trattato dell’Illuminismo italiano: pagine che tuonano contro la pena di morte, la tortura, l’oscurità delle leggi, la confusione tra reati e peccati.
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La ghigliottina. Riflessioni sulla pena di morte di Albert Camus.
È del 1766 il discorso dell’avvocato generale al Parlamento di Grenoble, Servan: «Drizzate le forche, accendete i roghi, portate il colpevole nelle pubbliche piazze, chiamatevi il popolo a gran voce: voi l’intenderete allora applaudire alla proclamazione dei vostri giudizi, come a quella della pace e della libertà: voi lo vedrete accorrere a questi terribili spettacoli come al trionfo della legge».
Alla perorazione dell’avvocato, ripresa in seguito nei fatti e nel tono dal Terrore rivoluzionario, Albert Camus contrappone l’appello all’Europa: «Senza la pena di morte Gabriel Péri e Brasillach sarebbero forse ancora tra noi, e noi potremmo emettere senza vergogna un giudizio su di loro, secondo la nostra opinione, mentre invece sono essi che ora ci giudicano, e noi dobbiamo tacere». Sì, per il grande scrittore francese i condannati a morte ci giudicano, loro che già sono stati giudicati da una giustizia che si vuole definitiva e risarcitoria, senza comprendere che la simmetria degli omicidi annulla la possibilità stessa del risarcimento e della necessaria prevenzione dei delitti. La pena di morte non scoraggia gli assassini, si limita a moltiplicarli. A tal punto che «non è più la società umana e spontanea che esercita il suo diritto alla repressione, ma l’ideologia che, regnando, esige i suoi sacrifici umani». Un testo, quello di Camus, la cui attualità è vivissima, oggi che l’erogazione della morte per mano del boia è del tutto scomparsa in Europa ma rimane ancora nella piena disponibilità di Stati e comunità nei quali l’irriducibilità della vita umana sembra perdere il valore che aveva acquistato subito dopo l’immensa carneficina delle guerre mondiali.
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La pena di morte. Le contraddizioni del sistema penale americano di Franklin E. Zimring.
Dal 1976 più di mille persone sono state giustiziate negli Stati Uniti e più di tremila attendono l’esecuzione nei bracci della morte. Come possono convivere, se non schizofrenicamente, la cultura ipergarantista del giusto processo e quella della pena capitale?
In questo volume Zimring, uno dei più noti penalisti americani, indaga sulle radici storiche e culturali di uno degli aspetti più inquietanti del sistema penale americano. Da un’ampia e appassionata ricerca condotta sul campo emerge come, a partire dagli ultimi 20 anni, la pena di morte non sarebbe più vissuta e percepita come un legittimo atto punitivo dello Stato, bensì come un servizio a conforto delle vittime del reato. Non a caso essa è più reclamata e praticata proprio negli stati americani del sud dove più forte è la cultura della giustizia privata, figlia dell’antica pratica del linciaggio, e più ricorrente l’utilizzo dei vigilantes. Se questo è davvero il fondamento della pena capitale, è anche l’argomento più forte per abolirla.
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Confessioni di un boia di Henri E. Marquand.
Volete passare una serata con un boia? Sapere che cosa succedeva davvero sui patiboli e come si comportarono davanti alla ghigliottina alcuni personaggi famosi della storia? Allora questo è il libro per voi.
Lo ha scritto nel 1875 un giornalista francese, Henri E. Marquand, amico di Victor Hugo e animatore, assieme a lui, di una campagna per l’abolizione della pena di morte. Seguendo il pensiero di Cesare Beccaria, essi la ritenevano non solo inumana ma soprattutto inefficace come deterrente per i criminali. Per documentarsi sugli orrori delle esecuzioni capitali (spesso precedute da torture e supplizi ferocissimi), Marquand ha intervistato Henri Sanson, penultimo boia di Parigi. E Sanson aveva molti ricordi da raccontare…
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Osservazioni sulla tortura di Pietro Verri.
Requisitoria appassionata, il “libro dell’orrore” costruito da Pietro Verri raccoglie le testimonianze documentarie del processo agli untori del 1630, uno dei casi più crudeli della storia del diritto, lo stesso poi ripreso nella “Storia della colonna infame” di Manzoni. In appendice, l’Orazione panegirica sulla giurisprudenza milanese (1763) e le sezioni tratte dal testo di Beccaria e da “Su l’abolizione della tortura” di Joseph von Sonnenfels (1775) attestano la centralità del dibattito sulla tortura nell’Europa dei Lumi.
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Il diritto di uccidere. L’enigma della pena di morte di P. Costa.
Perché un altro libro sulla pena di morte? La prima risposta è dettata dalle “cose stesse”: il dibattito politico-giuridico contemporaneo ha dato un crescente rilievo al problema della pena di morte. È un dibattito che ha investito singole nazioni, ma si è sviluppato soprattutto nelle sedi internazionali.
Chiunque scorra l’agenda delle questioni agitate nell’arena internazionale si imbatte nella pena di morte. È con la natura enigmatica della pena di morte che tutti i saggi presentati in questo volume si misurano: una pena antichissima e ancora attuale; una pena che affonda le radici nei momenti più arcaici della nostra storia e tuttavia continua a essere proposta come un indispensabile strumento di salvaguardia dell’ordine; una pena che ha attraversato l’intera storia dell’Occidente, ma è stata ed è altrettanto nota e applicata all’interno di culture lontanissime dalla nostra. L’obiettivo del libro tuttavia non è offrire un’informazione dettagliata sul presente e sul passato della pena di morte. Gli autori tentano di interrogarsi sulle radici del fenomeno e soprattutto ambiscono a stimolare domande scomode e a mettere in discussione presunte certezze.
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La pena di morte nella letteratura di Salvatore Cicenia.
Alla base del presente studio c’è l’idea che l’abolizione della pena di morte sia stata avvertita prima nel campo letterario e artistico e dopo sul piano della scienza giuridica, essendo la vita umana stata consegnata alla pietà degli uomini e solo successivamente affidata alla fredda logica formale.
Nella prima parte sono trattati alcuni aspetti giuridici e filosofici delle teorie della pena di morte e della sua abolizione, resi ancora più inquietanti dall’ansia civile di una lettera di Pietro Ingrao e da altre – inedite – di condannati, del braccio della morte. Nella seconda parte, anche nella necessaria prospettiva antropologica del problema, è analizzata la produzione letteraria di vari autori, come Hugo, Dostoevskij, Tolstoj, Camus e Sciascia. Così, il profilo dei personaggi, la descrizione delle emozioni e degli affetti più intensi della loro vita, fanno apparire l’assurdità della colpa e l’inesorabilità della pena come la strada che conduce all’abisso della disperazione.
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Riflessioni sulla pena di morte di Albert Camus.
Questo pamphlet nacque come saggio da pubblicare unitamente a uno scritto di Arthur Koestler, promotore di una campagna per l’abolizione della pena capitale nel Regno Unito, intitolato “Reflections on hanging”, che Manès Sperber aveva fatto tradurre in francese.
Pubblicato nel giugno e luglio 1957 sulla Nouvelle Revue Française, il testo di Camus non rappresenta soltanto un testamento morale lucidissimo ma anche le domande e i dubbi di un intellettuale di fronte a un tema cruciale che non cessa di essere d’attualità.
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Contro la pena di morte di Victor Hugo.
Non la difesa speciale di questo o quel condannato, ma un’arringa in nome di tutti i possibili accusati, presenti e futuri, innocenti e colpevoli, davanti a tutti i pretori, tutte le corti, tutte le giustizie.
Hugo fece sentire la sua voce potente ogni volta che si trattò di strappare una vita al carnefice, all’assassino di Stato: i suoi scritti contro la pena di morte sono accesi da uno spirito romantico che lacera ancora oggi le coscienze, gettando fino a noi le proteste della verità e dell’umanità contro la barbarie.
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L’ appello di John Grisham.
Greenville, Mississippi, 1967. Una bomba devasta gli uffici di un avvocato impegnato nella difesa dei diritti civili, uccidendo i suoi due figli.
Nessuno sembra dubitare della colpevolezza di Sam Cayhall, noto membro del locale Ku Klux Klan. Vent’anni dopo, a Chicago, Sam Cayhall è ancora chiuso nel braccio della morte” e ha esaurito le possibilità di appello. Adam Hall, giovane avvocato di un grande studio legale, chiede espressamente di essere assegnato a quel caso per ottenere la sospensione della pena. Perché? Che cosa lo spinge a difendere un uomo la cui colpevolezza nessuno ha mai messo in discussione?
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Il miglio verde di Stephen King.
Nel penitenziario di Cold Mountain, lungo lo stretto corridoio di celle noto come “Il Miglio verde”, i detenuti come lo psicopatico “Billy the Kid” Wharton o il demoniaco Eduard Delacroix aspettano di morire sulla sedia elettrica, sorvegliati a vista dalle guardie. Ma nessuno riesce a decifrare l’enigmatico sguardo di John Coffey, un nero gigantesco condannato a morte per aver violentato e ucciso due bambine. Coffey è un mostro dalle sembianze umane o un essere in qualche modo diverso da tutti gli altri?
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