Una Sirena a Settembre è un romanzo scritto da Maurizio de Giovanni, pubblicato da Einaudi, il 6 luglio 2021. La quinta avventura in giallo con protagonista Mina Settembre, l’irresistibile assistente sociale del Consultorio Quartieri Spagnoli Ovest, che questa volta affronta una doppia sfida. Nella città della Sirena le cose non sono mai come sembrano.
“Una delle croci che la dottoressa Settembre Gelsomina doveva trasportare in cima al monte era senz’altro il tragitto per arrivare al Consultorio Quartieri Spagnoli Ovest, dove impavida e sprezzante del pericolo prestava il proprio servizio in qualità di assistente sociale. Il motivo principale era che non aveva le physique du rôle. La realtà era che Mina aveva un’anima e una mente rinchiuse, per un qualche errore di fabbrica o per la divertita perfidia del Celeste Architetto, nell’involucro sbagliato. Passione civile, istanze sociali, un senso della giustizia che rasentava l’ossessione, una determinazione feroce a osteggiare qualsiasi sopruso; e un corpo e un viso di fronte ai quali si scatenavano i più bassi istinti, e che non accennavano, nonostante il passare degli anni, a sottostare alla legge di gravità.”
Accadono due fatti. Due fatti che appaiono chiari, eppure a Mina i conti non tornano. Un’anziana viene scippata, cade e finisce in coma. Sin qui nulla di strano, purtroppo; è la soluzione del caso, il modo in cui arriva, a non convincere. E convince poco pure il secondo episodio, una scena di povertà estrema mandata in onda da una televisione locale: un bambino che si contende del cibo con un cane fra montagne di spazzatura. No, a Mina i conti non tornano proprio. Cosí, con l’aiuto dell’innamoratissimo Mimmo Gammardella, il ginecologo piú bello dell’universo, e a dispetto del suo caustico ex marito, il magistrato Claudio De Carolis, decide di indagare. Solo che deve stare attenta, perché di mezzo, in questa vicenda, ci sono parecchie sirene, e le sirene, si sa, incantano. Per fortuna, a far da guida tra inganni e malintesi, c’è la Signora, straordinario personaggio che attraversa tutto il romanzo, una delle invenzioni più poetiche nate dalla fantasia d’autore.
“Le vite delle persone, giovino’, e quindi le storie, sono fatte di connessioni. È come se questo quartiere, con tutta questa gente, e la città con tutta questa gente e il mondo intero con tutta la gente che c’è fossero un unico, immenso arcipelago di isole che però sono disancorate, si possono muovere, senza ponti, alla deriva, e ogni tanto due vengono a contatto e qualcuno si sposta da un’isola all’altra. Ti piace, questa immagine? Bella, eh? Me la devo ricordare”.
Un dialogo tra la Signora e uno scrittore sconosciuto, forse si mette proprio l’autore a mediare la storia tra questa Signora e noi lettori e ci guidano avvenimento dopo avvenimento lungo il telaio narrativo. Adoro De Giovanni e leggere delle recensioni negative mi disturba parecchio, fortunatamente sono veramente poche rispetto ai tanti apprezzamenti ricevuti. Non resta che leggerlo.
Trovate un approfondimento sulla serie in questo post: Mina Settembre, dai libri alla serie TV
I.
Se volete una storia, dovete andare dalla Signora.
Arrivarci non è banale. La Signora sta alla fine di un vicolo privo di uscita, in cima ai Quartieri Spagnoli; l’imboccatura della stradina è nascosta fra due sporgenze di antichi palazzi in rovina, cresciuti nel tempo – al pari delle costruzioni circostanti – come organismi viventi, una propaggine alla volta, un balcone qui e una finestra là, due muri e un’intercapedine man mano che servivano un ripostiglio, una stanzetta per la creatura o un po’ d’aria per mammà che sta poco bene, e che sarà mai.
Si passa a uno a uno e mettendosi pure di profilo, l’apertura è assai stretta e quasi invisibile, io per esempio ci sono passato davanti spesso senza accorgermene, continuando a controllare il foglietto sul quale mi avevano scritto le indicazioni.
In pochi lo sanno, ma i Quartieri Spagnoli sono molto piú vasti di quanto dicano il dedalo di viuzze sconnesse e l’impressione angusta che ne deriva. In realtà, se li prendi per il verso giusto, i Quartieri sono una vigliacca, impervia salita e non a caso i vicoli hanno nomi che rendono l’idea alla perfezione: Montecalvario, per esempio; o Magnocavallo, in memoria degli animali stramazzati portando il proprio carico. E allora, perché sarebbe il verso giusto se la salita è cosí faticosa?
Semplice: perché la discesa è facile e ti distrae. In discesa i piedi vanno da soli, la mente è libera e ossigenata e si fa prendere da colori e odori, dai sorrisi delle belle fanciulle e dalla musica che viene dai bassi. Non va bene. Non ti concentri. Serve la fatica, e serve il vicolo senza uscita della Signora. A trovarlo, è ovvio.
Per reperire l’ingresso è necessaria una determinata ora, perché il sole crei una striscia d’ombra incongruente con una parete continua. I due muri sono cioè cosí compatibili fra loro da sembrare uno soltanto, e quindi che ci fa una striscia d’ombra in mezzo? Certo, bisogna fare un ragionamento: ma se si cerca qualcosa si è portati appunto a riflettere, specie se il fiato è spezzato dalla salita e tutto rende inclini a fermarsi un attimo. La radice della speculazione è la pigrizia, si sa.
Una volta entrati di traverso e con qualche difficoltà, l’ambiente è davvero notevole.
Prima di tutto, si notano il silenzio e il fresco. Per qualche oscura ragione, le alte pareti in tufo trattengono la cacofonia perenne all’esterno e restituiscono di sera il sole, e di giorno le tenebre, cosí da fornire un perenne pomeriggio di primavera, quale che sia la stagione. E in fondo, una magnolia spontanea si inchina dalle pietre in avanti, come una naturale tettoia protettiva di foglie larghe e scure, e fiori bianchi o germogli. Nemmeno con un drone, viene da pensare, si potrebbe vedere niente di quello che succede qui.
Ma tanto non succede nulla, qui, o quasi. C’è solo una porta che dà in un basso di cui non si vede l’interno, buio com’è. E una sedia. Dove sta la Signora.
Dovete sapere che la Signora non sarà sorpresa di vedervi. Che non è accogliente né respingente, non sarà infastidita né si mostrerà contenta dell’inaspettata compagnia. Che vi prenderà come un fatto della vita, perché ne ha viste cosí tante che tutto potrà succederle tranne che restare sorpresa. E per qualche motivo strano, mai vi capiterà di trovarvi lí con qualcuno, né di vedere qualcun altro infilare la testa nel vicolo tronco, o affacciarsi dalla porta del basso all’esterno del quale la Signora siede.
Eppure una famiglia la Signora deve pur averla, perché a qualsiasi ora di qualsiasi giorno dell’anno andiate da lei, la troverete nella stessa posizione e con le mani impegnate: una volta starà sbucciando patate, un’altra starà schiacciando pomodori, un’altra ancora starà tagliando melanzane o ripiegando calzini, in quantitativi industriali, gesti rapidi e precisi, un grembiule lungo fino a terra e due bacinelle ai lati, in una il prodotto grezzo e nell’altra quello finito, e qualcuno dovrà pur essere destinatario di quella roba. Qualcuno dovrà pure mangiarla o indossarla, o fruire di tutto quel lavoro.
E lei stessa, la Signora, è notevole e insieme ordinaria, come ogni cosa nei Quartieri Spagnoli, nuova e viva e perenne, modernissima e antica. Ha il viso in penombra, e vi si intravedono le rughe profonde: ma la voce, la voce è limpida e piena di emozione, imita toni e accenti ed espressioni, sembra di vedere un film o di assistere a uno spettacolo teatrale con tanti personaggi. È grassa, il ventre prominente preme sotto il grembiule, le mani sono agili e nervose e non smettono di fare ciò che stanno facendo mentre lei racconta.
Perché dovete sapere che la Signora racconta. Voi arrivate, prendete posto su una pietra piatta, un blocco di tufo che pare sorgere dal suolo quasi fosse una pianta fossile, e lei comincia a parlare. E quando uscirete frastornati dal vicolo, convinti di essere stati lí pochi minuti, sarà invece sera o sarà mattina, il contrario dell’ora in cui siete arrivati. Si muovono un sacco di magie, attorno alla Signora.
Adesso sta spezzando ziti, la lunga pasta di grano duro tubolare che serve per il ragú o per la genovese, formato raro e tipico. Le mani sottili devono essere forti, perché con precisione e senza apparente sforzo dividono ogni zito in tre pezzi, un terzo un terzo un terzo, e i frammenti vanno nella bacinella di destra pronti per chissà quale delizia. Dopo nemmeno un minuto, la Signora dice: gli antefatti.
Sono importanti, gli antefatti. Perché se non si determina una situazione, che storia si può mai narrare? Certo, gli antefatti non sono già la storia, ma mica devono essere noiosi per forza, no?
Magari anche gli antefatti possono essere interessanti, giacché ci raccontano gli attori che vedremo sul palcoscenico.
E tante storie che in apparenza non si sfiorano nemmeno, tante donne e uomini e vecchi e ragazzi che non si conoscono o che non sanno di conoscersi, alla fine si scopre che sono dettagli dello stesso quadro, che appartengono alla stessa recita.
I Quartieri Spagnoli sono cosí, dice la Signora. Un groviglio di strade, ognuna va a finire in qualche altra, ma mica un vicolo lo sa che, attraverso una curva o un arco, attraverso un portone o un altro vicolo, può portare in tutte le direzioni. Per questo sono importanti, gli antefatti. Se uno non sa da dove sta venendo, come lo capisce dove deve andare?Prendiamo la Sirena, per esempio.
La sapete, voi, la storia della Sirena?
Altri libri della serie:
2013 – Un giorno di Settembre a Natale (un racconto contenuto nell’antologia Regalo di Natale)
2014 – Un telegramma da Settembre (un racconto contenuto nell’antologia La scuola in giallo)
2019 – Dodici rose a Settembre (romanzo)
2020 – Troppo freddo per Settembre (un romanzo)
2021 – Una sirena a settembre (romanzo)