Una vita nuova è il un romanzo di Fabio Volo, pubblicato il 2 novembre 2021, da Mondadori. Il viaggio lungo, dal Nord al Sud Italia, di Paolo per recuperare una vecchia auto sportiva appartenuta a suo padre.
“Quando eravamo bambini, mio padre era sempre presente, fisicamente. Non ricordo una cena in cui non fosse seduto al suo posto. In realtà si portava dietro un senso di estraneità a tutti, come se fosse sempre un passo indietro, distante.
Ogni volta che mi voltavo verso di lui, non trovavo mai il suo sguardo.
Ma quando mi portava con sé sulla spider era felicità pura, intensa.
Mi bastava guardare quelle foto per sentirla tutta di nuovo, intatta come allora.”
Due amici su un’auto rossa attraversano l’Italia: musica da cantare, il vento tra i capelli, la mano fuori dal finestrino a giocare con l’aria. Hanno una quarantina d’anni e una vita incagliata. Andrea aspetta un verdetto da cui dipende la sua vita sentimentale. Paolo è in crisi: di coppia, di identità, di mezza età. O forse è solamente bisogno di leggerezza. L’auto su cui viaggiano è una vecchia Fiat 850 spider. Il padre di Paolo l’aveva dovuta vendere per far spazio alla famiglia, e ancora la rimpiange. Così Paolo ha deciso di recuperarla e fargli una sorpresa. Mentre risalgono dalla Puglia a Milano, Paolo e Andrea parlano tra loro con la spietatezza che ci si può concedere solo fra amici: l’amore, il lavoro, i genitori… E quelli che sembravano problemi insolubili si sgonfiano alla luce di una leggera ironia. Sarà un viaggio pieno di divertentissimi imprevisti e di scoperte, delle bellezze che a volte non si vedono mentre siamo concentrati a fare quello che gli altri si aspettano da noi. Un viaggio che condurrà Paolo dal dovere al volere, dal pensare al sentire, dal pudore alla tenerezza.
“Un figlio non fa ciò che il padre e la madre dicono, ma ciò che vede, ciò di cui è testimone nei loro comportamenti. Se un genitore testimonia la felicità, il figlio la desidera e cerca la sua strada per raggiungerla. Se invece un genitore testimonia che essere felici è impossibile e che accontentarsi è l’unica soluzione, il figlio vivrà secondo quella regola. Non esistono figli tristi di genitori felici. La tristezza di un figlio non appartiene a lui, non è sua ma è di suo padre o di sua madre. O di tutti e due”
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«Paolo, domani mattina posso venire da te a farmi una sega?»
Sono rimasto in silenzio.
«Ho l’esame dello sperma e devo tassativamente consegnarlo entro quaranta minuti dalla…»
«E allora?»
Rientravo dal lavoro, avevo avuto una giornata complicata e non ci tenevo a sapere tutti i dettagli.
«Non mi va di masturbarmi in una stanzetta asettica e triste, ma da casa mia alla clinica ci vuole almeno un’ora, e i miei poveri spermatozoi morirebbero in auto, una strage che non mi sento di affrontare. Invece tu sei praticamente attaccato.»
Il fatto che per Andrea fosse del tutto normale masturbarsi in casa mia mi metteva a disagio. Fosse stata la casa dove abitavo da ragazzo lo avrei capito, ma con una moglie e un figlio di sei anni era diverso.
Da mesi lui e Marina stavano cercando di avere un bambino.
«Forse il problema sono io» ha detto prima di esplodere in una risata nervosa.
Ho capito in quel momento quanto la cosa fosse seria per lui.
«Che ironia se fossi sterile. Una vita di spaventi e salti del giaguaro all’ultimo secondo.»
Quando avevamo poco più di vent’anni, era finito con una nel parcheggio dell’Altaluna, una discoteca dove andavamo sempre. Dopo un paio di settimane, lei lo aveva cercato: era in ritardo di dieci giorni. Andrea era venuto di corsa a citofonarmi, la faccia bianca come un lenzuolo, gli occhi spiritati, non lo avevo mai visto così.
Si era seduto sul mio letto e con le mani sulla faccia diceva: «Di solito è precisa e puntuale come un orologio svizzero, capisci? Un orologio svizzero. Sono un uomo morto. La mia vita è finita. È un orologio svizzero, cazzo, un orologio svizzero e adesso invece non le vengono da dieci giorni».
Continuava a ripetere quella cosa dell’orologio svizzero, rido ogni volta che ci penso.
«Ok, domattina da me, sono contento di darti una mano» gli ho detto alla fine, quando ormai ero arrivato e mi guardavo in giro per cercare un parcheggio.
«Mi basta la casa, per la mano faccio da solo.»
Ho riso.
Appena dentro, Tommaso mi è venuto incontro. Avrei voluto prenderlo in braccio, lanciarlo sul divano e giocare alla lotta, poi ho pensato ad Alice, a quando mi chiede di non farlo perché altrimenti lo agito e dopo lei ci mette un secolo a addormentarlo.
In realtà ho sempre pensato che ci fosse dell’altro: le pesa dover essere quella che gli dice i “no”, mentre io mi prendo il ruolo del supereroe, con cui si gioca, si scherza e si può fare tutto, anche saltare sul divano.
Per la storia dei “no” discutiamo spesso, con Tommaso mi vorrebbe più autoritario e meno complice.
Mentre caricava la lavastoviglie, ho accennato al fatto che la mattina seguente Andrea sarebbe passato per fare colazione. Volevo dirle la verità, poi all’ultimo istintivamente ho mentito, m’imbarazzava spiegarle il motivo vero.
Subito ha ribattuto che la settimana dopo sarebbe andata dai suoi qualche giorno e avrebbe portato Tommaso, facendogli perdere la scuola. È stato come pareggiare un conto: l’invasione mattutina di Andrea per tre giorni di assenza di Tommaso, senza nemmeno consultarmi. Eravamo dentro una crisi profonda e ogni cosa era territorio di trattative, baratti, ripicche.
La sera, quando mi sono sdraiato nel letto, Alice già dormiva. Mi sono chiesto chi fosse e cosa provassi ancora per lei.
Poi mi sono ricordato di Andrea, che nel giro di poche ore sarebbe venuto a masturbarsi da noi.
Da ragazzini eravamo finiti a una festa a casa di un compagno. Andrea era andato in bagno, sulla maniglia della porta erano appese delle mutande femminili. Non aveva resistito, le aveva prese e annusate. Mentre se le teneva sotto il naso, aveva iniziato a masturbarsi.
La madre era entrata all’improvviso e se l’era ritrovato di fronte. L’aveva subito cacciato dalla festa, e me con lui.
Mentre per strada gli ripetevo che era un idiota, si era fermato e mi aveva detto: «Paolo, forse non hai capito. Le mutande non erano fresche di bucato, erano usate. Che cazzo potevo farci?».
Ero scoppiato a ridere.
Prima di addormentarmi, sono andato in bagno a togliere dal cesto la biancheria sporca di Alice.