Sono state selezionate la 12 opere finaliste in gara per il Premio Strega 2022 tra i 74 libri di narrativa segnalati dagli Amici della domenica, la storica giuria del premio, pubblicati in Italia tra l’1 marzo 2021 e il 28 febbraio dell’anno in corso.
Il Premio Strega è un riconoscimento che viene assegnato annualmente a un libro pubblicato in Italia tra il 1º marzo dell’anno precedente ed il 28 febbraio dell’anno in corso, nato nel 1947 all’interno del salotto letterario di Maria e Goffredo Bellonci con il contributo di Guido Alberti, proprietario dell’omonima casa produttrice del Liquore Strega, al quale il premio è intitolato e che ancora sponsorizza la manifestazione. Dal 1986 è organizzato e gestito dalla Fondazione Bellonci. La scelta del vincitore viene affidata ad un gruppo di 400 uomini e donne di cultura, tra cui gli ex vincitori, coloro che compongono la giuria sono chiamati Amici della Domenica.
La cinquina sarà decisa l’8 giugno, la proclamazione del vincitore avverrà l’ 7 luglio.
Conosciamo le 12 opere finaliste del Premio strega 2022:
Randagi di Marco Amerighi (Bollati Boringhieri), presentato da Silvia Ballestra.
A Pisa, in un appartamento zeppo di quadri e strumenti musicali affacciato sulla Torre pendente, Pietro Benati aspetta di scomparire. A quanto dice sua madre, sulla loro famiglia grava una maledizione: prima o poi tutti i Benati maschi tagliano la corda e Pietro – ultimogenito fifone e senza qualità – non farà eccezione. Il primo era stato il nonno, disperso durante la guerra in Etiopia e rimpatriato l’anno dopo con disonore. Il secondo, nel 1988, quello scommettitore incallito del padre, Berto, tornato a casa dopo un mese senza il mignolo della mano destra. Quando uno scandalo travolge la famiglia, Pietro si convince che il suo turno è alle porte. Invece a svanire nel nulla è suo fratello maggiore Tommaso, promessa del calcio, genio della matematica e unico punto di riferimento di Pietro; a cui invece, ancora una volta, non accade un bel niente. Per quanto impegno metta nella carriera musicale, nell’università o con le ragazze, per quanto cambi città e nazione, per quanto cerchi di tagliare i ponti con quel truffatore del padre o quella ipocondriaca della madre, la sua vita resta un indecifrabile susseguirsi di fallimenti e delusioni. Almeno finché non incontra due creature raminghe e confuse come lui: Laurent, un gigolò con il pallino delle nuotate notturne e l’alcol, e Dora, un’appassionata di film horror con un dolore opposto al suo. E, accanto a loro, finalmente Pietro si accende. Con una trama ricca di personaggi sgangherati e commoventi, e una voce in grado di rinnovare linguaggi e stili senza rinunciare al calore della tradizione, “Randagi” è un romanzo sulla giovinezza e su quei fragilissimi legami nati per caso che nascondono il potere di cambiare le nostre vite. Un affresco che restituisce tutta la complessità di una generazione: ferita, delusa e sradicata dal mondo, ma non ancora disposta a darsi per vinta.
Nova di Fabio Bacà (Adelphi), presentato da Diego De Silva.
Del cervello umano, Davide sa quanto ha imparato all’università, e usa nel suo mestiere di neurochirurgo. Finora gli è bastato a neutralizzare i fastidiosi rumori di fondo e le modeste minacce della vita non elettrizzante che conduce nella Lucca suburbana: l’estremismo vegano di sua moglie, ad esempio, o l’inspiegabile atterraggio in giardino di un boomerang aborigeno in arrivo dal nulla. Ma in quei suoni familiari e sedati si nasconde una vibrazione più sinistra, che all’improvviso un pretesto qualsiasi – una discussione al semaforo, una bega di decibel con un vicino di casa – rischia di rendere insopportabile. È quello che tenta di far capire a Davide il suo nuovo, enigmatico maestro, Diego: a contare, e spesso a esplodere nel modo più feroce, è quanto del cervello, qualunque cosa sia, non si sa. O si preferisce non sapere.
Mordi e fuggi di Alessandro Bertante (Baldini+Castoldi), presentato da Luca Doninelli.
Milano, 1969. Università occupate, cortei, tensioni nelle fabbriche. Il 12 dicembre la strage di piazza Fontana. Alberto Boscolo ha vent’anni, viene da una famiglia normale, né ricca né povera, è iscritto alla Statale ma vuole di più. Vuole realizzare un proprio progetto politico. Deluso dall’inconcludenza del Movimento Studentesco, si avvicina a quello che di lì a poco sarà il nucleo delle Brigate Rosse. I mesi passano, Alberto partecipa alle azioni dimostrative, alle rapine di autofinanziamento e al primo attentato incendiario, ma il suo senso di insoddisfazione non si placa. Vuole agire sul serio. Il gruppo organizza il sequestro lampo di Idalgo Macchiarini, un dirigente della Sit-Siemens, e lo sottopone al primo processo proletario. «Mordi e fuggi », scrivono i brigatisti. La stampa batte la notizia; nei bar degli operai non si parla d’altro, le Brigate Rosse sono pronte ad alzare il livello dello scontro. In una metropoli nebbiosa, violenta e indimenticabile, Alessandro Bertante dà vita a una vicenda umana tumultuosa e vibrante, nella quale, intrecciando fiction e cronaca, vediamo scorrere i fatti cruciali che innescheranno la tragica stagione degli anni di piombo. Un romanzo che non cerca facili risposte ma che apre nuove domande su uno dei periodi più drammatici della recente storia italiana.
E poi saremo salvi di Alessandra Carati (Mondadori), presentato da Andrea Vitali.
Aida ha appena sei anni quando, con la madre, deve fuggire dal piccolo paese in cui è nata e cresciuta. In una notte infinita di buio, di ignoto e di terrore raggiunge il confine con l’Italia, dove incontra il padre. Insieme arrivano a Milano. Mentre i giorni scivolano uno sull’altro, Aida cerca di prendere le misure del nuovo universo. Crescere è ovunque difficile, e lei deve farlo all’improvviso, da sola, perché il trasloco coatto ha rovesciato anche la realtà dei suoi genitori. Nemmeno l’arrivo del fratellino Ibro sa rimettere in ordine le cose: la loro vita è sempre “altrove” – un altrove che la guerra ha ormai cancellato. Sotto la piena della nostalgia, la sua famiglia si consuma, chi sgretolato dalla rabbia, chi schiacciato dal peso di segreti insopportabili, chi ostaggio di un male inafferrabile. Aida capisce presto che per sopravvivere deve disegnarsi un nuovo orizzonte, anche a costo di un taglio delle radici. “E poi saremo salvi” è insieme un romanzo di formazione, una saga familiare, l’epopea di un popolo; ma è soprattutto il racconto di come una piccola, densa vicenda privata può allargarsi fino a riflettere la tensione umana alla “casa”, il posto del cuore in cui ci riconosciamo.
Spatriati di Mario Desiati (Einaudi), presentato da Alessandro Piperno.
Claudia è solitaria ma sicura di sé, stravagante, si veste da uomo. Francesco è acceso e frenato da una fede dogmatica e al tempo stesso incerta. Lei lo provoca: lo sai che tua madre e mio padre sono amanti? Ma negli occhi di quel ragazzo remissivo intravede una scintilla in cui si riconosce. Da quel momento non si lasciano più. A Claudia però la provincia sta stretta, fugge appena può, prima Londra, poi Milano e infine Berlino, la capitale europea della trasgressione; Francesco resta fermo e scava dentro di sé. Diventano adulti insieme, in un gioco simbiotico di allontanamento e rincorsa, in cui finiscono sempre per ritrovarsi. Mario Desiati mette in scena le mille complessità di una generazione irregolare, fluida, sradicata: la sua. Quella di chi oggi ha quarant’anni e non ha avuto paura di cercare lontano da casa il proprio posto nel mondo, di chi si è sentito davvero un cittadino d’Europa. Con una scrittura poetica ma urticante, capace di grande tenerezza, dopo “Candore” torna a raccontare le mille forme che può assumere il desiderio quando viene lasciato libero di manifestarsi. Senza timore di toccare le corde del romanticismo, senza pudore nell’indagare i dettagli più ruvidi dell’istinto e dei corpi, interroga il sesso e lo rivela per quello che è: una delle tante posture inventate dagli esseri umani per cercare di essere felici. «A volte si leggono romanzi solo per sapere che qualcuno ci è già passato». Claudia entra nella vita di Francesco in una mattina di sole, nell’atrio della scuola: è una folgorazione, la nascita di un desiderio tutto nuovo, che è soprattutto desiderio di vita. Cresceranno insieme, bisticciando come l’acqua e il fuoco, divergenti e inquieti. Lei spavalda, capelli rossi e cravatta, sempre in fuga, lui schivo ma bruciato dalla curiosità erotica. Sono due spatriati, irregolari, o semplicemente giovani. Un romanzo sull’appartenenza e l’accettazione di sé, sulle amicizie tenaci, su una generazione che ha guardato lontano per trovarsi.
Nina sull’argine di Veronica Galletta (minimum fax) presentato da Gianluca Lioni.
Caterina è al suo primo incarico importante: ingegnere responsabile dei lavori per la costruzione dell’argine di Spina, piccolo insediamento dell’alta pianura padana. Giovane, in un ambiente di soli uomini, si confronta con difficoltà di ogni sorta: ostacoli tecnici, proteste degli ambientalisti, responsabilità per la sicurezza degli operai. Giorno dopo giorno, tutto diventa cantiere: la sua vita sentimentale, il rapporto con la Sicilia terra d’origine, il suo ruolo all’interno dell’ufficio. A volte si sente svanire nella nebbia, come se anche il tempo diventasse scivoloso e non si potesse opporre nulla alla forza del fiume in piena. Alla ricerca di un posto dove stare, la prima ad avere bisogno di un argine è lei stessa. È tentata di abbandonare, dorme poco e male. Ma, piano piano, l’anonima umanità che la circonda – geometri, assessori, gruisti, vedove di operai – acquista un volto. Così l’argine viene realizzato, in un movimento continuo di stagioni e paesaggi, fino al giorno del collaudo, quando Caterina, dopo una notte in cui fa i conti con tutti i suoi fantasmi, si congeda da quel mondo. Con una lingua modellata sull’esperienza, Veronica Galletta ha scritto un apologo sulla vulnerabilità che si inserisce in un’ampia tradizione di letteratura sul lavoro, declinandola in maniera personale.
Divorzio di velluto di Jana Karšaiová (Feltrinelli), presentato da Gad Lerner.
Come si sopravvive allo strappo, alla perdita delle radici? Cosa resta, come ci si inventa di nuovo? Katarína torna da Praga a Bratislava per trascorrere il Natale insieme alla famiglia. Alle vecchie incomprensioni con la madre, si aggiunge la difficoltà di giustificare l’assenza del marito Eugen. Ma in quei pochi giorni ritrova anche le vecchie compagne di università, soprattutto Viera, che si è trasferita in Italia grazie a una borsa di studio e torna sempre più malvolentieri in Slovacchia. Le due amiche si riavvicinano, si raccontano l’un l’altra gli strappi, le ferite – Viera con Barbara, che era stata la loro insegnante di italiano, Katarína con Eugen, che l’ha abbandonata due mesi prima con un biglietto sul tavolo della cucina. Katarína ripercorre il rapporto con lui, dal primo incontro al matrimonio forse troppo precoce, con le tante difficoltà di integrarsi a Praga, fino al dolore, di cui ancora non riesce a parlare. E tra i ricordi emergono frammenti della vita a Bratislava sotto il governo comunista: l’abolizione delle festività cattoliche, la censura, le code per la carne e per qualsiasi cosa. Con “divorzio di velluto” si intende la separazione tra Slovacchia e Repubblica Ceca, che nel romanzo riverbera quelle tra Katarína e il marito Eugen, tra Viera e un paese per lei troppo stretto… È una storia di assenze che pesano, di tradimenti, di desideri temuti e mai pronunciati, di strappi che chiedono nuove risorse per essere ricomposti, di sradicamento e di rinascita – una ricerca di sé della protagonista e del suo paese, entrambi orfani di un passato solido.
Il cannocchiale del tenente Dumont di Marino Magliani (L’Orma), presentato da Giuseppe Conte.
Estate 1800. Tre soldati napoleonici stanchi della guerra. Alle loro spalle la campagna d’Egitto e i suoi inferni, leniti appena dalla scoperta di una nuova, dolce droga: l’hascisc. Travolti dalla baraonda di Marengo – «la battaglia che alle cinque era persa e alle sette era vinta» –, disertano e si danno alla macchia. Sulle tracce dei tre si mettono gli emissari del dottor Zomer, un medico olandese che ha orchestrato un singolare «esperimento sanitario» per indagare gli effetti della nuova sostanza. Smarriti in un paesaggio ligure che pullula di spie e uniformi ormai tutte indistintamente nemiche, Lemoine, Dumont e Urruti – un capitano erudito, un tenente sognatore e un rude soldato basco – incontrano sulla propria strada amori difficili, illusioni perdute e la gioia del sole. Scopriranno così la libertà di scrollarsi di dosso la Storia per inseguire una vita fatta di attimi e di scelte. Forte di una prosa di precisa bellezza, Marino Magliani dirige una narrazione mossa e visionaria, alternando la velocità della grande avventura all’ampio respiro della pittura di paesaggio.
Storia aperta di Davide Orecchio (Bompiani), presentato da Martina Testa.
“Chi siamo noi?”, ci chiediamo all’inizio di questo romanzo. “Noi siamo ignoranti. Noi siamo, in miliardi di pixel, gli eredi”, coloro che vivono ormai fuori della linearità storica, dove il solo modo per capire i nostri padri è studiare. Così, in principio c’è un padre bambino, appena nato e già pronto ad affrontare il Novecento perché è un “bambino diacronico”, “creatura della durata”. Grazie alle parole che ha scritto – perché i bambini diacronici hanno lasciato montagne di parole, con le loro grafie sghembe, i loro dattiloscritti, telegrammi, articoli, faldoni – possiamo seguirne i passi attraverso il secolo breve, che non lo è stato affatto per chi come lui lo ha vissuto in ogni suo palpito. L’educazione fascista, l’amore con Michela, l’Etiopia, il fronte greco-albanese; la consapevolezza, l’adesione al comunismo, la Resistenza; la militanza politica che assorbe ogni altra vocazione, anche quella di padre, di scrittore; il terrorismo, poi il destino del partito, le verità, la perdita di identità; la vecchiaia come un “brodo sugli occhi” attraverso cui cercare di credere ancora. Questa la sorte di Pietro Migliorisi, protagonista di “Storia aperta” ed eteronimo di tanti uomini e donne della sua generazione: Davide Orecchio li riporta in vita attraverso una vertiginosa tessitura delle proprie parole e di quelle (in larghissima parte inedite) lasciate dal padre Alfredo Orecchio, insieme ai testi di molti comprimari, di cui nella Nota finale è offerto un toccante catalogo. In queste pagine avviene una moderna nékyia, la rievocazione di coloro che vissero in un tempo altro, nel quale splendeva il sole dell’avvenire, e si compie l’impresa di un romanzo in cui la polvere di tante voci ne compone una sola. Davide Orecchio insegue il mistero di un padre sconosciuto, ne indaga le traiettorie possibili, si impone un ferreo rigore documentario ma al tempo stesso permette alla fantasia di colmare lacune, sognare destini. Nel silenzio del passato, nel buio dell’inchiostro, cerca la luce.
Quel maledetto Vronskij di Claudio Piersanti (Rizzoli), presentato da Renata Colorni.
La storia di un uomo che non crede alla fine di un amore. Un romanzo di ossessioni, tenacia e tenerezza. “Perdonami, sono tanto stanca. Non mi cercare”. Solo questo lascia scritto Giulia, prima di scomparire nel nulla. E suo marito Giovanni, nella casa improvvisamente vuota, si sente un naufrago. Il loro è un amore fatto di cose minime: la colazione al mattino, con le fette imburrate e la marmellata; un bacio volante prima di andare al lavoro e un altro più lungo la sera, quando lui torna dalla tipografia con le dita sporche d’inchiostro; abbracciarsi in giardino, tra le rose che lei ha potato con cura. Dopo una vita insieme, non hanno ancora perso la voglia di farsi felici l’un l’altra. O almeno, così credeva lui. Adesso Giovanni, in cerca di risposte, guarda tra i libri di Giulia e dagli scaffali pesca il più voluminoso: Anna Karenina. Comincia a leggere. E si convince che sua moglie abbia trovato un altro uomo, un amante focoso, un maledetto Vronskij. Geloso e amareggiato, si chiude in tipografia, deciso a creare una copia unica del capolavoro di Tolstoj: carta pregiata, copertina in pelle, nella speranza, un giorno, di farne il suo ultimo pegno d’amore per Giulia. Ma la vita non è un romanzo, procede per strappi lievi e imprevedibili. Quando il mistero della scomparsa si svela, Giovanni capisce che c’è sempre qualcosa che ci sfugge, e tutto ciò che possiamo fare è smettere di averne paura.
Niente di vero di Veronica Raimo (Einaudi), presentato da Domenico Procacci.
La lingua batte dove il dente duole, e il dente che duole alla fin fine è sempre lo stesso. L’unica rivoluzione possibile è smettere di piangerci su. In questo romanzo esilarante e feroce, Veronica Raimo apre una strada nuova. Racconta del sesso, dei legami, delle perdite, del diventare grandi, e nella sua voce buffa, caustica, disincantata esplode il ritratto finalmente sincero e libero di una giovane donna di oggi. “Niente di vero” è la scommessa riuscita, rarissima, di curare le ferite ridendo. «All’inizio c’è la famiglia. Veronica Raimo racconta che, specialmente se si è figlie, quell’inizio combacia con la fine» (Domenico Starnone). «Leggere questo romanzo è una festa. Ma molte pagine sono ferite da medusa: bruciano alla distanza» (Claudia Durastanti). Prendete lo spirito dissacrante che trasforma nevrosi, sesso e disastri famigliari in commedia, da Fleabag al Lamento di Portnoy, aggiungete l’uso spietato che Annie Ernaux fa dei ricordi: avrete la voce di una scrittrice che in Italia ancora non c’era. Veronica Raimo sabota dall’interno il romanzo di formazione. Il suo racconto procede in modo libero, seminando sassolini indimenticabili sulla strada. All’origine ci sono una madre onnipresente che riconosce come unico principio morale la propria ansia; un padre pieno di ossessioni igieniche e architettoniche che condanna i figli a fare presto i conti con la noia; un fratello genio precoce, centro di tutte le attenzioni. Circondata da questa congrega di famigliari difettosi, Veronica scopre l’impostura per inventare se stessa. Se la memoria è una sabotatrice sopraffina e la scrittura, come il ricordo, rischia di falsare allegramente la tua identità, allora il comico è una precisa scelta letteraria, il grimaldello per aprire all’indicibile. In questa storia all’apparenza intima, c’è il racconto precisissimo di certi cortocircuiti emotivi, di quell’energia paralizzante che può essere la famiglia, dell’impresa sempre incerta che è il diventare donna. Con una prosa nervosa, pungente, dall’intelligenza sempre inquieta, Veronica Raimo ci regala un monologo ustionante.
Stradario aggiornato di tutti i miei baci di Daniela Ranieri (Ponte alle Grazie), presentato da Loredana Lipperini.
Una donna in dialogo perpetuo con sé stessa e con il mondo disegna una mappa delle sue ossessioni, del suo rapporto con l’amore e con il corpo, serbatoio di ipocondrie e nevrosi: il nuovo romanzo di Daniela Ranieri è un diario lucido e iperrealistico, in cui ogni dettaglio, ogni sussulto di vita interiore è trattato allo stesso tempo come dato scientifico e ferita dell’anima. Dalla pandemia di Covid-19 alla vita quotidiana di Roma, tutto viene fatto oggetto di narrazione ironica e burrascosa, ma in special modo le relazioni d’amore: le tante sfaccettature di Eros – l’incontro, il flirt, il piacere, le convivenze sbagliate, la violenza, l’idealizzazione, la dipendenza, l’amore puro – vengono sviscerate nello stile impareggiabile dell’autrice, un misto di strazio, risentimento, ironia impastati con la grande letteratura europea (e non solo). E forse è proprio la lingua di Daniela Ranieri il vero protagonista di questo “Stradario aggiornato di tutti i miei baci”, una lingua ricchissima di echi gaddiani, di irritazioni à la Thomas Bernhard, di citazioni, e allo stesso tempo inquietantemente diretta e inaudita, una lingua la cui capacità di nominare e avvicinare le cose è pari soltanto alla sua potenza nel distruggerle. Lo Stradario di Daniela Ranieri non è solo un romanzo: ha la sostanza di un corpo vivente che abita nel mondo, di una voce che avvince e persuade con la forza della grande letteratura.
L’elenco dei libri presentati dagli Amici della domenica:
Carmine Abate, Il cercatore di luce (Mondadori), presentato da Alessandro Masi;
Angelo Airò Farulla, Presenza reale (Dei Merangoli Editrice), presentato da Sergio Givone;
Giulia Alberico, La signora delle Fiandre (Piemme), presentato da Marcello Ciccaglioni;
Viola Ardone, Oliva Denaro (Einaudi), presentato da Concita De Gregorio;
Pupi Avati, L’alta fantasia (Solferino), presentato da Paolo Di Paolo;
Fabrizio Berruti, Settanta. Il poliziotto e la strage negata (Round Robin Editrice), presentato da Ignazio Marino;
Federico Bonadonna, Pierluca Pucci Poppi, 1973. Rock’n’roll, nazisti e Monty Python (Round Robin Editrice), presentato da Umberto Croppi;
Angela Bubba, Elsa (Ponte alle Grazie), presentato da Laura Pugno;
Paolo Buchignani, L’orma dei passi perduti (Tra le righe libri), presentato da Simonetta Bartolini;
Dario Buzzolan, Perché non sanno (Mondadori), presentato da Paolo Mieli;
Enzo Fileno Carabba, Il digiunatore (Ponte alle Grazie), presentato da Alessandra Tedesco;
Francesco Carofiglio, Le nostre vite (Piemme), presentato da Andrea Kerbaker;
Pietro Castellitto, Gli iperborei (Bompiani), presentato da Teresa Ciabatti;
Silvia Cossu, Il confine (Neo Edizioni), presentato da Renato Minore;
Concetta D’Angeli, Le rovinose (Il ramo e la foglia edizioni), presentato da Paolo Ruffilli;
Elisabetta Darida, Intolleranze elementari (L’Erudita), presentato da Antonella Sabrina Florio;
Francesco Dezio, La meccanica del divano (Ensemble), presentato da Luigi Manzi;
Costanza DiQuattro, Giuditta e il Monsù (Baldini+Castoldi), presentato da Franco Di Mare;
Andrea Donaera, Lei che non tocca mai terra, (NN Editore), presentato da Daniele Mencarelli;
Francesca Farina, Liceo Classico (Bertoni), presentato da Vito Bruschini;
Maddalena Fingerle, Lingua madre (Italo Svevo), presentato da Raffaele Manica;
Alessio Forgione, Il nostro meglio (La nave di Teseo), presentato da Wanda Marasco;
Alberto Garlini, Il sole senza ombra (Mondadori), presentato da Caterina Bonvicini;
Massimo Gezzi, Le stelle vicine (Bollati Boringhieri), presentato da Massimo Raffaeli;
Giorgio Ghiotti, Atti di un mancato addio (Hacca), presentato da Sandra Petrignani;
Giovanna Giordano, Il profumo della libertà (Mondadori), presentato da Antonella Cilento;
Andrea Inglese, La vita adulta (Ponte alle Grazie), presentato da Franco Buffoni;
Roberto Livi, Solo una canzone (Marcos y Marcos), presentato da Filippo La Porta;
Nicola Longa, Macaone (Rubbettino), presentato da Marina Valensise;
Giuseppe Manfridi, Il profeta e la diva (Gremese Editore), presentato da Silvana Cirillo;
Gaia Manzini, Nessuna parola dice di noi (Bompiani), presentato da Maria Ida Gaeta;
Michela Marzano, Stirpe e vergogna (Rizzoli), presentato da Simonetta Fiori;
Annarosa Mattei, Sogno notturno a Roma 1871-2021 (La Lepre Edizioni), presentato da Paolo Portoghesi;
Massimo Maugeri, Il sangue della Montagna (La nave di Teseo), presentato da Maria Rosa Cutrufelli;
Francesco Mazza, Il veleno nella coda (Laurana Editore), presentato da Giovanni Pacchiano;
Simona Moraci, Duecento giorni di tempesta (Marlin), presentato da Aldo Cazzullo;
Sabatina Napolitano, Origami (Campanotto), presentato da Renato Besana;
Raffaele Nigro, Il cuoco dell’imperatore (La nave di Teseo), presentato da Francesca Pansa;
Rosario Palazzolo, Con tutto il mio cuore rimasto (Arkadia), presentato da Alberto Galla;
Benedetta Palmieri, Emersione (Nutrimenti), presentato da Alberto Rollo;
Alfredo Palomba, Quando le belve arriveranno (Wojtek), presentato da Riccardo Cavallero;
Antonio Pascale, La foglia di fico. Storie di alberi, donne, uomini (Einaudi), presentato da Francesco Piccolo;
Roberto Pazzi, Hotel Padreterno (La nave di Teseo), presentato da Massimo Onofri;
Giulio Perrone, America non torna più (HarperCollins), presentato da Elisabetta Mondello;
Stefania Pieralice, Daniele Tedeschi Radini, Come passeri sui cavi (Smart), presentato da Paolo Ferruzzi;
Gilda Policastro, La parte di Malvasia (La nave di Teseo), presentato da Romana Petri;
Luca Ragagnin, Il bambino intermittente (Miraggi Edizioni), presentato da Alessandro Perissinotto;
Luca Ricci, Gli invernali (La nave di Teseo), presentato da Guido Davico Bonino;
Lodovica San Guedoro, Il mostro di Firenze e altri racconti (Felix Krull Editore), presentato da Franco Cardini;
Vanni Santoni, La verità su tutto (Mondadori), presentato da Edoardo Nesi;
Eduardo Savarese, È tardi! (Wojtek), presentato da Elisabetta Rasy;
Alessandro Scafi, L’uomo con le radici in cielo (SEM), presentato da Laura Bosio;
Ciriaco Scoppetta, La ladra di cervelli. Un Alzheimer in famiglia (Armando Editore);
Maria Rosaria Selo, L’albero di mandarini (Rizzoli), presentato da Diego Guida;
Francesca Spadaro, Un sogno per vivere (Viola Editrice), presentato da Giuliano Mazzeo;
Giusy Staropoli Calafati, Terra santissima (Laruffa), presentato da Corrado Colabrò;
Giorgia Tribuiani, Padri (Fazi), presentato da Gioacchino De Chirico;
Giorgio van Straten, Una disperata vitalità (HarperCollins), presentato da Giovanna Botteri;
Bruno Ventavoli, Seimila gradi di separazione. Romanzo in 24 storie (E/O), presentato da Massimo Gramellini;
Pierpaolo Vettori, Un uomo sottile (Neri Pozza), presentato da Paolo Mauri;
Alessandro Zaccuri, Poco a me stesso (Marsilio), presentato da Helena Janeczek;
Zuzu, Giorni felici (Coconino Press), presentato da Valeria Parrella.