La costanza è un’eccezione è un romanzo giallo e mistery a tinte chiare scritto da Alessia Gazzola, pubblicato il 30 agosto 2022 da Longaresi, secondo capitolo della nuova serie con protagonista Costanza Macallè, specializzata in Anatomia patologica, che dovrà risolvere un mistero risalente alla Venezia di fine Seicento.
“La vita ci ha dato una bella lezione sulle conseguenze dell’imprudenza. Tuttavia, se è un tratto costitutivo del tuo carattere, prima o poi quella vince, e anche facile.
Una sola volta. Solo per questa volta.”
Trama di “La costanza è un’eccezione”
Facciamo il punto. Costanza, dopo la laurea in medicina, è stata costretta a lasciare la sua amata e luminosa Sicilia per trasferirsi nel freddo e malinconico Nord. A tenere in caldo i cuori, però, ci pensa Marco, incantevole padre della sua incantevole Flora che Costy, non senza qualche incertezza, ha deciso di portare nella vita della figlia.
Dopo varie tribolazioni, Marco ha praticamente lasciato la storica (e decisamente perfetta) fidanzata all’altare. Costanza (seppur decisamente imperfetta) credeva che l’avesse fatto per lei, ma non ne è più così sicura considerato che Marco prende tempo e si comporta in modo piuttosto ambiguo. Come sempre, però, nella vita di Costanza non c’è spazio per la riflessione: lei è una madre lavoratrice e precaria che al momento si sta autoconvincendo di aver compiuto la scelta giusta decidendo di lasciare l’Istituto di Paleopatologia di Verona per un impiego da anatomopatologa a Venezia.
Come se la situazione non fosse abbastanza complicata, gli ex colleghi la richiamano per un incarico dal lauto compenso: l’ultima discendente di un’antica famiglia veneziana, gli Almazàn, desidera scoperchiare le tombe dei suoi antenati per scoprire cosa c’è di vero nelle dicerie calunniose che da secoli ammantano di mistero il casato. Costanza non vorrebbe accettare, ma questa storia a tinte fosche solletica la sua curiosità… e poi scopre che nell’operazione è coinvolto anche Marco.
Che il cantiere possa rappresentare un’occasione d’oro per trovare un equilibrio vita-lavoro? O, per meglio dire: che il cantiere possa rappresentare un’occasione d’oro per cercare di capire cosa c’è davvero tra lei e Marco? Con coraggio, determinazione e tanta, tanta costanza, questa eroina dai capelli rossi affronterà nuove sfide, svelerà antiche trame mentre proverà a comprendere il suo cuore.
“«Venezia è una città dalla storia feroce.»
In treno, Ans trangugia tarallini e rivendica il suo status di laureato in Storia. «Soprattutto nel Seicento, che è stato un secolo spietato. Succedevano cose che a leggerle oggi si resta sconvolti. Altro che Medioevo, si è sempre ingiusti e ingenerosi con il Medioevo. Ma, a parere mio, il secolo più barbaro della Storia è stato il Seicento. Un secolo di calamità e decadenza; tra pestilenze, turchi e Controriforma ce n’era una al giorno. Tra l’altro a Venezia si era consolidato un capillare sistema di spionaggio che rendeva facilmente nemiche tra loro le persone e che tendeva a premiare i peggiori sentimenti dell’animo umano.»”
Chi è Costanza Macallè
Costanza Macallè ha ventinove anni e leonini capelli rossi. È single e ha una bimba di tre anni: Flora, ma le circostanze della sua nascita sono misteriose. Ha una laurea in medicina co specializzazione in anatomia patologica e vorrebbe trovare lavoro in Inghilterra ma, nell’attesa di realizzare questo sogno, ha appena vinto un bando di ricerca di un anno nell’Istituto di Paleopatologia di Verona. Vinto, diciamo che è arrivata seconda e la prima classificata ha declinato l’offerta. Diciamo anche che a partecipare a quel bando erano state in due.
“Ma ha ragione, non possiamo più permetterci il lusso di fare scemenze. Siamo noi che governiamo i nostri sentimenti, non siamo più in una fase della vita in cui possiamo consentire a loro di governarci.”
Incipit di “La costanza è un’eccezione”
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Sul treno, di fronte a me, si è appena seduto un bel ragazzo dagli occhi azzurri. Un cerchietto dorato al lobo sinistro, basettoni un po’ dandy, un taccuino con copertina nera su cui disegna schizzi di fumetti con una penna a china. Tutto sembra studiato per proiettare un’immagine di sé affascinante, ma gli va riconosciuto che ha uno sguardo in cui è facile perdersi.
Un attimo prima della chiusura delle porte, sale al volo una ragazza. Trafelata, capelli che avrebbero bisogno di una spazzolata, trolley rigido giallo, sacchetto di panificio unto alla base – una focaccina, sembrerebbe dalla sagoma. È concitata, il respiro affannato. Prende posto accanto al ragazzo e quando dalla stazione di Venezia, da dove siamo partiti, arriviamo a quella di Mestre (cinque minuti veri) hanno già attaccato bottone. Giunti a Padova, si sa già che lui fa un dottorato all’Orientale e che lei studia a Verona, ma ha fatto la hostess per un evento a Ca’ Rezzonico. Chiacchierano ininterrottamente per tutto il tragitto e anche se mi resta l’interrogativo sul perché certa gente in treno racconti la propria vita agli estranei, sono comunque riconoscente perché mi forniscono una rom com dal vivo senza dovermi collegare a Netflix.
Quando scendiamo a Verona, loro sono in una bolla emotiva e ormonale indifferente al resto del mondo. Non ho potuto fare a meno di notare che il sacchetto unto è rimasto sul treno e anche se sono stata tentata di raccattarlo per darlo alla ragazza ho desistito: non volevo intrufolarmi nella loro bolla immateriale per una vile focaccina.
Nel corridoio sotto i binari li vedo armeggiare con il cellulare e con un’ultima occhiata colgo l’attimo del saluto. Un cenno ampio con il braccio lui, un sorriso imbambolato e persistente lei. Forse adesso la focaccina bisunta le sarebbe tornata utile, ma tant’è.
Attenta, cara mia.
Attenta.
Quattro anni fa mi sono ritrovata anche io in una bolla come la tua insieme a un ragazzo appena conosciuto. Anche lui molto bello e intraprendente, suonava il pianoforte all’aeroporto di Fiumicino con certi affondi di pedale che facevano tremare la terra, conferendo a Bach un po’ di tormento esistenziale. Quel suo modo di suonare incontrò il mio stato d’animo di quel momento, direi languida, che è un’alternativa letteraria per significare facilmente predisposta al sesso occasionale. Dei giorni seguenti a Malta, in cui in teoria avrei dovuto trovarmi per un congresso, ricordo poco e niente, a parte che abbiamo fatto quelle cose che o si fanno tra completi estranei o si fanno con la persona con cui sei in grande confidenza, non c’è una via di mezzo. Cose che, se ci penso adesso, sbarro gli occhi. Cose che quando lo guardo oggi, in situazioni neutre, mi domando: le abbiamo fatte veramente? E allora com’è che riusciamo a far finta di niente?
Se mi si chiede com’è La Valletta posso rispondere che faceva caldo da morire, come mai l’avevo sentito prima e come mai l’ho sentito dopo. E per il resto un grande boh. Ricordo però in ogni dettaglio la farmacia in cui entrai per comprare la pillola del giorno dopo, perché in un contesto del genere figurarsi se non ci scappava l’incidente contraccettivo. Ma all’epoca lì non era autorizzata, perciò uscii a mani vuote e vagamente disperata. Come in quella canzone tanto orecchiabile, anche io sono andata fuori di testa ma non mi era rimasto di lui nemmeno il numero in tasca, dato che lo cambiò prima ancora che potessi usarlo. In compenso, mi è rimasta una bambina. Da Malta sono tornata a casa con un embrione annidato tra i miei tessuti che nove mesi dopo si è presentato a questo mondo con le sembianze di una neonata selvatica, rossa di capelli come me e con due sopracciglia corrucciate che mi ricordavano lui – se mai ce ne fosse stato bisogno. La mia Flora, che fino a un certo punto della nostra vita è stata davvero tutta mia.