Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov è un romanzo ritenuto un capolavoro della letteratura russa, la sua genesi è caratterizzata da una complessa evoluzione creativa. L’edizione che ho letto è della Feltrinelli, tradotta da Margherita Crepax.
“Un romanzo su che cosa?”
“Su Ponzio Pilato.”…
“… Me lo dia da vedere.” Woland tese la mano con il palmo rivolto verso l’alto.
“Purtroppo non posso,” rispose il Maestro, “perché l’ho bruciato nella stufa.”
“Mi scusi, ma non le credo,” rispose Woland, “non può essere, i manoscritti non bruciano.”
Genesi del romanzo
La stesura ebbe inizio nel 1928, la prima versione del romanzo fu distrutta, bruciata dall’autore stesso, quando venne a conoscenza dell’imminente censura che avrebbe colpito la sua creazione.
Determinato Bulgakov si immerse nuovamente nel progetto nel 1931, insieme alla sua terza moglie Elena Šilovskaja, si dedicò a ‘ripulire’ e perfezionare l’opera. Questo processo di raffinamento continuò fino a quattro settimane prima della morte di Bulgakov nel 1940. Fu in quel momento che il romanzo trovò la sua conclusione definitiva, grazie all’impegno instancabile della moglie, che portò a termine l’opera nel 1941.
La pubblicazione del romanzo si realizzò in maniera postuma solo nel 1966, attraverso le pagine di una rivista moscovita, purtroppo questa edizione subì interventi censori da parte degli editori. La versione integrale del manoscritto vide la luce nel 1967 a Parigi, mentre una versione non censurata e clandestina fu pubblicata a Francoforte nel 1969. Da quel momento in poi, il romanzo ha attraversato numerose traduzioni, diffondendosi in tutto il mondo.
Trama del libro “Il Maestro e Margherita”
Nella Mosca degli anni ’30, due uomini, il presidente della MASSOLIT (l’associazione sovietica degli scrittori), Michail Aleksandrovic Berlioz e un giovane poeta Ivan Nikolaevič Ponyrëv, detto Bezdomnyj, seduti su una panchina di un parco discutono su questioni storico-filosofiche riguardanti l’esistenza di Dio e la storicità di Gesù.
All’improvviso compare accanto a loro un gentiluomo forestiero che dice di essere esperto di magia nera, Woland, che cerca di convincere i suoi atei e scettici interlocutori che Gesù è esistito davvero, affermando di avere assistito di persona al suo processo a Gerusalemme, di essere stato anche ospite a colazione da Kant, e dicendo persino di sapere come e quando morirà Berlioz.
Ritenendo di essersi imbattuto in un folle, Berlioz si allontana per chiedere aiuto. Il letterato esce dal parco ma, giunto al cancello, trova la morte esattamente come previsto da Woland. Sconvolto, Ivan tenta di far catturare Woland, ma viene considerato affetto da schizofrenia e internato in un manicomio.
Qui, viene a contatto con un altro paziente, un uomo il quale dichiara di non avere più un nome e di essere semplicemente un Maestro, si tratta di uno scrittore condotto alla disperazione e separato dalla realtà per il rifiuto da parte della casta dei critici letterari russi nei confronti del suo romanzo su Ponzio Pilato e per essere stato lasciato dalla sua amante, Margherita.
“L’amore è balzato davanti a noi dal nulla, come un assassino in un vicolo, e ci ha colpiti entrambi, nello stesso istante. Così colpisce la saetta, così colpisce il coltello a serramanico. Ma lei, in seguito, sosteneva che non era successo così, e che noi ci amavamo già da tanto, tanto tempo prima, senza conoscerci, senza esserci mai visti”
Il diavolo è arrivato a Mosca nei panni di Woland, un misterioso professore straniero, esperto di magia nera, attorniato da una cricca di personaggi alquanto particolari: il valletto Korov’ev, soprannominato Fagotto, un ex-maestro di cappella sempre vestito con abiti grotteschi, il gatto Behemoth, il sicario Azazello, il pallido Abadonna, con il suo sguardo mortale e la strega Hella.
Il diavolo e tutta la sua strampalata corte si impadronisce dell’appartamento di Berlioz e e comincia a mettere in subbuglio l’intera città, seminando il panico nella Mosca sovietica, ridicolizzando la borghesia, i funzionari, la burocrazia e le caste letterarie.
Mentre accade tutto questo viene raccontata la storia degli avvenimenti accaduti a Gerusalemme durante il periodo pasquale al tempo del prefetto romano Ponzio Pilato, impegnato nel processo al “mite predicatore” Jeshua Ha-Nozri (Gesù).
Contesto storico
In Russia, nel 1917, i bolscevichi presero il potere dopo una guerra civile tra l’Armata Rossa comunista e l’Armata Bianca, fedele agli Zar. Nel 1922 fu fondata l’unione Sovietica comunista, dopo la morte di Lenin, nel 1924 successe Stalin che assicurò il potere eliminando gli oppositori, spesso condannandoli a morte attraverso processi farsa, fu il tempo delle “purghe”, delle spie, della paura, le minoranze etniche venivano eliminate o mandate nei campi di lavoro (gulag).
Agli artisti del momento, che non si allineavano al sistema socialista, era vietato pubblicare o manifestare il proprio pensiero. Quando Stalin morì, nel 1953, il suo successore leggermente più moderato iniziò, prima timidamente, poi con forza a smantellare il culto di Stalin.
“Questi occhi non mentono. Quante volte vi ho detto che il vostro errore fondamentale consiste nel sottovalutare l’importanza degli occhi di un uomo. La lingua può nascondere la suprema verità, ma gli occhi mai! Se vi rivolgono una domanda improvvisa, voi non trasalite neppure, in un attimo siete padroni di voi stessi e sapete che cosa bisogna dire per nascondere la verità, lo dite in modo convincente, e sul vostro volto non c’è una piega, ma ahimè, se la verità, che la domanda ha fatto emergere dal fondo dell’anima, sale per un attimo fino agli occhi, è tutto finito. Viene notata e voi siete colti in fallo!”
Un romanzo difficile da definire
Negli anni ’70, questa opera letteraria rappresentava un autentico fenomeno culturale. Molte persone incontravano difficoltà nel leggerla, poiché la trovavano poco avvincente, singolare e scritta in modo complesso o comunque poco immediato alla prima lettura. In parte, questa impressione era giustificata: si trattava di un romanzo dall’anima simbolista, carico di elementi surreali e grotteschi. Un’opera satirica rivolta alla società dell’epoca, in cui si intrecciano molteplici narrazioni che, apparentemente, mancano di un chiaro filo conduttore.
Emergono chiari riferimenti al Faust di Goethe, con il personaggio di Margherita che porta il medesimo nome dell’eroina femminile presente nell’opera. Questa connessione diviene evidente sin dall’epigrafe introduttiva.
…e così, chi sei infine?
Io sono una parte di quella forza
che eternamente vuole il male
e eternamente compie il bene.
GOETHE, Faust
Si tratta di un romanzo estremamente singolare, con diversi strati interpretativi che spaziano dalla sfera politica a quella mistica, esoterica e persino amorosa. L’opera costituisce una critica sociale nei confronti della Mosca sovietica, dipingendo un contesto in cui ogni individuo dovrebbe agire come rivoluzionario funzionale al sistema.
L’uso del termine “compagno” e la diffidenza verso gli stranieri delineano un ambiente caratterizzato da un forte senso di sospetto. Il timore legato alla circolazione di valuta straniera e la descrizione dettagliata degli individui all’interno dell’apparato, come i direttori di riviste culturali e di teatri, rivelano la loro incessante lotta per ottenere vantaggi personali, persino a discapito degli altri, al fine di accaparrarsi alloggi e beni. Nonostante il contesto sovietico di Mosca, emerge una realtà di mercato nero e un’ossessione per il consumo e l’accumulo di beni.
Particolarmente rilevante è il capitolo intitolato “La magia nera ed il suo smascheramento“, in cui il diavolo Woland, nel ruolo del grande stregone illusionista, riesce a capovolgere l’intera struttura sociale mettendone in luce gli aspetti più meschini e sordidi. In questo contesto emergono una serie di personaggi decadenti che cercano di rubarsi a vicenda, mettendo in evidenza l’egoismo dilagante. Fondamentalmente, l’opera rappresenta una denuncia nei confronti di questa Russia che si maschera da sovietica ma in realtà cela una natura profondamente borghese.
“sono uomini come tutti gli altri uomini. Amano il denaro, ma è sempre stato così… L’umanità ama il denaro, di qualunque cosa sia fatto, di pelle, di carta, di bronzo o d’oro. Sì, gli esseri umani hanno pensieri irresponsabili… Che fare?… Del resto, anche la misericordia qualche volta bussa al loro cuore… “
“vi chiedo: che cosa si può rifilare di nascosto?”
“Un figlio!” gridò qualcuno in sala.
“Giustissimo,” confermò il conduttore del programma, “un figlio, una lettera anonima, un volantino, una macchina infernale, un sacco di altre cose, ma nessuno andrà a rifilare di nascosto quattrocento dollari, perché un simile idiota non esiste in natura”…”
IL manicomio dove molti dei personaggi trovano collocazione, riveste un ruolo di rilevanza storica e di denuncia. In quel periodo e anche nei tempi seguenti, coloro che esprimevano opinioni dissidenti o che si discostavano dal pensiero dominante rischiavano di essere internati proprio nei manicomi.
Nel dipingere la realtà sociale del periodo, Bulgakov non tralascia neppure l’ambiente letterario, evidenziando gli scrittori “autorizzati”, quelli con la tessera, che cercano di convalidare il proprio status riunendosi presso il Griboedov. Korov’ev e Behemoth, le creature demoniache che seguono Woland, deridono apertamente questo circolo di autori.
“Non è certo la tessera che identifica lo scrittore, ma i libri che scrive. Come può lei sapere quali progetti di nuovi romanzi ronzano adesso nella mia testa? O in quest’altra?”
L’autentica grandezza artistica riceve sempre il giusto apprezzamento, e il personaggio che incarna questa dinamica in modo eccezionale è il poeta Ivan Bezdomny. Attraverso l’intervento di natura demoniaca, Ivan giunge a riconoscere la vera essenza dell’arte e si risveglia dal torpore in cui era immerso. Questo risveglio è evidente nella sua decisione di abbandonare la scrittura poetica, poiché ora è immerso nell’arte autentica che ha scoperto leggendo e vivendo nell’universo narrativo del Maestro. Rinunciando alla scrittura, egli si trasforma veramente in un autentico poeta.
La figura demoniaca interviene non con l’intento di assistere l’artista nel superare ostacoli creativi o intellettuali, ma per sottrarlo dall’arte artificiosa e superficialmente ornata di vanagloria e sterile esibizione. In tal modo, sia il Maestro che Ivan vengono estratti da questa trappola mondana, in un paradosso salvati dall’influenza demoniaca.
L’intera narrazione ruota attorno a un delicato equilibrio tra il bene e il male. Sebbene Satana mostri un’apparente benignità e si diverta a esporre la mediocrità e l’insipienza umana, Margherita, con la sua grazia e bellezza, manifesta un lato oscuro e demolitore. È lecito domandarsi se la distinzione tra virtuosi e malvagi sia così netta o se, al contrario, nell’intimo di ogni animo alberghi la scintilla del male. Anche Ponzio Pilato, colui che si lava le mani e vive nell’eterno tormento per aver condannato a morte Jeshua Ha-Nozri, svela attraverso le sue angosce la fragilità umana di un individuo solitario.
Nel corso dell’intero romanzo, Bulgakov crea un’opposizione tra il sole e la luna: il primo viene rifiutato, percezione negativa e opprimente, ricordiamo l’emicrania di Pilato e l’intolleranza al sole, mentre la seconda è celebrata e rimanda all’introspezione.
“Hai pronunciato le tue parole come se non riconoscessi l’esistenza delle ombre, e nemmeno del male. Non vuoi invece essere così buono da riflettere sulla questione: che cosa avrebbe fatto il tuo bene se non fosse esistito il male, e che aspetto avrebbe la terra se da lei scomparissero le ombre? Sono le cose e le persone che generano le ombre. Ecco l’ombra della mia spada. Ma ci sono anche le ombre degli alberi e degli esseri viventi. Non vorrai forse scorticare l’intera sfera terrestre, strappandole di dosso tutti gli alberi e tutto ciò che è vivo, per la tua fantasia di abbandonarti al godimento della nuda luce? “
Risulta affascinante osservare che l’autore di questo romanzo, pur essendo ateo, abbia dato vita a un’opera di natura pasquale. Infatti, l’ambientazione si svolge durante la settimana santa, avviandosi dal mercoledì santo e giungendo alla mattina della resurrezione. Tale scelta trae origine dalla biografia stessa dell’autore, il quale proveniva da una famiglia di fede cattolica.
Le mie impressioni
Mi sono buttata in questa avventura, mi sono voluta misurare con un mostro sacro della letteratura e ci vado con i piedi di piombo nell’esprimere il mio personale giudizio. Ho iniziato la lettura del libro come se si trattasse di un romanzo normale, ma di normale in questo romanzo non c’è proprio niente.
Premesso che oggettivamente è un capolavoro, bisogna ammettere che non è una passeggiata, non è una lettura per tutti, ci vuole impegno. Quando ho iniziato a leggere non capivo dove volesse andare a parare, ero molto confusa, destabilizzata anche dai nomi russi che sono un delirio e chiedendomi perché l’autore avesse deciso di mettere insieme nel primo capitolo due protagonisti con i nomi simili e che iniziano con la stessa lettera “B”.
A metà libro mi sono incaponita ed ho voluto capire del perché non capivo, perché non mi arrivasse, non mi entusiasmasse una lettura tanto elogiata, così ho iniziato a fare ricerche sull’autore, sulla storia del libro e sul contesto storico, le note dell’edizione che ho letto hanno aiutato molto, a questo punto tutto ha iniziato ad acquistare senso, anche il non senso.
Poiché il romanzo può risultare piuttosto criptico, se desiderate intraprendere questa lettura, il mio consiglio è di informarvi in anticipo, anche se ciò implica conoscere alcuni dettagli in anticipo, che comunque non pregiudicheranno la ricchezza dell’opera complessiva.
Sicuramente non è riuscito a rientrare tra i miei libri preferiti, come è successo a molti, ma sono contenta di averlo letto, mi ha arricchito. Si rischia di diventare come Ivan Nikolaevič Ponyrëv, come il lettore ideale.
“Dei, miei dei! Com’è triste la terra di sera! Come sono misteriose le nebbie sulle paludi! Chi ha vagato in queste brume, chi ha sofferto molto prima della morte, chi ha volato sopra questa terra portando un peso superiore alle sue forze, lo sa bene. Lo sa colui che è stanco. E senza rimpianto abbandona le nebbie della terra, le sue paludi e i fiumi, si consegna con cuore leggero nelle mani della morte sapendo che lei soltanto…”
Incipit del libro “Il Maestro e Margherita”
Capitolo primo
Non parlate mai con gli sconosciutiNell’ora di un afoso tramonto primaverile comparvero ai Patriaršie prudy due cittadini. Il primo, vicino ai quarant’anni, vestito di un completo estivo grigio chiaro, era piccolo di statura, bruno, ben nutrito, calvo e teneva in mano come fosse una torta il suo elegante cappello, ma sul suo viso, accuratamente rasato, non mancava un paio di occhiali di grandezza sovrannaturale, con una montatura di corno nera. Il secondo, un giovane arruffato, largo di spalle, con i capelli rossicci e un berretto a quadretti di sghembo sulla nuca, aveva una camicia a scacchi, una cowboyka, pantaloni bianchi gualciti e scarpe nere leggere.
Il primo altri non era che Michail Aleksandrovič Berlioz, direttore di una corposa rivista di arti e lettere, e presidente del direttivo di una delle associazioni letterarie più importanti di Mosca, chiamata con l’abbreviazione di Massolit. Il suo giovane compagno di passeggiata era il poeta Ivan Nikolaevič Ponyrëv, che scriveva sotto lo pseudonimo di Bezdomnyj.
Arrivati all’ombra dei tigli appena verdeggianti, gli scrittori, come primo imperativo, si affrettarono verso un chiosco dipinto a colori vivaci, con la scritta BIRRA E ACQUE.
Sì, bisogna rilevare la prima stranezza di quella terribile sera di maggio. Non solo al chiosco, ma lungo tutto il viale parallelo alla Malaja Bronnaja, non si vedeva una sola persona. In quell’ora, quando ormai sembrava di non avere nemmeno la forza di respirare, quando il sole, dopo aver bruciato Mosca, si inabissava lontano oltre l’anello dei giardini, il Sadovoe kol’co, in una caligine secca, nessuno era venuto a passeggiare sotto i tigli, nessuno si sedeva sulle panchine, e il viale era deserto.
“Mi dia un’acqua di Narzan,” chiese Berlioz.
“Non l’ho di Narzan,” rispose la donna del chiosco e, senza motivo, si offese.
“C’è della birra?” si informò Bezdomnyj, con la voce arrochita.
“La birra la consegnano di sera,” rispose la donna.
“Allora che cosa c’è?” chiese Berlioz.
“Acqua al sapore di albicocca, ma è tiepida,” disse la donna.
“Va bene, va bene, ce la dia!…”L’acqua all’albicocca, versata nei bicchieri, produsse un’abbondante schiuma gialla, e nell’aria si sparse l’odore di un negozio da parrucchiere. Appena ebbero finito di bere, ai letterati venne il singhiozzo, pagarono e andarono a sedersi sulla panchina: faccia allo stagno, spalle alla Bronnaja.
E qui si manifestò la seconda stranezza, che coinvolse, però, il solo Berlioz. All’improvviso smise di avere il singhiozzo, il suo cuore diede un ultimo battito e precipitò nel nulla, poi si riaffacciò alla vita, ma come trafitto da un ago spuntato. Berlioz fu anche assalito da una paura ingiustificata, ma terribile, tanto che sarebbe voluto fuggire immediatamente dai Patriaršie, senza voltarsi.
Michail Aleksandrovič si guardò attorno angosciato, senza capire che cosa lo avesse spaventato. Impallidì, si asciugò la fronte con il fazzoletto, pensò: “Che cosa mi succede? Non mi era mai capitato… il cuore che fa i capricci… mi sono stancato troppo… Forse è il momento di mandare tutto al diavolo, e partire per Kislovodsk…”.
E in quel momento l’aria cocente si infittì davanti a lui, intessendo la figura di un cittadino diafano di stranissimo aspetto. Sulla testa piccola portava un berretto da fantino; indosso, una giacchetta a quadri troppo corta e fatta di aria… il cittadino era alto un sažen, più di due metri, ma era stretto di spalle, magro da non credere, e aveva una fisionomia, prendetene nota, decisamente canzonatoria.
La vita di Berlioz, fino a quel giorno, non si era svolta in modo da abituarlo alle apparizioni insolite. Sempre più pallido, batté le palpebre e, costernato, pensò: “Non può essere!…”.
Invece, purtroppo, poteva, e il lungo cittadino, che si lasciava guardare attraverso, senza toccare terra, dondolava davanti a lui a sinistra e a destra.Berlioz chiuse gli occhi per lo sgomento. E quando li riaprì, vide che era tutto finito, il miraggio si era dissolto. L’uomo a quadri era sparito, e l’ago spuntato era saltato via dal suo cuore.
“Va’ via, diavolo!” esclamò il direttore. “Sai, Ivan, che per poco non ho avuto un colpo di calore! È stata quasi un’allucinazione…” provò a ridacchiare, ma nei suoi occhi balenava ancora la paura, e le sue mani tremavano. Riuscì a calmarsi, si sventolò con il fazzoletto e proferì con una certa baldanza: “E sia, dunque…”, riavviando così il discorso interrotto al momento in cui avevano bevuto l’acqua all’albicocca.
Il discorso, come si seppe in seguito, riguardava Gesù Cristo. Il direttore aveva commissionato al poeta, per il numero della rivista di prossima uscita, un esteso poema antireligioso. Ivan Nikolaevič aveva composto il poema, tra l’altro rispettando una scadenza molto breve, ma, purtroppo, il direttore non ne era per niente soddisfatto. Bezdomnyj aveva tratteggiato il personaggio principale della sua opera, cioè Gesù, a tinte molto fosche, eppure, secondo il giudizio del direttore, il poema andava riscritto. E per mettere in evidenza l’errore fondamentale in cui era incorso Bezdomnyj, adesso il direttore teneva, a beneficio del poeta, una specie di conferenza su Gesù.Era difficile dire che cosa esattamente avesse sviato Ivan Nikolaevič, se l’impeto immaginifico del suo talento o la totale ignoranza della questione di cui scriveva, ma Gesù gli era riuscito perfettamente vivo, un Gesù che un tempo era davvero esistito, anche se, a dire il vero, fornito di tutti i possibili tratti negativi.
Berlioz voleva dimostrare al poeta che la cosa importante non era come fosse Gesù, se cattivo o buono, ma bisognava dire che Gesù, come persona, non era mai esistito al mondo, e che tutti i racconti su di lui erano solo invenzioni che formavano un mito tra i più scontati.
Il direttore aveva letto molto, e nel suo discorso faceva abilmente appello agli storici antichi, per esempio al celebre Filone di Alessandria, al meravigliosamente dotto Giuseppe Flavio, che mai, nemmeno con una parola, avevano menzionato l’esistenza di Gesù. Grazie alla sua solida erudizione, Michail Aleksandrovič poté rivelare al poeta che il passo del capitolo quarantaquattro del quindicesimo libro dei famosi Annali di Tacito, dove si parla della condanna di Gesù, non era altro che una falsa interpolazione aggiunta molto più tardi.Il poeta, per il quale tutto quello di cui parlava il direttore costituiva una novità, ascoltava con attenzione, fissando Michail Aleksandrovič con i suoi battaglieri occhi verdi, e solo ogni tanto, ancora con il singhiozzo, malediceva a bassa voce l’acqua all’albicocca.
“No, non esiste nessuna religione occidentale,” diceva Berlioz, “nella quale non ci sia una fanciulla illibata che non abbia all’occorrenza dato alla luce un dio. E i cristiani non hanno inventato niente di nuovo e hanno creato così il loro Gesù che in realtà non è mai vissuto… e su questo soprattutto bisogna fare leva…”L’alta voce tenorile di Berlioz riecheggiava nel viale deserto e quanto più Michail Aleksandrovič si addentrava nei meandri di un labirinto in cui possono spingersi, senza rischiare di torcersi il collo, solo persone molto istruite, tanto più il poeta imparava cose sempre più interessanti e utili sull’egizio Osiris, dio magnanimo figlio del Cielo e della Terra, sul dio fenicio Tammuz, sul dio Marduk e sul minaccioso, e meno noto, dio Vitzliputzli, veneratissimo un tempo dagli aztechi del Messico.
E proprio mentre Michail Aleksandrovič raccontava al poeta di come gli aztechi plasmassero nella pasta di pane la figurina di Vitzliputzli, sul viale apparve il primo individuo.
In seguito, quando, francamente, era ormai tardi, diverse istituzioni presentarono i loro resoconti con la descrizione di quella persona. Il confronto tra questi documenti non può che suscitare sconcerto. Per esempio, nel primo si dice che l’uomo era di piccola statura, aveva i denti d’oro e zoppicava dalla gamba destra. Nel secondo, che l’uomo era di corporatura imponente, aveva denti con corone di platino e zoppicava dalla gamba sinistra. Un terzo afferma laconicamente che l’uomo non aveva segni particolari.
In verità, nessuno di questi resoconti può dirsi attendibile.
Prima di tutto, non zoppicava né dalla gamba destra né dalla sinistra, e di statura non era né piccolo né imponente, ma semplicemente alto. Quanto ai denti, sul lato sinistro aveva corone di platino e su quello destro d’oro. Portava un costoso completo grigio e scarpe dello stesso colore fabbricate all’estero. Aveva un berretto di panno grigio, tondo, spavaldamente inclinato su un orecchio, e sotto il braccio teneva un bastone con un pomolo nero a forma di testa di cane barbone. All’aspetto poteva avere quarant’anni, o poco più. La bocca era un po’ storta. Il volto completamente rasato. I capelli scuri. L’occhio destro nero, il sinistro inspiegabilmente verde. Anche le sopracciglia erano scure e una era più alta dell’altra. In poche parole: uno straniero.Nel passare accanto alla panchina, sulla quale si trovavano il direttore e il poeta, lo straniero lanciò un’occhiata di sbieco, si fermò e sedette sulla panchina accanto, a un passo dai due amici.
“È tedesco,” pensò Berlioz.
“È inglese,” pensò Bezdomnyj. “Ha i guanti e non ha caldo.”
Lo straniero guardò le case alte che fiancheggiavano lo stagno su quattro lati, e fu chiaro che vedeva quel luogo per la prima volta e che ne era incuriosito.
Fermò lo sguardo sui piani superiori, sui vetri dove il sole, che per sempre si allontanava da Michail Aleksandrovič, si rifletteva accecante e deformato. Poi spostò lo sguardo in basso, dove i vetri cominciavano a scurirsi con l’arrivo della sera, sorrise condiscendente a qualcosa, posò le mani sul pomolo del suo bastone e il mento sulle mani.
“Tu, Ivan,” diceva Berlioz, “hai rappresentato molto bene e satiricamente, per esempio, la nascita di Gesù, il figlio di Dio, ma la cosa interessante è che, ancora prima di Gesù, era nata un’intera serie di figli di dei, come per esempio il fenicio Adone, il frigio Attis, il persiano Mitra. E in realtà nessuno di loro è mai nato o è mai esistito, compreso Gesù, ed è indispensabile che tu, invece della nascita, o, per esempio, dell’arrivo dei magi, descriva le assurde voci su questo arrivo. Altrimenti dal tuo racconto sembra che sia nato davvero…!”
Bezdomnyj, che aveva tentato di fermare il suo tormentoso singhiozzo trattenendo il respiro, in quel momento si mise a singhiozzare ancora più rumorosamente e fastidiosamente, mentre Berlioz interrompeva il suo discorso perché lo straniero si era alzato all’improvviso e si era diretto verso gli scrittori.
Berlioz e Bezdomnyj lo guardarono stupiti.
“Vi prego di scusarmi,”cominciò il nuovo arrivato con accento da straniero, ma senza distorcere le parole, “se pur non conoscendovi mi permetto… ma l’oggetto della vostra dotta conversazione è così interessante che…”
Si tolse educatamente il berretto rotondo e ai due amici non restò altro da fare che alzarsi e inchinarsi. …