Shakespeare reloved è un romanzo di Pete Maggi, pubblicato il 19 settembre 2023, da Solferino. Un romanzo di avventure, di amore e di poesia che ricostruisce perfettamente un personaggio e il suo tempo, basandosi su una delle più a fascinanti teorie sulla giovinezza di William Shakespeare.
“Tuo figlio ha un dono.
Un ragazzino di tredici anni che ha scritto una commedia di pregevolissima fattura.
Un ragazzino che parla inglese, italiano e siciliano.”
Trama del libro “Shakespeare reloved”
Michelangelo Florio nasce a Messina nell’aprile del 1564. Suo padre John Florio, figlio di un eretico protestante ricercato dall’Inquisizione, e sua madre Guglielmina Crollalanza sono due adolescenti che si amano in una notte di mezza estate; ma John è costretto a tornare in Inghilterra e Guglielmina, rimasta incinta, a entrare in convento.
Qui cresce il suo piccolo Michelangelo, che divora libri e scrive commedie già in tenera età. Un’infanzia pacifica ma breve, perché quando Filippo II, re cattolico di Spagna, viene a sapere che a Messina si nasconde il nipote dell’eretico Florio, manda i suoi sgherri a stanare il ragazzo, che riesce a fuggire appena in tempo.
Ha perso tutto, è solo al mondo: come unico compagno ha il suo fedele e cinico amico Amleto. Insieme navigano fino a Venezia, dove entrano in un mondo affascinante, quello delle compagnie teatrali di strada. Attore, marinaio, commerciante: Michelangelo è costretto a cambiare volti e vite e a viaggiare in varie città d’Italia per sfuggire alle grinfie dell’Inquisizione.
Sulla via, incontrerà i semi di molte storie d’amore, di ambizione e di vendetta. Ma la sua unica speranza di salvezza è riuscire a tornare in Inghilterra e a cambiare identità…
“Vostra maestà questa non è una sconfitta. Sappiamo che il bambino è in fuga e sappiamo da dove è partito. Ho uomini specializzati per questo genere di cose, per la caccia. lo prenderemo.
Non so se questa teoria sia vera, ma la trovo affascinante, lo leggerò come un romanzo storico senza farmi influenzare da complotti e complottisti. Non posso nascondere, però, la mia grande curiosità su questo argomento.
Incipit del libro “Shakespeare reloved”
1
La tempesta aveva seguito la nave per giorni e ora abbatteva la sua furia sul legno, percuotendolo con la forza di mille draghi, e la loro voce era il tuono, e i loro corpi erano l’acqua che li colpiva da ogni direzione, facendo oscillare il galeone prima di infrangersi in migliaia, milioni di gocce per ricomporsi dal lato opposto dello scafo e continuare l’assalto.
John Florio si teneva aggrappato alla balaustra e la sua figura, stagliata contro le onde immense, sembrava sfidare la notte: quella al di sopra del mare, dentro cui viaggiavano alla ricerca dell’alba, ma anche quella senza fine posta oltre la vita.
Era quella seconda notte, quella da cui non è concesso ritorno, che cercava di portarli via. I marinai gridavano, tendevano funi. Il capitano della Mary Anne, un orientale dalla fronte tatuata, sbraitava ordini e nel frattempo sbrigava da solo il lavoro di cinque uomini.
Giovanni Crollalanza, che pure non era un avventuriero di primo pelo, assisteva impotente al dispiegarsi delle furie marine. Forse non era la tempesta peggiore in cui si era ritrovato, ma si scoprì a pregare segretamente che non fosse l’ultima.
Quanto al ragazzo, John, si trattava del suo primo, vero viaggio. Sarebbe stato più che lecito se fosse scappato sottocoperta, se avesse ceduto al terrore.
E invece eccolo lì, con la sconsideratezza dei folli e dei poeti, a offrire il viso alla tempesta.
Da dove si trovava in quel momento, vicino all’albero maestro, Giovanni non poteva vedere la sua espressione. Ma era certo che i suoi occhi fossero spalancati, e che i lampi che incendiavano di bianco la notte rivelassero l’estasi.
Ebbe l’impressione di sentirlo urlare, a un certo punto. Ma forse era solo la voce di uno dei marinai, o il fischio del vento.
Non lo avrebbe mai saputo.
Avevano qualcosa in comune, in quella circostanza, John Florio e Giovanni Crollalanza: nessuno dei due temeva la morte.
Il primo a causa di quello sconsiderato ardore dei giovani che li fa sentire invincibili. John era già scampato una volta ai sicari di Filippo II di Spagna inviati per ucciderlo. Cosa poteva essere, a confronto, una tempesta marina? Cosa, se non un magnifico e terribile spettacolo di madre natura, un dono per la sua mente fertile affamata di esperienze?
Giovanni, invece, non aveva paura della morte per il motivo opposto. L’aveva già conosciuta, appena sei mesi prima.
Si erano guardati negli occhi, Giovanni e la morte. Per farlo, lei aveva preso in prestito gli occhi di suo figlio.
Il capitano urlò qualcosa, e due marinai si gettarono sul telame della vela centrale. Contemporaneamente un’onda si abbatté con violenza sul lato destro dello scafo.
La Mary Anne si sollevò. Giovanni sentì lo stomaco sollevarsi allo stesso modo, come se una mano si fosse insinuata dentro la sua pancia, avesse premuto il palmo sugli organi interni e avesse spinto verso l’alto.
Lanciò un’occhiata al ragazzo, e con terrore vide i piedi di John perdere l’equilibrio mentre la prua si alzava in direzione del cielo. Con gli occhi della mente, Giovanni vide il giovane corpo scavalcare il parapetto e precipitare tra i draghi dell’acqua, venire rapito dalle correnti oceaniche, per sparire per sempre o emergere mesi dopo sulle coste di qualche terra lontana.
E invece le mani di John rimasero ben avvinghiate al legno, e il ragazzo cadde sulle ginocchia anziché in mare.
La prua della Mary Anne si schiantò nuovamente sull’acqua, come fanno le balene nelle loro danze imperscrutabili in mare aperto. Il legno scricchiolò in modo preoccupante.
Giovanni raggiunse John e gli urlò nell’orecchio: «Allora, hai visto abbastanza o vuoi crepare a tutti i costi?».
John si voltò a guardarlo. Come Giovanni aveva sospettato, il suo sguardo era ricolmo di euforia. Aprì la bocca per rispondere, ma prima che potesse parlare un nuovo scossone buttò entrambi a terra.
John si alzò ridacchiando, fradicio. Poi puntò il dito alle spalle di Giovanni.
Lui si girò.
A meno di mezzo miglio di distanza, la sagoma inconfondibile dello Stretto di Gibilterra sorgeva dalle acque.
John era stato il primo a scorgerla, ma ora anche i membri dell’equipaggio se ne erano accorti e gridavano.
Il tono delle urla era cambiato: la rabbia del combattimento era stata sostituita dallo sfogo per la vittoria. In un ultimo moto d’orgoglio, l’oceano assestò un colpo brutale sul lato destro dello scafo, nello stesso punto di poco prima. Questa volta lo schianto fu inequivocabile, l’onda strappò via diverse assi e Giovanni le vide sparire nel buio dei frangenti.
“Poco male. Lavoro di un giorno per i carpentieri di Messina.”
La Mary Anne entrò nello stretto e tutto si calmò.
Fu come se qualcuno, dall’alto, avesse premuto un cuscino sull’oceano per smorzarne i suoni. Ora il fragore dell’acqua era un sottofondo che andava perdendo d’intensità via via che la galena procedeva lungo lo stretto.
I marinai bestemmiavano e ridevano. Qualcuno annunciò a gran voce che, appena sbarcati, sarebbe andato a fare visita a una puttana di sua conoscenza, suscitando fischi di approvazione.
«Mister Crollalanza, mister Florio» disse una voce alle loro spalle, richiamando la loro attenzione.
L’inglese del capitano era sporco, risentiva pesantemente della cadenza orientale che lunghi anni di navigazione non erano riusciti a lavare via. Forse in un’altra persona, pensò Giovanni, sarebbe risultato ridicolo. In bocca al basso e muscoloso capitano Xu faceva tutt’altro effetto: l’accento esotico raccontava di faccende sordide dall’altra parte del mondo di cui era meglio non chiedere. Forse ora il capitano Xu operava nel rispetto della legalità, ma gli anelli d’oro a entrambi i lobi e il tatuaggio sul viso non lasciavano molti dubbi circa il suo passato; passato che il capitano non cercava in alcun modo di nascondere. Di certo non avrebbe migliorato il suo inglese per soddisfare le orecchie dei gentiluomini dell’occidente.
“Ogni capitano è il re della sua nave” pensò Giovanni, a cui l’idea di navigare al seguito di quell’uomo non era dispiaciuta affatto. Aveva passato da molto l’età in cui è perdonabile dare più credito alla forma che alla sostanza.
«Tra quattro giorni saremo al porto di Messina» continuò Xu. «Potremmo arrivare prima, ma la tempesta ha rovinato la nave e non voglio rischiare altri danni.»
«Quattro giorni andranno benissimo» rispose Giovanni.
«Allora, cosa vi porta in Sicilia?» chiese il capitano, appoggiandosi alla balaustra ed estraendo da una tasca interna della giacca aperta una cannula sottile e intarsiata.
Nel linguaggio dei navigatori, quella domanda sottintendeva una neutra apertura. Il capitano era disposto ad ascoltare la loro storia, ma non l’avrebbe pretesa.