La conquista di Parigi è un romanzo storico e di avventura scritto da Bernard Cornwell, pubblicato in Italia il 10 ottobre 2023, da Longanesi. Una nuova avventura della serie di Sharpe, che segue la carriera di Arthur Wellesley, I duca di Wellington durante le sue campagne militari, attraverso gli occhi di Richard Sharpe, che all’inizio della storia è un soldato semplice dell’esercito britannico.
“Sharpe grugnì. I suoi ricordi della battaglia erano confusi, per lo più immagini di un fumo denso attraverso il quale si intravedevano le minacciose uniformi blu dei francesi all’attacco. Ricordava però con chiarezza la fine della battaglia …”
Trama del libro “La conquista di Parigi”
Figlio di una prostituta e di un cliente occasionale del bordello. Poi soldato irrispettoso, capace di guadagnarsi ogni giorno qualche fustigata le cui cicatrici ancora solcano la sua schiena. Infine, una possibilità: il duca di Wellington che vede qualcosa di più in quel ragazzo irriverente e impossibile da piegare.
La sua scaltrezza, l’audacia e l’intelligenza fuori dal comune permettono a Richard Sharpe di rinascere e scalare i ranghi militari fino al ruolo di colonnello il cui nome è già leggenda. In questa nuova avventura, il duca invia Sharpe sul suolo francese per individuare e sopprimere un gruppo di assassini noto come La Fraternité, che minaccia di ribaltare con il sangue lo status quo.
Tra le file dei nemici, però, c’è anche l’esatta controparte di Sharpe: il colonnello Lanier, una macchina per uccidere nota con il soprannome di Le Monstre, un uomo spietato, le cui passioni sono le donne, il vino e infliggere la morte. Feroci inseguimenti nei sotterranei parigini, spettacolari combattimenti e intrighi con imprevedibili rivolgimenti di scena: accompagnare Richard Sharpe in quest’impresa richiede spirito d’avventura, perché non potrete più tornare sui vostri passi.
“«E ora avete il comando di un battaglione», disse Burrell.
Sharpe non ne era così sicuro. All’inizio era stato promosso tenente colonnello solo perché, avendo il compito di fare da balia a Guglielmo d’Orange in qualità di aiutante di campo, doveva avere anche un grado confacente al ruolo.”
Incipit del libro “La conquista di Parigi”
PARTE PRIMA
LA FORTEZZA1
Tre uomini erano in cima all’altura. Due erano vivi.Uno dei due, un individuo alto, asciutto, il volto abbronzato dal sole, stava manovrando un piccone, piantandone la punta nella terra dura. La pioggia battente degli ultimi due giorni aveva ammorbidito i primi strati, ma non il terreno argilloso al di sotto e il piccone, nonostante la forza con cui veniva manovrato, non riusciva a penetrare in profondità. «Ci vorrà tutta la stramaledetta giornata», borbottò l’uomo impegnato nello scavo.
«Lasciate fare a me», disse l’altro, un tipo più alto, corpulento, muscoloso, che parlava con accento irlandese. «Voi prendete il badile.»
«Voglio farlo io!» insistette il primo, manovrando il piccone con ancora più forza. Era nudo fino alla cintola, indossava soltanto un rozzo cappello di paglia, stivali al polpaccio e i calzoni della cavalleria francese; la camicia e la giubba verde dei fucilieri erano appese a un ramo dell’albero più vicino, così come la pesante spada della cavalleria, la fusciacca rossa quasi a brandelli e un fucile.
«Ve l’avevo detto che era meglio scavare la fossa giù a valle», disse l’irlandese, «il terreno è più morbido laggiù.»
«Dobbiamo farlo qui, Pat. Dan ha sempre amato le colline.»
«Sentirò la mancanza di Dan», disse Patrick Harper malinconico.
«Maledetti mangiarane!» Il piccone colpì di nuovo il terreno. «Dammi quel badile.»
«No, lo faccio io», ribatté Harper, «spostatevi!» Saltò nella fossa e spalò un po’ di terra e di sassi.
L’ufficiale posò il piccone, si diresse all’albero e tirò giù il fucile. «Questo lo metto nella fossa a fargli compagnia», disse.
«Perché non ci mettete il suo?»
«Perché il suo è migliore del mio. A Dan non importerebbe.»
«E invece Dan ci teneva al suo fucile!»
Il cadavere di Dan Hagman giaceva sull’erba. Era stato ucciso da un voltigeur francese durante la battaglia combattuta su quell’altura il giorno prima. La maggior parte dei caduti del battaglione veniva sepolta più in basso, in una fossa poco profonda vicino a Hougoumont, la fattoria fortificata dalla quale ancora si levava il fumo dell’incendio che aveva devastato l’edificio principale. Un altro incendio, più grande e più violento, ardeva nei pressi della fattoria e il fetore saliva fino all’altura.
L’ufficiale si sedette sui talloni accanto al cadavere di Hagman e ne toccò con gentilezza il volto. «Eri un uomo buono, Dan», disse.
«Lo era per davvero, sì.»Richard Sharpe, questo era il nome dell’ufficiale, tolse un pezzetto di terra dalla giubba verde di Hagman che era stata lavata e rammendata da una delle donne al seguito del battaglione. Sharpe aveva sciacquato la faccia di Hagman, ma niente avrebbe potuto far sparire le piccole bruciature sulla guancia destra, tutte causate dalle ripetute esplosioni della polvere da sparo nello scodellino del fucile. «Dovremmo recitare una preghiera», disse.
«Se solo riuscissimo a scavare una fossa abbastanza profonda», grugnì Harper.
«Puoi recitarla tu. Non sei cattolico?»
«Gesù, non metto piede in una chiesa da dieci anni! Non credo proprio che Dio abbia voglia di ascoltarmi.»
«Quanto a me, Dio non sa nemmeno che esisto. Chissà se Dan pregava?»
«Be’, cantava un inno bellissimo.» Harper prese il piccone e lo affondò nel terreno. «Qui abbiamo quasi finito», disse, smuovendo le zolle in profondità. «Non voglio che le volpi possano arrivarci.»
«Lo copriremo con un mucchio di pietre.»
Sharpe aveva fatto una croce servendosi di pezzi di legno staccati da un carro e aveva usato una baionetta arroventata per incidere il nome DAN HAGMAN sul braccio della croce, aggiungendovi poi FUCILIERE. Inarcò la schiena e si stirò per alleviare il dolore ai muscoli, contemplando la piana in cui era stata combattuta la battaglia e dove si vedevano dappertutto cadaveri di soldati e cavalli morti, mentre i campi di grano apparivano completamente bruciati dal fuoco dell’artiglieria. «Dio, che fetore!» esclamò Sharpe, accennando a un fuoco più vivo, alimentato dalla legna tagliata nel bosco alle spalle di Hougoumont. Alcuni uomini vi stavano gettando i cadaveri dei francesi; i caduti inglesi venivano seppelliti, ma i nemici avrebbero trovato tra le fiamme la strada verso l’eternità. Sharpe lasciò cadere la croce di legno e raccolse il badile.
«Ufficiale in arrivo», avvertì Harper.
Sharpe si voltò e vide un ufficiale di cavalleria che veniva verso di loro. «Non è uno dei nostri», disse con disprezzo, tornando a vangare il terreno che Harper aveva ammorbidito. L’ufficiale che si stava avvicinando indossava calzoni blu e una giubba, anch’essa blu, stretta in vita da una fascia dorata. A Sharpe non piaceva quella divisa troppo pulita, gli uomini che avevano combattuto sull’altura erano sporchi, le uniformi infangate, macchiate di sangue e bruciacchiate dalla polvere da sparo; il giovane ufficiale di cavalleria invece appariva elegante e immacolato.
«Il damerino sta parlando con il sergente Huckfield», disse Harper guardando il cavaliere che si era fermato accanto a un gruppo di soldati inglesi che stavano pulendo i moschetti raccolti sul campo di battaglia. Uno di questi indicò con un gesto Sharpe, che imprecò sottovoce. Pat Harper rise. «I guai vi vengono a cercare», disse.L’ufficiale dall’uniforme impeccabile fece voltare il cavallo, si diresse verso Sharpe e Harper, poi, vedendo quale fosse la loro occupazione, fece una smorfia. «Mi hanno detto che voi avreste potuto indicarmi dove posso trovare il tenente colonnello Sharpe», disse in un tono sbrigativo che al pari del suo cavallo ben curato e dell’uniforme costosa parlava di molto denaro.
«L’avete trovato, vostro onore», gli rispose Harper, esagerando il suo accento irlandese.
«Voi?» L’ufficiale lo guardò incredulo.
«No, sono io il colonnello Sharpe.»
L’ufficiale di cavalleria aveva trovato assurdo che Harper fosse un colonnello, ma che lo fosse Sharpe gli parve ancora più incredibile, forse perché quest’ultimo gli voltava le spalle e sulla sua schiena si vedevano le cicatrici lasciate da una frusta. Sharpe sollevò appena il cappello di paglia e fissò il nuovo arrivato. «E voi chi siete?»
«Il capitano Burrell, signore. Faccio parte del personale del duca.»
«Lord Burrell?» Impossibile non notare il disprezzo nella voce di Sharpe.
«Sono un figlio minore, perciò, no, signore.»
«Che posso fare per voi, Burrell?»
«Il duca vuole vedervi, signore.»
«È ancora a Waterloo?»
«A Bruxelles, signore. Siamo andati là stamattina.»
«Prima devo finire qui», disse Sharpe piantando il badile nel terreno. «E devo farmi la barba.» Non si radeva da quattro giorni e il mento era coperto da una barba corta e scura.
«Il duca dice che è importante», insistette Burrell nervosamente. «Ha insistito sull’estrema urgenza, signore.»
Sharpe si raddrizzò. «Vedete quel morto, capitano?»
«Sì, certo, signore.»
«Era un bravissimo soldato e un vero amico. Quell’uomo ha marciato con me dal Portogallo alla Francia e poi ha marciato di nuovo fin qui, dove un bastardo voltigeur l’ha ammazzato. Gli devo una tomba decente, e io pago sempre i miei debiti. Se avete tanta fretta di ripartire, allora saltate giù da quel cavallo e dateci una mano.»
«Aspetterò, signore», disse Burrell incerto.