Sono tornato per te è un romanzo di Lorenzo Marone, pubblicato il 31 ottobre 2023, da Einaudi. La storia di un amore che attraversa la guerra e rimane intatto nonostante gli orrori che lo mettono alla prova. L’epopea di un ragazzo che difende la propria vita facendo a pugni per tornare dalla donna che lo aspetta.
«In quella stanca e sventurata stagione che aveva già vendemmiato, nella quale le foglie a una a una cadevano dai tralci, Cono ripensò al bacio con Serenella quando erano accovacciati sotto le viti. Ma qualcosa dentro di lui gli impedí di lasciarsi spezzare, in testa gli si conficcò l’ordine di non dimenticare, di tenere bene a mente il pianto di Benedetta, gli occhi disperati di sua madre, le urla di suo padre, il volto sfatto di Serenella. Per tutti loro avrebbe resistito, e per lei un giorno sarebbe tornato».
Trama del libro “Sono tornato per te”
Cono Trezza e Serenella Pinto sono due giovani del Sud, cresciuti nella zona del Vallo di Diano, tra Campania e Basilicata. Lui contadino, lei figlia di un artigiano di idee socialiste. Si sono conosciuti che erano adolescenti, aspettano solo il momento di sposarsi. Ma sono gli anni Trenta del secolo scorso, e a mettersi tra loro ci sono i fascisti. Soprattutto Romano, il figlio del podestà. Stufo di subirne l’arroganza,
Cono si ribella, compiendo un gesto che la sua famiglia pagherà a caro prezzo. Poi la partenza per il servizio militare, e dopo l’8 settembre 1943 la deportazione in Germania. A tenerlo in vita, saranno la speranza di rivedere Serenella, l’aiuto di un compagno di prigionia dal cuore grande e la sua abilità nel tirare di boxe.
C’era uno sport che veniva praticato nei campi di concentramento, il pugilato. Piaceva al Führer, piaceva alle guardie naziste che scommettevano sugli incontri, piaceva ai kapò che obbligavano i prigionieri a combattere di notte su ring improvvisati. Sono tornato per te racconta la storia di chi è sprofondato in quell’inferno e ne è uscito aggrappandosi a un ricordo.
Fu il pugilato lo sport piú praticato nei campi di concentramento. Piaceva al Führer, alle guardie naziste che scommettevano sugli incontri, ai kapò che obbligavano i prigionieri a combattere di notte. Alcuni di questi erano boxeur professionisti, come Johann Trollmann, campione dei mediomassimi nel 1933, tedesco di origine sinti, che mise al tappeto un kapò e per questo fu ucciso.
Molti furono anche gli italiani che dovettero battersi. Tra i nostri spicca certamente la figura di Leone Efrati, detto Lelletto, che in America era giunto a sfidare il campione Leo Rodak per il titolo dei pesi piuma, perdendo solo ai punti. Efrati fu costretto a boxare e, come lui, anche tanti ragazzi non professionisti, che semplicemente avevano dalla loro la prestanza fisica e la capacità di tirar pugni. Ricordo, tra questi, Roberto Benassi, genovese, arrestato dall’Ovra nel 1939 e condannato per reato contro lo Stato fascista e per spionaggio politico e militare, che fu deportato a Mauthausen. O Ferruccio Maruffi, partigiano nelle valli di Lanzo, amico di Primo Levi, testimone gentile fino all’ultimo della deportazione subita. E altri ancora, che per aver salva la vita dovettero improvvisarsi pugili.
Per la memoria di loro tutti è questo romanzo
Incipit del libro “Sono tornato per te”
1.
Era uno di quei giorni di fine inverno nei quali la nebbia ferma le cose, uno di quelli che portano stravolgimenti nell’esistenza di un uomo, il giorno che Cono Trezza, di appena sedici anni, avrebbe ricordato per il resto della vita.
Sul Vallo s’erano posate nuvole cariche d’umidità, dei campi si vedevano solo i primi filari, le strade di campagna sparivano silenziose dietro una curva, tagliavano i poderi, dalle fattorie salivano i versi degli animali, un debole abbaio, il canto incerto di un gallo. La pioggia pareva a un passo, e le finestre delle case erano velate di un grigio sporco. Nello sguardo la gente portava la stanchezza d’una stagione quanto mai lunga e fredda.
Il sabato mattina Cono aveva il compito di vendere frutta e ortaggi in paese. Monte Rianu era un ciuffo di case a ridosso del fiume Tanagro, abbarbicato sulle pendici del Lagno, com’era chiamato il Vallo di Diano, una piana acquitrinosa nel Sud della Campania, al confine con la Basilicata. Lasciò la bici contro il muretto di pietra per chiamare la signora Ada che stava alla finestra a recitare un’Ave Maria, lei lo vide e corse fuori a prendere il paniere. Un micio grigio zampettò silenzioso tra le ruote della bicicletta cercando da lui il cibo che non trovava nei dintorni.
Cono aveva ancora le spalle rivolte alla strada quando una voce radiosa e gentile lo fece sobbalzare: – Buongiorno.
Si girò di scatto, mentre il gatto si rintanava in un angolo, e si perse dentro il piú bello degli spettacoli, in un volto che bucava la foschia, e che forse lui conosceva già, ma che non riuscí a mettere a fuoco subito per intero, perché in quel momento non aveva occhi che per gli occhi di lei. Cadde nel suo sguardo come in un abisso, e capí subito che non ne sarebbe piú uscito. Sfilò la coppola dalla testa e, pieno d’imbarazzo, indietreggiò d’un passo finendo con la schiena contro una serranda aperta per metà. Lei allora scoppiò a ridere.Quella mattina Cono s’era alzato che suo padre stava caricando le ceste di cavolfiore sul biroccio. Il sabato poteva dormire di piú, ché troppo presto per strada non avrebbe trovato nessuno, sua madre perciò l’aveva svegliato quando sui campi già s’andava allargando una luce biancastra, gli aveva passato i vestiti e riscaldato il latte, poi si era occupata della piccola Benedetta, che a scuola andava controvoglia e, rannicchiata sotto le coperte per ripararsi dal gelo della stanza, di uscire dal letto non voleva saperne. Cono aveva studiato fino alla quinta elementare senza fare tante storie, adempiendo ai suoi obblighi quotidiani, ma non gli era mai importato di apprendere l’italiano e la matematica, aveva però resistito con tenacia, piú che altro perché in classe non voleva mostrarsi impreparato. Amava la vita nei campi, erano casa sua: già da bambino sapeva dar da mangiare alle galline, mungere le vacche, e a sedici anni compiuti aveva per la terra la stessa devozione che riservava ai propri genitori. Nelle campagne lo chiamavano Galletta perché vivace e impertinente. Non s’era mai tenuto una partaccia dagli adulti, e fin da piccolo aveva mostrato un’indubbia capacità di tirar cazzotti coi coetanei. Esuberante lo era certamente, Cono, ma pure buono d’animo, in fondo: da sua madre Rosa aveva preso la fermezza con cui pretendeva rispetto, dal padre Giuseppe aveva imparato la considerazione per il prossimo, e aveva ereditato la sua stessa testardaggine. Da lui e dagli altri contadini aveva imparato la pazienza, come loro sapeva attendere le stagioni, e alla natura mai portava rancore.