Un’idea di destino. Diari di una vita straordinaria di Tiziano Terzani, pubblicato a cura di Àlen Loreti con Angela Terzani Staude, nel 2014, da Longanesi. Un’ opera che racconta con potenza riflessiva l’esistenza di un uomo che non ha mai smesso di dialogare con il mondo e con la coscienza di ciascuno di noi.
“Non sono un intellettuale, sono solo un aspirapolvere: giro per il mondo raccogliendo storie”
Sinossi
In un continuo e appassionato procedere dalla Storia alla storia personale, viene finalmente alla luce in questi diari il Terzani uomo, il padre, il marito: una persona curiosa e straordinariamente vitale, incline più alle domande che alle facili risposte.
Scopriamo così che l’espulsione dalla Cina per «crimini controrivoluzionari», l’esperienza deludente della società giapponese, il passaggio professionale dalla Repubblica al Corriere della Sera, i viaggi in Thailandia, URSS, Indocina, Asia centrale, India, Pakistan non furono soltanto all’origine delle grandi opere che tutti ricordiamo.
Furono anche anni fatti di dubbi, di nostalgie, di una perseverante ricerca della gioia, anni in cui dovette talvolta domare «la belva oscura» della depressione. E proprio attraverso questo continuo interrogarsi («tutto è già stato detto, eppure tutto è da ridire»), Terzani maturava una nuova consapevolezza di sé, affidata a pagine più intime, meditazioni, lettere alla moglie e ai figli, appunti, tutti accuratamente raccolti e ordinati dall’autore stesso, fino al suo ultimo commovente scritto: il discorso letto in occasione del matrimonio della figlia Saskia, intriso di nostalgia per la bambina che non c’è più e di amore per la vita, quella vita che inesorabilmente cambia e ci trasforma.
“Mi sento come ieri sul ballatoio di quell’edificio fatiscente fra ’il dottore’ al lume di candela e il giovane musulmano con la sua moderna scuola di computer. Io sono sempre nel mezzo, sempre un pendolare fra questi due mondi; uno vecchio che non vorrei perdere e uno nuovo di cui mi pare assurdo fare a meno, illogico rinunciare”
L’idea di mantenere un diario in modo costante è nata dopo un evento traumatico subito da Terzani nel 1984, quando era corrispondente in Cina. L’uomo è stato arrestato dal governo con l’accusa di “crimini controrivoluzionari” e successivamente espulso dal paese, dove era giunto sperando di essere uno dei primi testimoni di una nuova società fondata sui principi del comunismo. Tiziano Terzani amava esplorare e descrivere ciò che osservava, come ricorda la moglie nella prefazione: “Voi fate”, “io scrivo“. In questo lui trovava il suo scopo, la sua potenza, la sua libertà.
Nel 2014, l’anno del decimo anniversario dalla sua scomparsa, la casa editrice Longanesi ha pubblicato i suoi diari inediti, sua moglie, Angela Terzani Staude, scrive: “Questi diari privati e personali io li amo perché rivelano, anche a me, quel che più lo ha caratterizzato: il coraggio e la solitudine intellettuale, il Terzani dietro le quinte”
Recensione
Questo libro raccoglie i pensieri che Tiziano Terzani appunta giorno dopo giorno, viaggio dopo viaggio, da leggere se si vuole approfondire la figura di questo giornalista, di questo uomo, conoscere il suo lato più vero ed umano. Molti lo hanno conosciuto nel pieno della sua saggezza, quasi come un guru, ma Terzani era altro ed ha sempre raccontato il percorso delle sue idee, non ha mai nascosto anche le contraddizioni e i cambiamenti di rotta, cosciente che le esperienze e l’età, fanno cambiare il nostro punto di vista che non può mai restare prepotentemente rigido.
Infatti in questo libro spiccano con forza i suoi dubbi e le sue contraddizioni quotidiane emergono in modo evidente, facendo capire che tutto in lui è soggetto a una continua e profonda discussione che lo ha portato a un difficile mutamento in una società sempre in evoluzione, anche sul particolare rapporto con la moglie ed i figli.
Dopo aver letto diversi suoi libri, leggere questi estratti dal suo diario personale è compimento della conoscenza di un uomo, non perfetto, che ha vissuto il suo tempo con intensità e passione come pochissimi altri, riviviamo un Terzani nudo e crudo, sincero, mai banale.
Sinceramente all’inizio ho fatto fatica a proseguire la lettura, perché cercavo la sua raffinata penna, invece mi sono trovata davanti a estratti dal suo diario scritti senza alcuna revisione, poi proseguendo ho apprezzato quest’opera, che riduce forse il mito, ma ne esalta l’uomo e ne aumenta la stima.
Incipit del libro “Un’idea di destino”
VOI FATE, IO SCRIVO
di Angela Terzani StaudeQualche mese dopo la morte di Tiziano a Orsigna, sono tornata a guardarmi il suo studio a Firenze. Tutto era a posto e in ordine: rinchiuso in modo sbrigativo ma sensato in scatole e scatoloni di cartone che gli erano capitati fra le mani nei 25 anni di lavoro in Asia. Le cose vecchie e un po’ sciupate gli piacevano, avevano il sapore della Storia; le innovazioni, salvo quelle tecnologiche, non gli interessavano granché.
Quando l’ho conosciuto, a 18 anni, mi ha mostrato la sua Olivetti Lettera 22, la macchina per scrivere allora più in voga, quella che aveva portato il design italiano nel mondo. Era la sola cosa che possedesse e ne era orgoglioso. La volta che un tecnico fiorentino per troppo zelo sostituì con tasti nuovi quelli vecchi o un po’ consunti, Tiziano si disperò: l’uomo aveva tolto la storia alla sua macchina per scrivere, le sofferenze e le gioie che lui, scrivendoci, le aveva trasmesso e che la rendevano sua! Dovette risostituirli.
Nel 1972 andammo a vivere a Singapore con Folco e Saskia ancora piccolissimi e quattro valigie. Con la sua Lettera 22 Tiziano ripartì subito e iniziò a scrivere le sue prime corrispondenze sulla guerra in Vietnam; per annotazioni e interviste invece usava dei taccuini che entravano giusto nel taschino delle sue camicie bianche. Di questi taccuini ne ritrovo alcune centinaia nel massiccio cassettone rinascimentale del suo studio: i primi hanno in copertina varie bellezze femminili vietnamite, i successivi sono quasi tutti di un bel blu carta da zucchero.
Io, che rimanevo a Singapore con i bambini, avevo ore oziose in cui stavo sotto un gigantesco albero dai fiori lilla a scrivere nel diario. Di questo Tiziano m’invidiava. Gli è sempre parso importante lasciare traccia dei propri giorni, ma non ne aveva il tempo. La mattina a Saigon partiva per il fronte, tornava all’Hotel Continental per scrivere il pezzo, da lì correva al telex della Afp per spedirlo e poi ripartiva ancora per intervistare una fonte o verificare le ultime voci. Nelle sere tropicali cenava con i colleghi nei ristoranti sul Mekong, continuando sempre a parlare dei fatti del giorno. Ogni informazione attendibile finiva nei suoi taccuini. Da questi taccuini, riempiti con la sua calligrafia decisa, fantasiosa e un po’ selvaggia – quasi indecifrabile per me, ma a volte anche per lui – sono nati dodici anni di articoli e di corrispondenze per Der Spiegel, Il Giorno, l’Espresso e la Repubblica, nonché i suoi primi due libri sulla guerra in Vietnam.
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Citazioni dal libro “Un’idea di destino”
19
“Il mio essere qui, ora, a cercare di scrivere, fa continuare la storia e le dà l’ultimo capitolo, il più vero: non ci sono scorciatoie, tanto meno quella di un guru che ti apre la via. Questo è un aspetto che varrà la pena di sottolineare, anche per mettere in guardia futuri giovani viaggiatori dal restare intrappolati da questa idea che ’c’è bisogno di uno che fa luce’. Che la faccia, ma poi tocca a noi giudicare, valutare, fare la nostra esperienza”(mio appunto: essere tra due culture, tra due mondi)
20
“Mi siedo cercando di meditare ma niente di quello che potrei trovare dentro di me è così stupefacente come quello che ho dinanzi agli occhi, che trovo assurdo avere chiusi. Mi lascio come inebriare dai colori, dal silenzio, dal vento, dal richiamo dei miei corvi che, riconoscendomi vigliacco, se ne vanno lasciandomi per terra”83
“Le montagne incipriate di neve, il cielo freddo e azzurro, l’aria chiara e precisa come il ghiaccio. Il suono dei nostri passi e delle nostre voci nella notte di luna tornando dal Fosso, il grande fuoco nel camino e intense chiacchiere. Tutto quel che mi intenerisce. Le stazioni della ferrovia, la luce azzurra della luna. La mattina corro fino al Pruno, ancora nell’ombra gelida dell’alba. Avrei dovuto – dovrei – comprarlo?”87
“Un bonsai tenuto per generazioni sotto controllo che fa, se nessuno lo pota più? Torna alla natura?
Lafcadio Hearn si chiede lo stesso della società giapponese, potata, tarpata per secoli dalla dominazione di una classe militare.”88
“Ci siamo troppo crogiolati nell’idea di essere portatori di una cultura universale. Non lo siamo. Quello che ora inquieta l’Occidente non è tanto che il Giappone ci fa la concorrenza economica, è che per la prima volta un popolo non bianco ci spossessa del nostro preteso monopolio della modernità”90
“La solitudine ha accennato a pesare. Con delle scuse ho fatto alcune telefonate, ma tengo duro. Sento bene come si potrebbe dire che non vale la pena. Perché essere qui in mezzo a estranei a guardare una natura che solo alimenta la nostalgia di quella che si conosce e che potrei avere attorno? Ho fatto bene a farmi la rapa. Una ragione in più per non potermi ripresentare al mondo.”(mio appunto: sentire la solitudine, la malinconia, e ugualmente crearla e bearsi)
91-92
“Forse perché non la conosco come quella dell’Orsigna dove mi pare di sapere di ogni sentiero, di sentire la voce di ogni bosco, la natura qui mi intriga coi suoi suoni, col cangiare dei suoi verdi. Mi perdo ore a fissare nel bosco di cedri dinanzi a casa, ad ascoltare l’abbaiare delle cornacchie, lo sfrigolare delle cicale, il ronzare disperato delle decine di mosche, mosconi, libellule, calabroni, mosconi d’oro che si affannano a trovare un’impossibile via d’uscita dalle mie vetrate. Godo del silenzio, del telefono che non squilla, del fatto che non sento nessuno soffiarmi sulla schiena, del fatto che nessuno si aspetta nulla da me, quasi nemmeno io da me stesso.
…
Che errore è stato allontanarsi dalla natura! Nella sua varietà, nella sua bellezza, nella sua crudeltà, nella sua infinita, ineguagliabile grandezza c’è tutto il senso della vita. Se mai vi viene a mancare, come mi stava succedendo, basta tornare qui, alla natura, alle origini di tutto, all’albero da cui siamo saltati giù avant’ieri, uomini miei vestiti di boria e di gessato grigio.”96
“Il sole è appena tramontato. Le cornacchie fanno le loro ultime risate al mondo e le cicale non sono ancora stanche di frinire. M’è venuto un dolo nella spalla destra a forza di scrivere in questo computer e ora vado a smaltirmelo con una bella sudatissima corsa su per la collina. Lascio Baolì a casa, ma la solitudine lo sopraffà e dopo qualche metro me lo vedo trottare dietro un po’ controvoglia, ma fedele, anche se è per obbligo di razza.
Fedele anch’io per necessità, t’abbraccio e guardo la data e sento il Ferragosto venire, e i rumori della piazza in festa e gli odori delle lasagne e della polenta fritta della cucina della Pubblica assistenza, insomma in tutto c’è il pro e il contro, come si direbbe.
Vi amo, ma mi sento anche amato.”117
“Nella civiltà maya chi vinceva alla pelota riceveva come premio il privilegio di venir sacrificato agli dei. In un mondo in cui il rischio di morire di diarrea era immenso, era un grande onore morire da eroi. La morte si sublimava nell’eroismo.
Oggi nessuno vuole più morire da eroe, perché le chance di vivere a lungo sono grandi. Da qui anche la crisi della religione. La gente non si interroga più sull’aldilà, ma sul come conservarsi, come mantenersi giovane. Io dico che la gente non parla più di Dio e della morte, ma della pensione.
Prima, la morte di una persona era un fatto corale. Moriva uno e i vicini di casa assistevano e aiutavano, ognuno faceva così un’esperienza della morte. Oggi è il contrario, la morte viene celata, nascosta. Nessuno sa più gestirla, nessuno sa cosa fare dinanzi a un morto. I vicini scappano, non partecipano. Prima un ragazzo faceva spesso l’esperienza della morte, oggi uno può arrivare alla propria senza mai aver visto quella altrui. Prima dall’ospedale si veniva portati a casa a morire. Ora è il contrario. La famiglia porta uno a morire all’ospedale perché nessuno sa cosa fare col morto. Ricordo da bambino i morti lavati.”132
“Passo la notte insonne a fare il sacco e a scegliere i libri. Tanti amici che vorrei portare, di alcuni non so quanto saranno noiosi.”138
“Mi sveglio e leggo Siddharta di Hesse. Sono impressionato dalla similarità di un processo di pensare che mi ha portato a conclusioni simili. Le frasi sul fiume sono quelle che mi vennero a proposito dell’Amur. È un libro che ho avuto a giro dai tempi di Pechino, da quando mi fu regalato da quella strana ragazza italiana a cui avevo fatto da guida al Tempio del Lama; ma non l’avevo mai letto con l’idea che era un «libro culto» per i giovani viaggiatori. Non ne ero stato attirato. Poi, come in tutte le cose, il tempo giusto viene. Eccolo: in treno da Mosca a Minsk, con dietro un mese attraverso l’Asia. A mio modo, un cercatore.
È un anno strano, questo, il mio cinquantacinquesimo, e sento da varie parti venire questa «voce» di mutamento.
Il maggiore è avvenuto dentro di me, perché davvero mi interessano sempre di più le piccole (le grandi) cose, e tutto quel che ho fatto finora mi pare solo un mezzo per permettermi il resto. Se può funzionare ancora così, bene, altrimenti ci rinuncio. Non più la politica, ma la vita mi attrae, la natura, la scoperta degli alberi, il vento… il fiume!”151
“Mi sveglio con questo pensiero: se si mette fine al consumo bisogna ritrovare un modo per impiegare la gente, darle nuove mete; riempire il suo tempo, ora così «felicemente» sprecato nella produzione di cose per lo più superflue.
La nuova religione che invade il mondo ben più di quelle «nuove» è il globalismo, la nuova moralità sono i diritti umani con cui gli Stati Uniti cercano di ri-imporre una loro pax americana al mondo degli hamburger. Tutto per il mercato, tutto per l’economia. Per questo nei giovani rispunta la voglia di altro, la voglia di spiritualità.”(mio appunto: nuova religione globalismo)
167
“La solita rabbia a vedere lungo il mare la distesa dei mendicanti, i ricchi che fanno la ginnastica per eliminare i loro immensi grassi e gettano distrattamente ai piccioni romaiolate di granturco che pagano, mentre quelli non hanno da mangiare.
L’India è il posto che mi convincerà, una volta per tutte, della necessità di abolire la politica, di distruggere i politici, di affidare le cose dello Stato a dei filosofi.”192
“27 luglio 1996, Calcutta. Sulle tracce di Madre Teresa. A volte mi pare di avere davvero esaurito le batterie.
Mi fa male la schiena, sono assalito dalla misera rivoltante deformazione dell’umanità. Calcutta non è la «città della gioia», ma dell’umiliazione umana.
Incontro il vicedirettore del Telegraph, poi il suo reporter locale. Mi parlano di dettagli, di quel che non va con Madre Teresa. Dove sono i bilanci, dov’è il rapporto del contabile? Dove vanno i soldi, nelle conversioni?
Strano tempo il nostro, in cui non sopportiamo di avere degli ideali, dei miti, delle persone a cui guardare per ispirazione!
Sì, attorno alla missione si chiude un circolo di silenzio difficile da penetrare. Hanno qualcosa da nascondere. Innanzitutto le loro finanze: da dove vengono e dove vanno i soldi. Come ogni altra istituzione che riceve fondi dall’estero, questi soldi dovrebbero passare dalla Banca centrale ed essere verificati. Non lo sono.
Il sospetto è che vengano usati per le conversioni nel senso di dare doti alle ragazze che si fanno cattoliche e mandare i bambini a studiare nelle scuole cattoliche se si convertono.
Quando hanno chiesto a MT che cosa pensa del libro critico su di lei, ha detto le sue solite cose: «Prego perché Dio li perdoni, io li ho già perdonati».
Ma il dubbio resta. Ieri la donna della libreria diceva che il libro solleva delle giuste domande. «Perché rifiuta di dare delle medicine? Degli antidolorifici?»
Il problema non è se Madre Teresa è una santa o meno, ma se una città come Calcutta deve esistere o meno. Che ci sia, sembra provare che non c’è dio.
31 luglio 1996, Calcutta. La mattina mi alzo e vado lungo il Brahmaputra, «il solo grande fiume maschio dell’India». Impressionante. Maestoso. Forte. Le barche a motore debbono fare grandissime deviazioni pur di attraccare. Ne osservo una che butta un terribile fumo nero e che sembra andare contro corrente per cui viene tutta storta ad attraccare. Decine di uomini in bicicletta con dei tamburi di latta si dirigono verso la riva aspettando forse i pescatori per comprare i pesci vivi da trasportare al mercato.
Vita lenta e povera. Poco romanticismo tranne quello del fiume. Mendicanti nel parco lungo le rive, disgraziati che si lavano i denti nei canali dei rifiuti delle case in alto, come quella in cui sto io. I più fortunati se li lavano nell’acqua che esce da una grande tubatura rotta.
Soldati si addestrano per la strada, un bramino turlupina di prima mattina della povera gente in un tempietto sul fiume. Davanti a un povero Hanuman qualcuno prega. L’aria è grigia e pesante, l’umanità lenta, raffreddata, con gli occhi abbacinati. Anch’io sono così.
Non ho forze, ho mal di schiena. Solo il fiume rincuora. Solo gli alberi sono possenti. Uno, all’angolo del fiume che sembra ringorgare e cambiare direzione, vive sulla riva e pare avere millenni di età. Magnifico, con tutta una vegetazione di parassiti che gli cresce sulle immense braccia che si allungano sul fiume fangoso, spesso, forte e quietamente pauroso. Da lontano sembra pacifico, solo da vicino la sua lenta forza fa paura.
Una pesante pioggia persistente e la nebbia affogano la valle del fiume. «Sento» il monsone, la gioia della sua frescura, poi l’orrore del suo caldo ribollente. Pesantezza, solitudine, stanchezza.
Il pomeriggio con Madre Teresa che inaugura il ricovero per AIDS. Ancora una riprova: la donna non capisce più nulla, ripete sul suo Dio le stesse cose, come un’ossessa, vuole che tutti preghino, lavorino coi poveri, ma non mi pare riflettere. Non la sento per niente santa.
Le chiedo di sua madre, nata italiana vicino a Venezia e lei dice: «No no, siamo tutti albanesi, albanesi, non italiani». Chiedo del fratello Lazzaro, di quando è morto in Italia e dice: «Tanti anni fa». Non è vero, solo alcuni anni fa.
Non capisce più nulla, è arteriosclerotica forse?
La scena dei medici, dei funzionari, dei poliziotti, tutte le autorità venute a inaugurare, a fare discorsi, a ringraziarsi a vicenda. Non c’è un solo rappresentante di quelli con AIDS. Le statistiche date dal Ministero della salute sono senza senso: su 22.000 analisi del sangue solo 17 positive. Undici malati e in tutto lo Stato sette i morti? Vacci a credere!”217
“New York è umanamente un campo di sterminio: tutti sono dediti a farsi dei bei corpi di cui poi sembrano non saper che cosa fare, così che presto non restano che dei corpi flaccidi e solitari senza respiro. Per cominciare chiuderei tutte le palestre!”247
“Ancora una volta vorrei essere due persone: una che diventa Anam, senza nome, che non ha passato, che si ritira, che rinuncia; l’altra che cerca di trovare un equilibrio fra il vecchio e qualcosa di nuovo.”268
“In fondo debbo ora ammettere che questo gettare la rete nel mare dell’ignoto porta sempre meno pesci. Il nuovo è sempre una versione del conosciuto e le situazioni pur nella loro diversità finiscono nella sostanza per ripetersi. Con l’Indovino cercavo i veggenti, qui i medici alternativi, ma la storia non è nuova.”(mio appunto: il ripetersi, il nuovo che pesca nel vecchio)
317
“La grande differenza è fra le religioni rivelate e quelle no: nelle prime c’è un profeta a cui Dio ha detto come stanno le cose e lui lo ripete agli altri (e Maometto dice di essere l’ultimo profeta); nelle seconde non c’è intermediario, il fondo è «conosci te stesso» e con ciò scopri che Dio sei tu.”323
“Prendi la musica: la musica è matematica, ma la matematica non basta a spiegare la musica. Cos’è il tempo nella musica? Una nota arriva non separata dall’altra e procede nel silenzio a creare una melodia. Ma che tempo è quello? C’è un attimo che passa continuamente per diventare passato, e c’è un attimo che contiene il passato e quindi il futuro.”(mio appunto: scienza, è tutto misurabile?)
324
“L’alba e il tramonto sono i momenti in cui i due mondi si uniscono, il giorno e la notte, la luce e la tenebra, il soggettivo e l’oggettivo. La notte è il momento del soggetto, quello in cui tutti gli oggetti scompaiono nell’ombra, mentre nel giorno sono gli oggetti a prevalere, a uscire nella luce, e il soggetto recede. Per questo il momento in cui i due si uniscono è come una porta per passare da un mondo a un altro, per cercare di vedere.”401
“Pensare alla guerra nell’era della grande tecnologia è come mettere la clava nel microchip. Quel che si rompe nella guerra non sono solo le ossa della gente, ma i rapporti umani. Siamo insensibili alla sofferenza del presente. E se si perde di vista la sofferenza di uno, se si parla di sofferenza in generale, non si capisce più la sofferenza”440
“Mi fa piacere che Saskia entri a far parte di una famiglia numerosa, con vecchie tradizioni e valori religiosi. Le religioni sono un buon modo per cominciare, soprattutto se sono lo strumento per migliorare se stessi (il problema comincia quando le religioni vogliono migliorare gli altri).”Se vuoi ACQUISTA il libro