Eredi Piedivico e famiglia è un romanzo di Andrea Vitali, pubblicato il 14 maggio 2024, da Einaudi. Una storia divertente e amara che infine, come una fiaba, apre il cuore alla speranza. Tra gli anni Venti e gli anni Sessanta del Novecento, la saga, senza eccessi, di un’inquieta famiglia lombarda.
«La pianura è sorella del lago. Per questo ne ho subito il fascino ancor prima di conoscerla, quando leggevo i racconti di Guareschi»
Trama del libro “Eredi Piedivico e famiglia”
Oreste Piedivico, classe 1901, veterinario di Manerbio, provincia di Brescia, è ben visto da tutti nella zona della Bassa che è la sua condotta. Sempre disponibile, sempre pronto a sfrecciare sulla sua Benelli per visitare un mulo e far nascere un vitello, o magari un bambino. È anche un buon partito, e quando decide che non vuol più essere signorino, trova subito moglie: la Lidovina, figlia unica di un allevatore.
Il matrimonio, però, si rivela più complesso del previsto. Lui non è mai stato tipo da relazioni fisse, e anche se si impegna, nei panni del marito è un po’ impacciato. Mentre lei, in quelli della moglie, è proprio spaesata. Oreste accoglie la vita senza farsi troppe domande, Lidovina non smette mai di rimuginare. Sono diversi, e ancor più diversi saranno i loro eredi. Proprio questi, anni dopo, scopriranno una semplice verità: non c’è bisogno di assomigliarsi per volersi bene.
“Arie d’opera alla sera. Oreste Piedivico le ascoltava trasmesse da un apparecchio radio Adorni, il primo in assoluto arrivato in quel di Manerbio, un acquisto del genitore. Proprio da quest’ultimo aveva preso quel vezzo serale: stare seduto, in silenzio, quasi al buio, dopo cene durante le quali erano corse poche parole, magari tenendo anche gli occhi chiusi, per godere di piú delle melodie, per avvertire il miracolo che la musica poteva operare sull’animo degli esseri umani.”
Incipit del libro “Eredi Piedivico e famiglia”
1.
Classe 1901, nato a Manerbio, provincia di Brescia, Oreste Piedivico di professione era veterinario. Figlio di notaio, nonostante i pacati inviti – paterni e non solo – a considerare di proseguire nell’attività di famiglia, visto che la strada gli era già stata spianata, fin da giovane aveva dimostrato un’innata passione nei confronti degli animali che niente e nessuno erano riusciti a scalfire. L’ultimo ad arrendersi era stato proprio il genitore. Aveva alzato bandiera bianca con un sorriso e s’era poi convinto di aver fatto bene.
Il ragazzo compí gli studi universitari presso la scuola di Parma, divenendo uno degli allievi prediletti di Virginio Bossi, anatomico e chirurgo di grande levatura. La passione per gli animali era tale che il giovanotto cercava ogni occasione per fare pratica, rendendosi disponibile a dare consigli, aiutando nel caso di parti difficoltosi, fratture o ferite da suturare e, già ben prima che ne avesse ottenuto il diritto, in parecchi cominciarono a chiamarlo dottore. All’età di venticinque anni, laureato infine, cominciò a esercitare a pieno titolo.
Non aveva un ambulatorio vero e proprio, né aveva mai pensato di dotarsene.
– Inutile, – ripeteva a tutti, – denaro buttato.
Le stesse parole che aveva detto a suo padre quando costui voleva fargliene dono per la laurea.
Denaro buttato a ragion veduta, spiegava con il sorriso sulle labbra, in modo un po’ guascone, ma senza lasciare spazio ad alcuna replica.
I suoi clienti infatti erano cavalli, vacche, vitelli, buoi, esseri che quando stavano male andavano visitati a casa loro. Spesso, però, veniva anche consultato, ma cosí, alla buona, per animali di piccola taglia, cani soprattutto. Talvolta le richieste di un parere avevano luogo per la strada. Il Piedivico non faceva una piega, ascoltava, rispondeva. Poi alla fine, «Grazie dottore», o il piú delle volte, stante la confidenza, «Grazie Oreste», e via, una pacca sulla spalla come saldo dell’onorario. Quello il risultato del legame che lo univa ai suoi concittadini. La voce circa la sua abilità e disponibilità – era pronto a scattare a qualunque ora del giorno e della notte – si sparse presto nelle campagne attorno a Manerbio, raggiungendo le numerose cascine del territorio. E non era nemmeno un fatto eccezionale che qualche allevatore si spingesse a chiedergli un consulto su un acciacco proprio o di un familiare, senza meravigliarsi poi che il Piedivico ci avesse azzeccato. In un immaginario catalogo dei suoi interventi meglio riusciti spicca una perineotomia eseguita sulla moglie di un allevatore nella cui stalla il Piedivico stava aspettando il momento buono per far nascere un vitello. Il caso aveva voluto che quella sera, anzi era ormai notte, la donna fosse entrata in travaglio e che le cose si fossero messe male fin da subito. Il marito, davanti alle sue smanie piú che giustificate, era andato nel pallone; non sapendo che fare aveva chiesto al Piedivico di lasciar perdere la vacca e di correre a chiamare la levatrice. Ma Oreste aveva dimostrato tutta la calma e la freddezza che la circostanza esigeva.
– Ci penso io, – aveva detto.
– In che senso? – aveva chiesto quello, disorientato.
– Si fidi, – aveva risposto il veterinario. – Andiamo.
Dove volesse andare, l’allevatore lo aveva capito quando Oreste s’era avviato verso la casa. Aveva tentato di opporsi a ciò che ormai immaginava il Piedivico stesse per fare. Ma quest’ultimo era stato chiaro, lasciando a lui la scelta.
– Di qui a qualche ora questa cascina potrebbe avere un neonato e un vitello. Potrebbe però anche capitare che nessuno dei due veda la luce. Non c’è tempo da perdere, bisogna decidere in fretta. Io sono pronto, lei?
L’allevatore era rimasto senza parole, l’altro aveva sdrammatizzato, scherzando sul fatto che, in certe situazioni, non c’era molta differenza tra esseri umani e animali.
La storia della doppia assistenza al parto effettuata con successo era rimbalzata di cascina in cascina per settimane e aveva contribuito a rendere ancora piú solida la fama di Oreste.
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