Il 5 ottobre arriva puntuale come sempre la Giornata Mondiale degli Insegnanti, inventata dall’UNESCO nel 1994 per ricordare a governi e cittadini ciò che spesso sembra dimenticato: l’importanza di dare dignità al mestiere dell’insegnante, quello che forma, educa e guida le nuove generazioni.
Ma in quanti se ne ricordano davvero? L’istruzione è un diritto umano, certo, eppure gli insegnanti ogni giorno si caricano sulle spalle la responsabilità di preparare i giovani a costruire una società migliore. Una società che dovrebbe essere basata su sviluppo sostenibile, pace, democrazia, diritti umani e uguaglianza. Parole belle, sì, ma che senza gli insegnanti rischiano di restare solo slogan vuoti.
“Insegnando continuo ad imparare sempre di più su chi voglio essere. Insegnare per me è solo un’altra forma di essere uno studente.”
Il tema dell’edizione 2024 della giornata mondiale degli insegnanti
Il tema che l’Unesco ha proposto alla riflessione per il 2024 è “Valorizzare la voce degli insegnanti”. Verso un nuovo contratto sociale per l’istruzione.
“L’insegnante è la persona alla quale il genitore affida il cervello del proprio figlio affinché diventi un oggetto pensante. Ma l’insegnante è anche colui a cui lo Stato affida i cervelli della collettività, perché diventino il Paese di domani“ (Piero Angela)
Un ruolo bistrattato, malgrado le chiacchiere del governo che, presentando l’ennesima riforma della scuola, giurava di voler rimettere l’insegnante al centro del sistema educativo. Parole, come sempre, al vento. Perché per migliorare davvero una società e garantire un futuro ai giovani, servono i fatti, e quelli dicono che la figura del docente è stata degradata a mera comparsa da politiche miope, che vedono la scuola non come un investimento per il futuro, ma come un fastidioso capitolo di spesa da tagliare.
E i precari? Quegli insegnanti che ogni giorno vivono tra speranza, attesa e frustrazione, inseguendo un futuro più stabile e dignitoso, sognando magari di poter un giorno avere una famiglia. Ma non dimentichiamoci di quelli di ruolo, quelli che sono in trincea da oltre 25 anni, lontani da casa, senza neanche più il diritto di sperare in un trasferimento per riabbracciare i propri cari. Per loro, le nuove leggi hanno spento anche l’ultima fiammella di speranza: gente ormai avanti con gli anni, costretta a vivere in città che non sentono proprie, spesso soli e dimenticati da tutti.