La vincitrice del Premio Nobel alla Letteratura 2024 è Han Kang. L’Accademia Reale Svedese l’ha scelta “Per la sua intensa prosa poetica che affronta i traumi storici e mette a nudo la fragilità della vita umana”.
Han Kang è la prima scrittrice sudcoreana e la diciottesima donna a conquistare questo prestigioso premio. I romanzi, i racconti e i saggi di Han Kang hanno scavato in profondità nei temi del patriarcato, della violenza, del dolore e dell’essenza stessa dell’umanità, ognuno come una lama che affonda senza esitazione. Con ogni storia, Han esplora questi abissi, svelando le ferite nascoste e dando voce a ciò che spesso rimane taciuto. Proviamo a conoscerla meglio, anche se la cosa migliore per farlo sarebbe leggere le sue opere.
Chi è Han Kang, vincitrice del Premio Nobel alla Letteratura 2024
Han Kang, figlia d’arte e maestra del minimalismo letterario, non è certo una che si fa notare con clamore. Nata il 27 novembre 1970 a Gwangju, Corea del Sud, e figlia dello scrittore Han Sŭngwŏn, ha imparato presto cosa significhi crescere tra le righe di un libro. A dieci anni si trasferisce a Suyuri, Seoul, e lì comincia il suo percorso: tra versi e racconti, la letteratura diventa il suo rifugio.
Gli anni ’90 segnano l’inizio della sua carriera, quando Han Kang comincia a pubblicare le prime poesie mentre è ancora una studentessa di Letteratura all’Università Yŏnse. Fa il suo debutto nel 1993 con alcune poesie, tra cui Inverno a Seoul, pubblicate sulla rivista Munhak-gwa-sahoe. Ma è nel 1994 che avviene la svolta: vince il concorso letterario Seoul Shinmun Spring con “Red Anchor” e l’anno dopo pubblica la sua prima raccolta di racconti, Yeosu. Insomma, Han Kang è quella scrittrice che ti entra sottopelle senza che tu te ne accorga.
Nel 1998 partecipa a un programma internazionale di scrittura all’Università dell’Iowa grazie al sostegno dell’Arts Council Korea. In patria cominciano ad arrivare i primi riconoscimenti seri: nel 1999 vince il 25° Korean Novel Award con Baby Buddha, una novella che, già dal titolo, ti fa capire che Han Kang non è una che gira intorno alle cose. Nel 2005 si aggiudica il prestigioso Premio Yi Sang con la raccolta La macchia mongola. E proprio da qui nasce l’idea per il suo capolavoro più noto, La vegetariana.
Ed è qui che succede la magia: pubblicato nel 2007 in Corea, La vegetariana passa piuttosto inosservato. Ma nel 2016 conquista il mondo intero vincendo l’International Man Booker Prize. Da quel momento, il suo nome diventa sinonimo di innovazione letteraria, portando uno stile nuovo, essenziale, tagliente. E in Italia, grazie alla traduzione di Milena Zemira Ciccimarra e alla casa editrice Adelphi, anche noi abbiamo scoperto questo piccolo gioiello.
Nel 2018 arriva Atti umani, ma la traduzione italiana perde un po’ del significato originale, perché il titolo coreano suona più come Arriva il ragazzo. Una perdita di senso che, però, non toglie nulla alla profondità di un romanzo che si legge come una ferita aperta.
Han Kang è diversa, è necessaria. In un Paese come la Corea del Sud, dove le scrittrici donne sono spesso relegate a raccontare storie familiari, Han porta un soffio di aria nuova. Le sue trame sono oniriche, i dialoghi ridotti all’osso, e la sua prosa è un bisturi che taglia senza pietà, lasciando ogni parola sospesa tra sogno e realtà.
Il suo ultimo romanzo tradotto in italiano, L’ora di greco è un altro tassello di questo suo percorso di sperimentazione linguistica. Qui Han Kang si avventura tra le pieghe di una lingua morta, il greco, per cercare una trascendenza che nella vita quotidiana sembra inafferrabile. La lingua, con i suoi significati vasti e profondi, diventa il mezzo attraverso cui anche chi non riesce più a parlare può ancora comunicare. Un libro che non si legge, si ascolta. Perché, alla fine, è di suoni che Han Kang ci parla, di quell’essenza che rimane quando tutto il resto viene spazzato via.
I libri di Han Kang pubblicati in Italia
La vegetariana pubblicato nel 2007, in Italia nel 2016 da Adelphi, con la traduzione di Milena Zemira Ciccimarra.
«Ho fatto un sogno» dice Yeong-hye, e da quel sogno di sangue e di boschi scuri nasce il suo rifiuto radicale di mangiare, cucinare e servire carne, che la famiglia accoglie dapprima con costernazione e poi con fastidio e rabbia crescenti. È il primo stadio di un distacco in tre atti, un percorso di trascendenza distruttiva che infetta anche coloro che sono vicini alla protagonista, e dalle convenzioni si allarga al desiderio, per abbracciare infine l’ideale di un’estatica dissoluzione nell’indifferenza vegetale. La scrittura cristallina di Han Kang esplora la conturbante bellezza delle forme di rinuncia più estreme, accompagnando il lettore fra i crepacci che si aprono nell’ordinario quando si inceppa il principio di realtà – proprio come avviene nei sogni più pericolosi.
Atti umani, pubblicato nel 2016, in Italia nel 2017 da Adelphi, con la traduzione di Milena Zemira Ciccimarra.
Una palestra comunale, decine di cadaveri che saturano l’aria di un “orribile tanfo putrido”. Siamo a Gwangju, in Corea del Sud, nel maggio 1980: dopo il colpo di Stato di Chun Doo-hwan, in tutto il paese vige la legge marziale. Quando i militari hanno aperto il fuoco su un corteo di protesta è iniziata l’insurrezione, seguita da brutali rappresaglie; “Atti umani” è il coro polifonico dei vivi e dei morti di una carneficina mai veramente narrata in Occidente. Conosciamo il quindicenne Dong-ho, alla ricerca di un amico scomparso; Eun-sook, la redattrice che ha assaggiato il “rullo inchiostratore” della censura e i “sette schiaffi” di un interrogatorio; l’anonimo prigioniero che ha avuto la sfortuna di sopravvivere; la giovane operaia calpestata a sangue da un poliziotto in borghese. Dopo il massacro, ancora anni di carcere, sevizie, delazioni, dinieghi; al volgere del millennio stentate aperture, parziali ammissioni, tardive commemorazioni. Han Kang, con il terso, spietato lirismo della sua scrittura, scruta tante vite dilaniate, racconta oggi l’indicibile, le laceranti dissonanze di un passato che si voleva cancellato.
L’ora di greco, pubblicato nel 2011, in Italia nel 2023 da Adelphi, con la traduzione di Lia Iovenitti.
In una Seoul rovente e febbrile, una donna vestita di nero cerca di recuperare la parola che ha perso in seguito a una serie di traumi. Le era già successo una prima volta, da adolescente, e allora era stato l’insolito suono di una parola francese a scardinare il silenzio. Ora, di fronte al riaffiorare di quel mutismo, si aggrappa alla radicale estraneità del greco di Platone nella speranza di riappropriarsi della sua voce. Nell’aula semideserta di un’accademia privata, il suo silenzio incontra lo sguardo velato dell’insegnante di greco, che sta perdendo la vista e che, emigrato in Germania da ragazzo e tornato a Seoul da qualche anno, sembra occupare uno spazio liminale fra le due lingue. Tra di loro nasce un’intimità intessuta di penombra e di perdita, grazie alla quale la donna riuscirà forse a ritornare in contatto con il mondo. Scritto dopo La vegetariana e definito dal la stessa autrice «quasi un suo lieto fine», L’ora di greco si insinua – avvolto in un bozzolo di apparente semplicità – nella mente del lettore, come un «assurdo indimostrabile», una voce limpida e familiare che arriva da un altro pianeta.
L’ultimo romanzo di Han Kang, Non dico addio, ha già fatto parlare di sé. Premiatissimo in Francia, dove nel 2023 si è aggiudicato il Prix Médicis e l’anno dopo il Premio Émile Guimet, questo libro è destinato a lasciare il segno anche in Italia, dove lo vedremo sugli scaffali il prossimo 5 novembre, grazie ad Adelphi.
E cosa racconta? Un’altra ferita aperta della storia coreana, quella del massacro del 3 aprile 1948 a Jeju, narrato attraverso gli occhi di tre donne. Sembra quasi inevitabile il paragone con Atti umani: ancora una volta, Han Kang ci porta a fare i conti con il dolore di un popolo, raccontando eventi che molti, fuori dalla Corea, non conoscono o hanno dimenticato. Ma lei non lascia spazio all’oblio.
E come solo lei sa fare, trasforma la tragedia in un’esperienza profondamente intima. Durante la consegna del Prix Médicis, Han Kang ha descritto il suo libro con parole che arrivano dritte al cuore:
“Una candela accesa nell’abisso dell’anima umana.”
E non potrebbe esserci descrizione più calzante. Han Kang non racconta solo la storia, la viviseziona, lasciandoci con quel misto di meraviglia e dolore che ci fa sentire vivi, anche se a volte vorremmo solo chiudere il libro e fuggire via. Ma non lo facciamo, perché Han Kang ci tiene lì, con la sua luce fioca che brilla nel buio.
Il premio Nobel
Il premio Nobel per la letteratura è uno dei cinque premi istituiti dal testamento di Alfred Nobel nel 1895 ed è attribuito all’autore nel campo della letteratura mondiale che “si sia maggiormente distinto per le sue opere in una direzione ideale”.
E’ considerato il premio più prestigioso e più mediatico del mondo, il Premio Nobel mette in evidenza un autore e il suo lavoro, assicurandogli una promozione su scala planetaria, una reputazione internazionale e una certa tranquillità finanziaria. Fu assegnato per la prima volta nel 1901, al poeta francese Sully Prudhomme.